
Volkswagen, il flop dell’auto elettrica e la crisi senza fine

«Chiuderanno tre stabilimenti in Germania e verrà decurtato lo stipendio di tutti i dipendenti almeno del 10 per cento». È quanto annunciato da Daniela Cavallo, presidente del consiglio di fabbrica della Volkswagen, in un incontro con centinaia di lavoratori il 27 ottobre a Wolfsburg.
La notizia fa scalpore: dal 1937, anno di fondazione del colosso automobilistico, non era mai stato chiuso un sito produttivo sul suolo tedesco. Rischiano di perdere il lavoro 15 mila dipendenti in una situazione in cui, parole della stessa Cavallo, «nessuno è più al sicuro». Ancor più dopo la decisione di settembre di abrogare l’accordo di garanzia occupazionale in vigore da più di 30 anni, che blindava il posto di lavoro per i dipendenti dell’azienda.
La crisi dell’auto elettrica
Da anni Volkswagen è sprofondata in una crisi senza precedenti. La più importante azienda tedesca per fatturato (22,6 miliardi di utile nel 2023) si trova a fare i conti con il sanguinoso passaggio all’elettrico, che ha messo in ginocchio tutto il mercato dell’auto europeo. A peggiorare la situazione anche la forte diminuzione dei ricavi del mercato cinese, un tempo miniera d’oro per il settore automotive tedesco e oggi cannibalizzato dai competitor dell’Estremo Oriente, molto più avanti nelle tecnologie e nel reperimento di risorse per il total electric.
Un dato su tutti: attualmente il primo modello elettrico di Volkswagen disponibile in Cina è venduto a 40.000 euro, circa il doppio dei primi prezzi dei produttori autoctoni. La competizione sembra insostenibile.

Male anche Stellantis
Non naviga in acque migliori Stellantis, guidata dall’ad Carlos Tavares. Da inizio anno nello stabilimento di Mirafiori la produzione di auto elettriche, mercato su cui il portoghese ha puntato fortemente, è crollata dell’83 per cento. La crisi ha portato l’ad a prolungare la cassa integrazione fino al 4 novembre per gli operai delle carrozzerie del sito produttivo piemontese, simbolo del Lingotto.
Nonostante un manifesto affisso in bacheca a Mirafiori affermi che Stellantis è capace di «competere con i migliori», a settembre le vendite sono calate del 25 per cento, circa 50 mila auto in meno rispetto allo stesso mese del 2023.
«È colpa dell’ideologia dell’Ue»
La scommessa del Green Deal ha tagliato le gambe a uno dei settori più fiorenti dell’Unione Europea. Le statistiche parlano chiaro: le vendite di auto elettriche in Europa nell’ultimo anno sono nettamente sotto le aspettative. Secondo Acea, Associazione europea dei costruttori di automobili, le vendite nel periodo gennaio-settembre sono diminuite del 5,8 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023.
In una recente intervista rilasciata a Aliseo, Roberto Cingolani, ex ministro della Transazione ecologica del governo Draghi e attuale ad di Leonardo, spiega così la crisi dell’automotive:
«Alcune ideologie portate avanti dall’Unione Europea hanno distrutto intere filiere industriali, ed è quello che sta succedendo anche con il settore dell’automotive. È stato creato un meccanismo perverso per cui una sola è la tecnologia che va bene per tutto, ma era ovvio che non poteva essere così».
La Cina si prende il mercato europeo
Intanto, come confermato l’11 settembre dal presidente del Piemonte Alberto Cirio alla festa della Fiom di Torino, alcuni investitori cinesi (Dongfeng o Byd) sarebbero intenzionati ad aprire uno stabilimento in regione nei prossimi mesi. Ed è ormai cosa fatta la produzione per conto di Leapmotor a Mirafiori.
La multinazionale cinese, di cui Stellantis da ottobre 2023 detiene il 21 per cento di capitale, presto farà il suo debutto nel nostro paese con i primi modelli. I cinesi producono le auto elettriche in Italia per evitare i dazi green dell’Europa, forti delle materie prime e dei maggiori progressi tecnologici.
Come ricordava in un’intervista a Tempi Paolo Bricco, inviato del Sole 24 Ore: «Se puntiamo sull’auto elettrica, è evidente che ci consegniamo per l’intera catena delle forniture e degli approvvigionamenti ai cinesi. E questo è un cambio di paradigma molto negativo per l’Europa, che ha costruito la sua potenza industriale anche sull’automobile. L’Europa si sta suicidando».
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