Vivere il Giorno della Memoria con le poesie di János Pilinszky

Di Antonio Molteni
27 Gennaio 2024
Soldato ungherese a guardia dei lager di sterminio nazisti, il poeta ci invita a ridestare il cuore per non lasciarlo soffocare dall'odio
Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Polania (Ansa)
Campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, Polania (Ansa)

ll giorno della memoria: per ridestare il cuore dell’uomo a non continuare a essere Caino. L’invito viene da János Pilinszky (1921-1981) con le sue poesie e i suoi saggi intrisi della sua esperienza come soldato ungherese a guardia dei lager di sterminio nazisti.

Il poeta cattolico János Pilinszky, vivace voce dissidente nella realtà atea del regime totalitario comunista, è l’unico poeta ungherese citato dal premio Nobel per la letteratura nel 2002 Imre Kertész, ebreo deportato e sopravvissuto ai campi di concentramento.

Nel suo discorso a Stoccolma in occasione dell’assegnazione del Premio Nobel ebbe a dire:

«Il vero problema Auschwitz è che è accaduto e che noi, con la migliore o anche la peggiore nostra volontà, non possiamo cambiare questo fatto. Il poeta cattolico ungherese János Pilinszky ha dato forse la definizione più precisa di questa situazione difficile chiamandola uno “scandalo” ; e con tutta evidenza egli intendeva che Auschwitz, essendo avvenuto nell’ambito culturale cristiano, per la mente metafisica è irredimibile».

Nel saggio estetico In luogo di una Ars poetica Pilinszky afferma:

«Solo le vittime sono arrivate alla realtà del passato. Esse rappresentano oggi ogni significato. Coloro che hanno provocato scandali, sin dall’inizio si sono incagliati in una specie di condizionale eterno. Tutte le cose ivi accadute sono uno scandalo in quanto sono potute accadere e senza eccezione alcuna sono sacre, in quanto sono accadute».

Nell’altro saggio estetico, importante per comprendere la sua essenzialità poetica, Il destino della immaginazione creatrice nella nostra epoca scrive:

«Auschwitz ora è un museo. Eppure le tracce dei colpi e del deterioramento riscontrabili negli oggetti accumulati nelle bacheche sono i segni del secolo, della vita. Sono l’eterno insegnamento».

Qui di seguito alcune poesie scritte dall’anima di Pilinszky a contatto diretto con l’esperienza dei campi di concentramento nazisti.

SU UN MURO DI UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO

Dove sei caduto, là rimani.

Dell’universo questo posto,
quest’unico solo posto,
sì che te lo sei acquistato.
Il paesaggio ti fugge,
Che siano case, mulini o pioppi,
tutto lotta con te,
come se nel nulla si fossero cambiati.
Ma ormai tu più non cedi.
Ti abbiamo accecato? Ci tieni d’occhio.
Ti abbiamo derubato? Tu ti sei arricchito.
E anche se muto, deponi contro di noi.

SACRA RAPPRESENTAZIONE A RAVENSBRUECK

Esce dalla fila degli altri,
si ferma in un silenzio da schermo
e vibrano come immagine proiettata
la tuta e la testa da forzato.
È spaventosamente solo,
se ne intravvedono i pori,
ha tutte le cose immani,
ha tutte le cose piccine.
Nient’altro. Per il resto niente,
fu solo questo:
prima di stramazzare
dimenticò di gridare.

HARBACH 1944

a Gabor Thurzo
Li rivedo ancora e ancora,
la luna splende e una stanga si allunga
e attaccati ad essa uomini
tirano un carro immane.
Tirano il carro che cresce
insieme alla notte crescente,
polvere, fame e tremito
spartiscono i loro corpi.
Portano la strada e la contrada,
i campi di patate freddolosi,
ma di tutto non sentono che l’onere,
del paesaggio il peso.
Solo il caduco corpo del loro vicino,
che quasi si accolla al loro,
mentre in vive stratificazioni
barcollano l’uno nella peste dell’altro.
I villaggi li scansano
e le porte si mettono in disparte,
la lontananza è venuta loro incontro e
bloccata fa dietro  front.
Guardano barcollando immersi fino alle ginocchia
nel nero rumore rasoterra
dei loro zoccoli di legno,
come fosse invisibile fogliame secco.
Ma il loro busto appartiene già al silenzio.
Immergono i volti nell’alto,
fissi come se fiutassero
le lontane mangiatoie del cielo.
Perché ad accoglierli è già pronta
come un recinto che apra
con violenza le sue porte,
spalancata fino ai cardini, la morte.

PRIGIONIERO FRANCESE

Potessi dimenticare solo lui, quel francese che vidi
verso l’alba davanti alla nostra baracca
e dietro il folto della siepe
strusciare furtivamente quasi raso terra.
Scrutando intorno, rivolse lo sguardo indietro
e quando finalmente trovò un nascondiglio sicuro:
poteva godere della preda interamente!
Qualunque cosa accadesse, di lì non si sarebbe mosso.
Ed addentò e masticò la rapa,
che riuscì a rubare sotto i cenci.
Mangiò la rapa cruda, ma nella gola
appena scese giù un boccone ne seguì un altro;
e sulla lingua quel dolce cibo
si è incontrato con il ribrezzo e il piacere,
come si incontrano nella loro incontentabile estasi fisica
i felici e gli infelici !
Solo quel corpo e quella scapola tremante
le mani tutta pelle e tutte ossa,
il palmo che si incollava sulla bocca,
dandole da mangiare, mangiando essa stessa!
La disperata e arrabbiata vergogna degli organi
acerbamente accaniti gli uni contro gli altri,
che anche l’estrema solidarietà
devono toglierla a se stessi!
Quella sua gamba che era rimasta digiuna
della mugolante gioia animalesca, restando rattrappita
e stava accovacciata sotto il piacere
e il tormento del corpo!
E quel suo sguardo – potessi dimenticare!
E mezzo soffocato continuava a sbafare
ancora e ancora, non importa che cosa,
qualsiasi cosa pur di mangiare, questo e quello, se stesso!
Perché continuare? – Le guardie vennero a prelevarlo;
era fuggito dal campo vicino.
E come allora io vado errando
tra le ombre dell’orto di casa.
Guardo gli appunti  e cito:
<Potessi dimenticare solo lui, quel francese….>
E dalle orecchie, dagli occhi, dalla bocca,
il ricordo violento sale , mi investe e mi grida:
< Ho fame!> -E sento subito
la fame immortale che
quel misero da tempo non sente più
e che un terreno nutrimento non toglie più.
Egli di me si nutre ! Ed è sempre più affamato!
Ed io sempre meno gli basto!
Sì sarebbe una volta accontentato di qualsiasi cibo:
ora esige già  il mio cuore.
Sempre nel saggio In luogo di una Ars poetica scrive:
«Il Dio esiliato dietro i fatti, di tanto in tanto intride di sangue il tessuto della storia. La macchia che vi lascia è infinitamente insignificante ed è problematico se mai riusciremo a scoprirla. Se è possibile fare una distinzione, il silenzio sopravvenuto tra noi non interessa tanto la poesia, quanto impegna lo stesso poeta, esigendo la totalità della sua vita e non è possibile non rispondere a questo invito anche a costo dell’ ammutolimento definitivo e completo».
Per Pilinszky il passato non è un ricordo è sempre un presente che ” esige il suo cuore ” perché ogni vivente è affamato solamente del vivo.
***
Traduzione di Antonio Molteni
CSEO – collana la via dell’ ambra- ha pubblicato nel 1983 la traduzione con testo a fronte della maggior parte dei suoi versi dal titolo:
Pilinszky Poesie
Disponibile con richiesta a:
[email protected]

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