White Working Class. Il babau dei benpensanti

Di Massimo Ciullo
19 Maggio 2017
Bianchi, rozzi, poveri e razzisti: è il ritornello usato da politica e mainstream per bollare trumpisti e isolazionisti. Una narrazione tutta da rifare

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Derisa e vilipesa per la sua rozzezza, marginalizzata per l’incapacità di elevare i suoi standard educativi, la White Working Class ha deciso di prendersi la rivincita determinando l’esito di due tra i più significativi fenomeni politici degli ultimi mesi, la Brexit e l’elezione di Donald Trump alla Casa Bianca. Gli analisti politici hanno sottolineato le affinità della classe operaia bianca statunitense con i membri dei movimenti europei “sovranisti” o populisti che pretendono di combattere la globalizzazione per difendere il proprio posto di lavoro. Negli Stati Uniti e Gran Bretagna si è dunque acceso un aspro dibattito sulla classe lavoratrice bianca perché nessuno finora è riuscito a fornire un identikit preciso degli appartenenti a questo ceto sociale, né a capire fino in fondo quali siano le sue aspirazioni e le sue aspettative.

Il minimo comune denominatore riguarda l’appartenenza etnica, un dato che desta non poche preoccupazioni. La narrazione di un gruppo sociale autoctono che per decenni è stato bistrattato dalle élite politiche, culturali ed economiche, ha fatto breccia e la conseguente vittimizzazione della classe operaia bianca è tornata utile a coloro che hanno promesso di alleviarne il senso di frustrazione e impotenza. La Wwc non gode della protezione del politicamente corretto: nessuno osa pronunciare battute su persone di colore, ebrei o omosessuali. Al contrario, tutti possono permettersi di prendere in giro i membri della classe operaia per il loro modo di vestire, di parlare e di condurre la propria esistenza. Owen Hatherley, autore de The Ministry of Nostalgia, ritiene che l’idea della working class come “tribù dimenticata” sia un modo per depoliticizzare la classe e svuotarla dei suoi connotati originari. Non più l’orgoglio proletario rivoluzionario e internazionalista di un secolo fa, ma un gruppo d’interesse basato su nazionalità, lingua, cultura, tradizioni e su un particolare insieme di opinioni. Tra le altre cose, ciò consente di ricomprendere nella Wwc imprenditori di piccole imprese con un tenore di vita certamente più alto di qualsiasi altro lavoratore, alle prese con le stesse problematiche legate alla globalizzazione e all’insicurezza.

Ma la fotografia dell’operaio bianco della piccola e media industria, che vive nelle aree urbane e con un basso indice di scolarizzazione, restituisce solo una realtà parziale. Uno degli errori da evitare è proprio quello di pensare alla classe operaia bianca come a un monolite. Lungi dall’essere un blocco sociale ben definito, la Wwc presenta delle forti divisioni basate sull’età, la geografia, il reddito, il genere e la religione. Proprio negli Stati Uniti, la differenza tra aree urbane e aree rurali per gli appartenenti alla stessa classe sociale diventa un discrimine di estrema rilevanza.

Rabbia, pessimismo, soddisfazione
Come evidenzia l’indagine condotta dalla Cnn e dalla Kaiser Family Foundation poco prima del voto per le presidenziali Usa, due terzi dei membri della Wwc affermano di essere insoddisfatti dell’influenza che la gente come loro ha sulla politica. Allo stesso tempo, gli appartenenti alla classe lavoratrice rurale tendono con maggiore probabilità a incolpare il governo federale per le loro difficoltà finanziarie rispetto ai loro colleghi delle aree urbane. Sette su dieci dicono che il governo federale è responsabile di tutti o quasi i loro problemi economici, mentre nelle aree urbane la soglia scende alla metà. La differenza di età invece, gioca un ruolo fondamentale per quanto riguarda questioni molto dibattute come ad esempio l’immigrazione.

Rispetto ad altri gruppi sociali, i lavoratori bianchi sono chiaramente più ostili all’immigrazione e alla crescente diversità razziale e etnica, ma quasi tre quarti dei membri della Wwc non laureati, sotto i trent’anni, credono che la crescente diversità razziale e etnica arricchisca la cultura del paese, mentre solo la metà degli anziani è della stessa opinione. Nonostante la rabbia espressa nei confronti del governo e il pessimismo sul futuro del paese, la maggioranza degli appartenenti alla Wwc statunitense, indipendentemente dall’età, dal reddito, dalla religione e dal genere, dice di essere soddisfatta della sua situazione finanziaria personale.

Un ceto medio in via d’estinzione
Nel suo recente libro White Working Class, Overcoming Class Cluelessness in America, Joan C. Williams, docente di diritto all’Università della California, spiega perché tanta parte dell’analisi dell’élite sulla classe operaia bianca è errata, radicata nell’indifendibilità di questo gruppo sociale, non protetto dal politicamente corretto. Williams spiega che molte persone hanno confuso “la classe operaia” con i “poveri”, ma la realtà è ben diversa: la Wwc è diventata il ceto medio in via d’estinzione. Non si sentono dei ricchi, né sono particolarmente disturbati dalla disuguaglianza dei redditi. Il loro sogno non è quello di unirsi alla classe media superiore, con la sua cultura diversa, ma di restare fedeli ai propri valori nelle proprie comunità – magari con un salario più alto.

Foto Ansa

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