Zapatero divide ma non impera

Di Rodolfo Casadei
23 Marzo 2006
Negozia con l'Eta, concede di tutto ai "nazionalisti" catalani, delegittima l'opposizione: così il socialismo ciudadano mette in crisi la spagna

Madrid. Ha 28 anni ma sembra una bambina, infagottata in un maglione troppo pesante per la prima ora pomeridiana. La voce grida, gioisce, piange. Lassù sul palco del gazebo sopraelevato i riccioli si agitano, gli occhi vanno e vengono dal foglio alla folla, la mano sinistra dal microfono alla bocca. «Per quanti anni siamo cresciute giocando fra le gambe di grandi uomini sempre armati! Per quanti anni ci siamo sedute con la schiena alla parete quando andavamo al ristorante, abbiamo controllato che non ci fosse una bomba sotto l’auto prima di metterla in moto! Perché eravamo la famiglia di un uomo che difendeva lo Stato di tutti, la libertà di tutti!». Maria del Pilar è la figlia di Maximo Diaz Bardera, un poliziotto assassinato dall’Eta a San Sebastian quando lei aveva 8 anni. Il nome di papà ce l’ha scritto letteralmente in fronte, vergato col pennarello nero a lettere maiuscole sulla pelle bianchissima. È l’11 marzo, è la Giornata europea in memoria e ricordo delle vittime del terrorismo, siamo a Madrid al Paseo de Coches nell’immenso Parco del Retiro nel cuore della città. Il cielo celeste non-ti-scordar-di-me sopra un vento teso è perfetto per il rimpianto, ma a commuoversi per le testimonianze di Maria e dei sopravvissuti alle bombe sui treni di due anni fa ci sono solo poche centinaia di persone e nessuna autorità del governo nazionale. C’è gente di mezz’età dallo sguardo ferito che, al momento stabilito, vi farà vivere il minuto di silenzio più lungo della vostra vita. Perché in quel silenzio prende forma la presenza dei loro cari assassinati.
Zapatero ha dedicato 10 minuti di commemorazione alle vittime dell’11 Marzo al Bosque de los Ausentes e un’ora di consolazione ai loro familiari; ha ignorato la celebrazione della Giornata europea per le vittime del terrorismo a cura dell’Avt (Asociación victimas del terrorismo) che si svolgeva a poche centinaia di metri da lì, al Paseo de Coches, come pure la commemorazione mattutina dell’11 Marzo organizzata dalla Comunità regionale di Madrid (governata dal Partito popolare) e l’iniziativa “Letture per la pace”, che pure era affollata di autorità locali e personale diplomatico straniero di stanza a Madrid. Non ha visitato nessuna delle stazioni ferroviarie dove erano esplose le bombe. Pilar Manjon, la presidente dell’associazione delle vittime dell’11-M pro-governativa, l’ha imitato al millesimo. Il tutto in nome della “sobrietà”, nuovamente raccomandata dal capo del governo come già un anno fa. E sobrietà ha voluto dire che nessuna campana ha suonato. Che nessun cittadino ha appuntato su giacche e paltò il fiocco nero simbolo del lutto. Che poche centinaia di persone hanno preso parte agli eventi. In Spagna, il paese dell’Unione Europea più insanguinato dal terrorismo: 1.204 morti in trent’anni per mano di Eta, Grapo e islamisti.

I media narcotizzati
«Zapatero non commemora volentieri l’11 Marzo perché rievoca le circostanze in cui è salito al potere: senza quelle bombe ora non sarebbe capo del governo. La sua ossessione è vincere le prossime elezioni con merito, dimostrare di avere qualità e non solo fortuna. Dalle leggi per i matrimoni omosessuali, i divorzi veloci e il transessualismo non può aspettarsi tanti voti: sono provvedimenti a uso e consumo delle élites. Il progetto di riforma dell’educazione è annacquato dagli emendamenti man mano che procede in parlamento. Il suo obiettivo allora è passare alla storia come il leader che ha risolto la “questione nazionalista” in Spagna. Per questo si è messo in testa di negoziare coi catalani un nuovo statuto d’autonomia e con l’Eta una tregua che dovrebbe preludere alla pace». Cristina Lopez Schlichting è una delle giornaliste di punta della catena Cope, la radio della Conferenza episcopale spagnola. Per il suo magazine quotidiano “La sera con Cristina” ha ricevuto una mezza dozzina di premi giornalistici. Insieme al quotidiano El Mundo, la Cope è l’unico mezzo di informazione spagnolo che fa la fronda a Zapatero: tutti gli altri sono allineati al governo sotto l’ala del gruppo Prisa, proprietario di El Pais e della catena radiofonica Ser che orchestrarono le proteste contro il governo Aznar al tempo degli attentati, o semplicemente narcotizzati. Secondo Cesar Vidal, scrittore di successo e altro giornalista di punta della Cope, «il Psoe come tale (cioè il Partito socialista spagnolo) è una delle imprese di Jesus Polanco e del suo gruppo Prisa». Effettivamente il governo non si limita a controllare militarmente i due canali della tivù pubblica (Rtve) e i sei della radio (Rne). Appena salito al potere si è preoccupato di modificare la legge sull’audiovisuale per permettere a Canal Plus, rete a pagamento di proprietà del gruppo Prisa, di trasmettere in chiaro. Nel novembre scorso, poi, l’ultimo canale analogico disponibile è stato assegnato a La Sexta, subito ribattezzata “la tivù degli amici di Zapatero”: fra essi c’è Miguel Barroso, viceministro della Comunicazione fino al settembre scorso.
Non è tutto: «Nelle regioni a maggioranza socialista la Cope si può ascoltare quasi solo sulle onde medie, perché i canali disponibili in modulazione di frequenza vengono puntualmente assegnati al network di Ser, che continua a conquistare posizioni», spiega José Luis Restan, direttore della programmazione socio-religiosa della Cope. In Catalogna la radio dei vescovi rischia di non vedersi rinnovata la concessione della frequenza dal governo autonomo, formato da socialisti e nazionalisti catalani di sinistra, col pretesto che il Consiglio audiovisuale di Catalogna (presieduto da un socialista) ha aperto una procedura d’infrazione contro la Cope, accusata niente meno che di violare la Costituzione: in realtà a fare problema sono le critiche della radio al nuovo statuto d’autonomia, che Zapatero sta negoziando con le forze politiche catalane, nel quale la Catalogna viene definita «una nazione» per volontà del suo parlamento, dotata di «simboli nazionali» come inno, festa e bandiera suoi propri, dove tutti i residenti hanno l’obbligo di conoscere la lingua catalana, unica utilizzata per l’insegnamento nelle scuole e “preferenziale” negli atti amministrativi, e hanno diritti e doveri distinti da quelli degli altri cittadini.
Anche nei media che non controlla direttamente o per il tramite del gruppo Prisa il governo socialista è molto forte: recentemente il comitato di redazione di Telemadrid, rete che pure è di proprietà della Comunità autonoma della capitale governata dai popolari, ha emesso un comunicato di censura di un documentario sulle “ombre dell’11-M” che metteva in discussione la versione ufficiale sulle stragi, prontamente fiancheggiato dal Psoe che l’ha definito “telespazzatura”.

Un milione di “no” alle trattative con gli indipendentisti baschi
Dunque Zapatero vuole dimostrare di essere politicamente maggiorenne e ha i mezzi per farlo. Il problema è che il suo progetto risulta diabolico nel senso etimologico del termine: per perseguire i suoi obiettivi divide gli spagnoli, e la realizzazione delle sue politiche comporta la rottura dell’unità della Spagna e la resurrezione delle contrapposizioni della Guerra civile. Ha cominciato col dividere le vittime del terrorismo, come s’è visto l’11 marzo. Ha nominato alto commissario per le vittime del terrorismo il suo ideologo di riferimento, quel Gregorio Peces-Barba rettore dell’università Carlo III che da sempre considera la Chiesa e il Partito popolare i due nemici della vera democrazia in Spagna, e che ha escogitato l’insegnamento dell'”educazione alla cittadinanza”, materia scolastica che se la riforma della scuola passerà permetterà di indottrinare al laicismo per ben tre ore alla settimana gli studenti delle medie inferiori e superiori. La missione dell’illustre accademico in realtà era quella di indebolire la storica Avt, ostile a qualunque trattativa con l’Eta e indignata per il voltafaccia di Zapatero, che quando era segretario del Psoe aveva firmato un patto antiterrorismo insieme al Partito popolare. Peces-Barba ha fatto del suo meglio per creare fratture all’interno dell’Avt, dove convivono vittime socialiste e popolari dell’Eta, e per ingigantire la figura di Pilar Manjon, subalterna al governo, contro quella del filo-popolare presidente dell’Avt Josè Alcaraz. L’Associazione ha reagito convocando una gigantesca manifestazione contro la politica governativa: sotto striscioni con lo slogan “En mi nombre NO!” (“Non nel mio nome”) sono sfilate per le strade di Madrid nel febbraio scorso più di un milione di persone. Per tutta risposta, i socialisti e i loro alleati hanno intimato al presidente della Corte suprema Francisco Hernando di venire in parlamento a dare spiegazioni sulla mancanza di comprensione dei giudici spagnoli verso gli incarcerati dell’Eta: Zapatero vorrebbe da subito alleggerire il carico delle condanne ai terroristi, per arrivare eventualmente ad una loro scarcerazione in cambio della rinuncia dell’Eta alla lotta armata. Ma Hernando non ha nemmeno risposto alla convocazione.

Quando governa un adolescente
Tensioni della stessa intensità si sono create attorno alla questione del nuovo statuto della Catalogna. Mai nei trent’anni della democrazia si era registrato tanto malanimo fra i catalani e gli altri spagnoli. Non solo la quasi totalità dei popolari, ma anche la maggioranza degli elettori socialisti, stando ai sondaggi, è contraria alle concessioni che Zapatero sta facendo. Difatti intellettuali fuoriusciti dal Partito socialista catalano e da altri partiti di sinistra hanno dato vita a Ciudadans de Catalunya, una formazione che si oppone da sinistra al nuovo statuto. L’insoffe- renza per le pretese dei nazionalisti è cresciuta da quando è diventato impossibile, per gli spagnoli che si trasferiscono in Catalogna, scolarizzare i loro figli in castigliano: non il bilinguismo, ma la catalanizzazione degli immigrati è l’orizzonte in cui si muovono i nazionalisti. Fra i quali gli indipendentisti stanno diventando sempre più forti: l’Erc, che li rappresenta, alle ultime elezioni ha raddoppiato i propri voti dall’8 al 16 per cento, portandoli via in gran parte ai nazionalisti moderati del CiU dell’ex governatore Jordi Pujol.
Possibile che Zapatero non si renda conto delle divisioni che sta provocando e dei rischi che fa correre al suo paese? Possibilissimo. L’uomo vive evidentemente fuori dalla realtà, per almeno due ordini di ragioni. Il primo dipende dalla sua adesione ideologica ai valori laicisti e anticlericali della seconda repubblica spagnola, che gli impongono di delegittimare la destra, oggi rappresentata dal Partito popolare, come i repubblicani degli anni Trenta delegittimarono quella di Calvo Sotelo. Fra le leggi in attesa di approvazione ce n’è una sulla memoria storica che stabilisce una continuità ideale fra la repubblica soppressa da Franco e l’odierna democrazia, disconoscendo di fatto la transizione del 1975-1979 che ha portato la Spagna alla democrazia superando sia il franchismo che lo spirito fazioso della repubblica anticlericale. Il secondo dipende dalla psicologia adolescenziale di Zapatero. Per capire di cosa si tratta è sufficiente un aneddoto. In una delle riunioni convocate per convincere le famiglie delle vittime dell’Eta ad approvare la nuova politica del dialogo coi terroristi, uno dei presenti ha protestato: «Quando mia figlia, ancora bambina, ha perso le gambe per un attentato dell’Eta le ho detto che il re e tutta la Spagna stavano con lei, contro i terroristi che l’avevano colpita. Oggi è una donna e mi dirà che avevo torto, che lo Stato sta coi terroristi». Zapatero ha replicato così: «Io ti capisco, perché anch’io ho avuto un nonno assassinato». Cioè Zapatero ha messo sullo stesso piano la sua sofferenza per il nonno fucilato dai franchisti, che non ha mai conosciuto di persona, con la sofferenza dei genitori che hanno dovuto crescere una figlia privata delle gambe da un attentato terroristico. Come per ogni adolescente in rivolta contro il padre, nella sua testa i fantasmi idealizzati sono perfettamente equivalenti ai vivi in carne ed ossa. Povera Spagna.

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