Tentar (un giudizio) non nuoce

«Volle venire Colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci»

Di Raffaele Cattaneo
23 Dicembre 2023
Non voglio cancellare la provocazione di quel bambino che nasce in una mangiatoia e che ha la pretesa di essere il figlio di Dio. Gli auguri di Cattaneo e del "non credente" Cavallari

Diciamoci la verità, il clima natalizio rasserena con le luci festose, i jingle e le melodie allegre e gradevoli che evocano buoni sentimenti. Quest’aria di bontà e solidarietà sembra alleggiare nei giorni che precedono le feste, nelle menti e nelle parole di tutti. Però la nostra vita è fatta, ogni giorno, dalla consueta drammaticità, dalle fatiche quotidiane, delle angustie, delle preoccupazioni, dei pensieri.

In questi giorni gli sforzi sembrano aumentare e farsi più acuti: sono giorni di impegni straordinari perché oltre al lavoro, che si intensifica in prossimità della conclusione dell’anno, ci sono le incombenze dei regali, dei festeggiamenti da preparare. Per alcuni, come per me, sono la memoria di lutti, per persone care che sono mancate.

Ma allora che cosa possiamo davvero augurarci per il Natale, che senso ha tutto questo ribollire di allegria, di buoni sentimenti e di richiami alla festa e alla gioia? Ancor più se ne perdiamo l’origine e la radice? Di questo tempo quello che mi preoccupa, mi angustia di più, è vedere come si festeggi il Natale, ignorando la ragione per cui la festa è nata, ovvero la nascita di Gesù Cristo, figlio di Dio, che si fa uomo e viene a redimere l’umanità in una proposta non di regalità sfarzosa ma di umiltà e amore profondo.

Fa pensare la maestra di Rovigo che, con la scusa di non offendere le altre sensibilità, ha invitato a cantare “Cucù” al posto di “Gesù”. Così come impressiona vedere a Parigi, a Londra ma anche nelle nostre città, i mercatini, gli addobbi pieni di elfi, fatine, creature mitologiche e nessun richiamo al presepe e al fatto storico che con il Natale ricordiamo.

Dunque, il mio primo desiderio è quello di non cancellare la provocazione di quel bambino che nasce in una mangiatoia e che ha la pretesa di essere il figlio di Dio. È di fronte a questo scandalo e a questa follia che dobbiamo stare, perché lì c’è la scintilla della novità che ognuno di noi cerca dentro le fatiche quotidiane. Quella novità di vita che non toglie queste fatiche ma che a tutte loro può dare un senso, ovvero un significato e una direzione. Questo è il contenuto del mio augurio natalizio.

Ho scritto un biglietto, citando una frase di san Bernardo che diceva: «Volle venire Colui che si sarebbe potuto accontentare di aiutarci», aggiungendo questa riflessione: Dio volle venire, e continua a venire, ogni giorno in mezzo a noi, attraverso la compagnia di chi crede, presenza fisica e sperimentabile di Gesù Cristo, cioè il bello, il giusto e il vero che tanto cerchiamo nei desideri e nelle fatiche di ogni giorno. Egli è presente da allora ed è per sempre tra noi. Ecco il mio augurio: che anche tu possa incontrarlo. Buon Natale.

Raffaele Cattaneo

***

Ed io che son privo della grazia della fede, sono qui con Raffaele a cercare di indagare la bella ed a volte greve umanità. A cercare di individuare la distinzione tra reale e realtà, giusto e sbaglio, errore ed errante. E se propongo un giudizio, prima ribalto la mia anima dolente e talvolta baldanzosa. La nascita di Cristo non può lasciarmi indifferente, quell’imprevisto che cambia la storia.

Posso comprendere che possa apparire retorica e ridondante la figura del “non credente” che s’affranca con l’umano, grazie a quell’amicizia, sorella dell’amore, attraverso i tanti testimoni che ho incontrato sulla via. Eppure, dentro quella domanda, che alberga costantemente, che mi scava dietro la falsa sicumera, vedo Luigi che mi ringrazia, Raffaele che mi tiene sottobraccio, Annalena che mi mette nel suo libro, Andrea che mi accoglie come un fratello, Lele che racconta di me come un compagno di avventure di una vita.

Guardo loro, anche quando la sovrastruttura della mia cultura tenta di rubarmi l’orizzonte. Ma sono fortunato, perché amo l’incontro che loro mi hanno insegnato. E se devo celebrare questo Natale, io riesco a farlo solo attraverso il volto e i gesti degli altri, di coloro che mi sono dissimili, che non corrispondono alla mia copia sbiadita, che non rispecchiano il narcisismo dell’io, che non si accontentano del teatro ma vogliono toccare la verità come assetati.

È a loro che mi inginocchio per gratitudine. Per i loro pregi e i loro errori, che sono i miei, o potrebbero esserlo. Quelli delle puttane, dei farabutti, dei vinti della storia, chi ha torto senza ragione, chi ha ragione ma è pieno di torti, di chi cade e non si rialza più, e di chi ce l’ha fatta come Hassan che vent’anni fa è arrivato su un barcone, ancora minorenne, ha visto morire i suoi compagni di viaggio e poi non si è perso, ha costruito la sua vita, è diventato un lavoratore del nostro Paese. Come i nostri padri che sapevano fare tutto. Lui un nostro figlio del dopoguerra. Quando lavora, tiene in bocca i chiodi che gli servono e quel gesto mi ricorda il gesto di mio padre, classe 1921. Hassan che prega il suo Dio è un mio fratello nell’umanità. E così oggi, mi sento un po’ meno dannato di qualche anno fa, sono grato a chi mi ha concesso fiducia, mi chiama “Amico”, mi permette l’emozione della speranza.

Fabio Cavallari

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