Vivi – Storie di uomini e donne più forti della malattia

Di Benedetta Frigerio
09 Febbraio 2011
La recensione del libro di Fabio Cavallari, che racconta le storie di persone accomunate da patologie giudicate troppo gravi per dare speranza: Sla, comi vegetativi, malattie neurologiche irreversibili

Ci sono malattie che fanno rabbrividire chi pensa che la felicità stia nell’assenza di dolore. Ma esistono malati gravi capaci di gustare la vita. Gente con una passione rara in un mondo affetto dal nichilismo dilagante. Massimiliano, Giulia, Bruno, Daniela, Giovanni, Egle, Oscar e Claudio sono accomunati da patologie giudicate troppo gravi per dare speranza: Sla, comi vegetativi, malattie neurologiche irreversibili.

Eppure ognuno di loro ha sconfessato tutti i pronostici clinici.
Nel libro Vivi – Storie di uomini e donne più forti della malattia (edizioni Lindau, 170 pagine, 16 euro), di Fabio Cavallari, in libreria dal 21 ottobre, il segreto che permette di essere felici e che fa sì che disabili gravi raggiungano successi che lasciano la maggioranza dei medici scettici esterrefatti: l’affetto, senza pietismo, ma carico di professionalità; comunità di parenti, amici e medici che si stringono intorno al malato; e la fiducia solida dei pazienti, dei loro parenti o dei professionisti, che fa miracoli. Fatti eccezionali.

Come l’uscita dal coma, dopo 10 anni, di Massimiliano, descritto dai medici come un “tronco senza vita”. Oppure come il cervello di Giulia, dichiarato “spento”, e che invece è riuscito a imparare già tre lingue. Tutte vicende che fanno capire che ogni caso clinico è una storia a sé. Che non esistono cure generalizzabili o comportamenti previ da adottare. E le fatiche peggiori non sono l’instancabile lavoro del malato su di sè e quello dei medici e parenti. Sono gli inghippi burocratici, l’indifferenza delle istituzioni e di una mentalità comune concentrata sull’individuo che non supporta i nuclei e non ammette la malattia come possibilità della vita.

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