Voci di vita nel caos della morte

ESEMPI DI DONNE ISLAMICHE CHE NON SI ARRENDONO ALLA VIOLENZA NICHILISTA CHE HA FATTO SANGUINARE LONDRA. PARLA L'ISLAMOLOGA VALENTINA COLOMBO

Valentina Colombo, traduttrice di Nagib Mahfuz (Notti delle mille e una notte, Nobel 1998) e docente di Lingua e Letteratura araba presso l’università della Tuscia e di Viterbo, ha dato «corpo alla parola e parola al corpo» delle «tantissime», che giocano in solitudine la libertà dei soli occhi, «inforcano la penna o la tastiera del computer e scrivono, scrivono dello chador che indossano e della schizofrenia del loro mondo». è la curatrice di Parola di donna, corpo di donna (ed. Mondadori), antologia di racconti, 31 scrittrici arabe contemporanee che danno voce ai 140 milioni di donne sparse per lo stesso mondo, le stesse guerre, la stessa, dice a Tempi, «voglia di libertà».
Le voci raccolte dalla Colombo urlano la vita, dal basso di quel chador, dall’alto della legge coranica; in mezzo a quelle immagini ci sono le figlie e le madri che popolano un Levante «fortemente emancipato», cantato in apertura dall’inedito “fortemente” erotico della libanese Joumana Haddad; quelle dei paesi del Maghreb, «il regno del fermento», così «”affetto” da letteratura francofona che per sviscerare la forza delle sue donne ho tradotto testi dall’arabo dai quali le differenze tra Casablanca e Rabat prendevano corpo in giovani ribelli e antiche signore legate alle apparenze». E ci sono le donne del Golfo, dello Yemen, dell’Arabia Saudita, dove «sembra di fare un passo indietro» e, con le altre, capire un po’ più quella Londra, oggi.
Nafila Dhahab è tunisina, scrive “Salima e il proiettile”, scrive del «bravo calciatore» che giocava per strada tra ingiurie e insulti ripetendoli «per sconfiggere un destino ostinato», quel fratello che un tedesco di mezza età si portò via e che le regalò «un proiettile d’oro scintillante», prima che «mani leggere» nei pianti nella sua solitudine gli ordinassero: «Alzati, prendi la scatola dei fiammiferi e vai!». «Era uno dei tanti arabi trasferitisi in Occidente che non ha retto alla crisi d’identità, consegnandosi al terrorismo», dice la Colombo. Betool Khedairi è figlia di un iracheno e di una scozzese, scrive “La madre di tutte le ciabatte” e dalla tv di Amman guarda il pianto di madri irachene e occidentali: «Forse è giunto il momento di unire tutte le madri del mondo per porre fine a questo caos», «un inno al grande amore per la vita che insegna il Corano, dove ammazzare un’anima sola è come uccidere l’umanità».

L’ISLAM E’ INNAMORATO DELLA VITA
Valentina Colombo guardando le immagini di Londra, che cosa vede? «Vedo una minoranza prepotente, la parte feroce di un mondo che in poche immagini cancella gli sforzi di centinaia di migliaia di persone che stanno cercando di essere libere. Libere di essere se stesse, libere dai sedicenti “buoni musulmani” che tradiscono l’islam predicando la morte, diffondendo la rabbia nei confronti del musulmano che ama la vita». Anche Haifa Zangana è irachena, vive a Londra e vive il desiderio degli immigrati di abbandonare la propria identità per meglio inserirsi nella società d’arrivo. «Un’identità spezzata, difficile da ricomporre», incarcerata da Saddam, Haifa ripara in Gran Bretagna, viene picchiata, scrive “Il colpo”, e quelle voci, «31 ma potevano essere cento» ricorda Valentina, sono più di moderne Sharazade, «penso all’odio della palestinese Basema Younes, che vive negli Emirati combattendo con la penna la debolezza delle donne arabe, “pecore” che non si ribellano alla paura». Che fare? «Oggi più che mai dobbiamo liberare le voci che gridano la libertà. Non possiamo lasciare che quella morte sia la parola ultima su tutta la vita che l’islam comunica».

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