
Viva la lotta di classe (quella sui banchi, non quella che passa da Porto Alegre)
“Saperi liberi, persone libere”: è lo slogan con cui giovedì 17 novembre sono scesi in piazza studenti medi e universitari nelle città italiane, aderendo alla giornata di mobilitazione mondiale proclamata a Porto Alegre e indetta in Italia da varie sigle della sinistra studentesca. Di fronte al continuo dispiegarsi di cortei ed occupazioni non ho potuto che interrogarmi sul significato di gesti che ritengo fuori tempo e privi di concretezza. L’impressione è che, in Italia, la giornata di mobilitazione mondiale sia servita da cassa di risonanza alla protesta contro la riforma Moratti. Non c’è da stupirsene, ma nemmeno si può far finta di niente. Perché è così tenace l’approccio ideologico sul tema della scuola? Perché ogni volta che si tocca il tema della scuola, la febbre sale a dispetto di una condizione dove, generalmente, il tasso di partecipazione è ormai scaduto a tal punto che la maggior parte degli organismi che dovrebbero tradurre il modo con cui scuola e famiglia partecipano dello stesso destino sono nella loro attività sostanzialmente inconsistenti.
Non ho la pretesa di discernere sulla dimensione mondiale della mobilitazione, mi fermo alla nostra Europa. Mentre infatti il Forum di Porto Alegre si fa portatore di slogans, la Commisione europea ha adottato, la settimana scorsa, una comunicazione in cui chiede ai paesi Ue di accelerare le riforme per istruzione e formazione. I paesi Ue devono accelerare il ritmo perché diversamente una gran parte della prossima generazione sarà emarginata. La Commissione insieme alla comunicazione ha pubblicato una proposta di raccomandazione per fissare un quadro comunitario di competenze chiave per definire le conoscenze necessarie agli europei per aver successo nella vita sociale e professionale: comunicazione nella lingua materna; comunicazione in una lingua straniera; cultura matematica e competenze di base in scienze e tecnologie; cultura numerica; apprendere ad apprendere; competenze interpersonali, interculturali, civiche e sociali; spirito imprenditoriale; espressione culturale.
Proprio in coerenza con gli obiettivi fissati dalla strategia di Lisbona dell’Unione Europea per il 2010 ed anticipando le nuove esigenze poste da Bruxelles, la riforma Moratti è intervenuta a modificare gli ordinamenti della scuola secondaria superiore, prevedendo otto tipologie liceali, e modificando gli attuali assetti della formazione professionale regionale, configurando un sistema d’istruzione e formazione professionale di rilevanza europea. La stessa Commissione Ue ha posto il caso italiano ad esempio per tutto il continente. Già nel gennaio 2004, la Commissione Europea – allora guidata da Prodi – aveva infatti presentato una comunicazione sull’implementazione delle linee guida concernenti lo sviluppo della politica economica 2003-2005. A pagina 74, la Commissione giudicava specificatamente i risultati italiani in materia di riforme politico-economiche e, relativamente alla cosiddetta “economia della conoscenza”, affermava che «questa è stata trattata in modo completo e che le opportunità e le raccomandazioni sono state pienamente accolte e seguite. In particolare, la scuola primaria e secondaria è stata oggetto di riforma e diversi provvedimenti sono stati adottati per stimolare ricerca e innovazione», nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi posti dal processo di Lisbona.
SIAMO IN ZONA RETROCESSIONE
La riforma Moratti costituisce una risposta concreta alla vera e propria emergenza educativa che sta vivendo il nostro paese rispetto ai livelli di apprendimento dei nostri studenti, se comparati a quelli dei loro colleghi europei e degli altri paesi economicamente più avanzati del mondo. Sono ormai noti anche all’opinione pubblica, infatti, i risultati dell’indagine internazionale “Pisa”, organizzata periodicamente dall’Ocse sui livelli di apprendimento dei 15enni in lingua madre, matematica, scienze e problem solving, dai cui risultati emerge un quadro preoccupante per il nostro paese: gli studenti italiani, infatti, si sono collocati – su 29 paesi partecipanti – rispettivamente: al 25° posto nella capacità di lettura, al 23° in competenze scientifiche, e addirittura al 26° nelle competenze matematiche e nel problem solving. Un altro dato dell’indagine che ha destato allarme è il tasso di disaffezione verso la scuola: quasi il 40 per cento dei 15enni italiani ha dichiarato che la scuola è «un luogo dove non vorrei andare». La gravità di questo risultato è tanto maggiore se si considera che il campione di intervistati era costituito interamente da studenti regolarmente iscritti e frequentanti un percorso scolastico: a questo 40 per cento di insoddisfatti che pure frequentano, quindi, occorre aggiungere quei 300 mila ragazzi tra i 15 e i 18 anni che sono fuori da qualsiasi contesto formativo.
RIDURRE L’ECCESSIVA RIGIDITà
Di fronte a questo quadro, la riforma ha preso le mosse da un’approfondita ricerca delle cause, analizzando le caratteristiche del nostro sistema educativo e comparandole con quelle dei paesi i cui studenti hanno ottenuto i risultati migliori di apprendimento. Tra le principali cause rinvenute si possono elencare: l’eccessiva rigidità e uniformità della struttura oraria, per cui tutto l’orario è obbligatorio. L’eccessiva quantità dell’orario: eravamo il paese con il maggior tempo passato a scuola. L’eccessivo numero di discipline, tutte obbligatorie per tutti gli studenti. A livello secondario, poi, l’Italia era uno dei pochi paesi a prevedere un’unica tipologia di percorso, quella scolastica tradizionale improntata all’apprendimento teorico, privando i ragazzi dell’opportunità di formarsi avvalendosi di modalità di apprendimento più legate alla laboratorialità ed al mondo del lavoro. Infine, l’assenza – e su questo eravamo davvero rimasti soli – di un sistema nazionale di valutazione dell’operato delle scuole e dei risultati raggiunti dai propri studenti.
Coerentemente con questa analisi, la riforma ha rimesso al centro del processo formativo lo studente, ripensando l’offerta formativa in modo flessibile e personalizzabile, mantenendo grosso modo le quantità orarie complessive di prima, ma articolandole al loro interno in una quota obbligatoria uguale per tutti e in una quota opzionale facoltativa, da dedicare sia a momenti di recupero di eventuali carenze, sia al potenziamento delle eccellenze, sia infine ad altre discipline non obbligatorie. Per fare tutto questo in modo efficace è stato necessario valorizzare ulteriormente l’autonomia di ogni singola scuola, che così dialoga con le famiglie nella costruzione condivisa del percorso formativo di ogni studente. Ma la novità certamente più significativa – anche perché richiede una piena attuazione del federalismo – è consistita nella ridefinizione dei previgenti obbligo scolastico e formativo nel “diritto-dovere all’istruzione e formazione per almeno 12 anni”, che può essere esercitato sia nei percorsi liceali sia nel nuovo sistema di istruzione e formazione professionale, di competenza delle Regioni.
Il ciclo secondario è stato riformulato per ampliare e diversificare l’offerta formativa, arricchendo così le opportunità a disposizione degli studenti, rendendo più attraente lo studio, e garantendo a tutti il diritto al successo formativo. Le sperimentazioni dei percorsi di istruzione e formazione, avviate già nel 2003 in tutte le Regioni, hanno registrato un fortissimo interesse da parte degli studenti, dimostrando così che tali percorsi corrispondevano ad una forte esigenza sociale: occorre ora portare a sistema tali sperimentazioni, strutturandole in modo definitivo ed incrementandone l’offerta in tutte le Regioni, per corrispondere alla crescente domanda. In questo modo, inoltre, si è provveduto a rompere la tradizionale tendenza all’auto-referenzialità delle scuole, creando forti raccordi con il territorio e il mondo produttivo e delle professioni, e introducendo anche nel nostro paese l’alternanza scuola-lavoro, una modalità nuova per portare a termine il proprio percorso formativo, liceale o di istruzione professionale, in cui si alternano momenti di formazione in ambito lavorativo a momenti di formazione tradizionali (la lezione in classe).
Tutti questi strumenti introdotti dalla riforma mirano ad un solo obiettivo: ridurre l’eccessiva rigidità ed uniformità del nostro sistema educativo, allargandone e diversificandone l’offerta formativa, per rimettere davvero al centro dell’intero processo le persone: studenti, famiglie e docenti.
La stessa Riforma dell’Università ha rappresentato un passo decisivo verso lo scardinamento del corporativismo imperante all’interno degli atenei italiani. Le contestazioni di piazza sono insensate in quanto vanno contro la riforma di un sistema concorsuale ormai insostenibile, l’avvicinamento delle università alle imprese, l’introduzione di una vera concorrenza, la soluzione del problema della terza fascia, primi passi verso lo sblocco del sistema.
PROBLEMI, RESPONSABILITà, SOLUZIONI
Se quello che sta a cuore è il destino del “sapere”, non si può basare la propria azione solo su slogans da corteo. Per migliorare il sistema scolastico bisogna impegnarsi con i problemi reali, accettare la responsabilità di capirli e trovare soluzioni concrete, senza trascurare quelle che sono a portata di mano. Con il pretesto di cambiare “il sistema” si sono sempre giustificate ignoranza, arroganza e sfascismo. Occorre occuparsi dei temi urgenti che riguardano la vita degli studenti, con responsabilità e concretezza, confrontando i tentativi e le soluzioni, e non urlando slogans. “Non perdere tempo” è forse uno dei meriti più importanti della riforma Moratti. Aver trasformato la riforma della scuola da una priorità ideologica ad una priorità di bilancio, chiarendo quanto questo Governo e l’intera società italiana hanno scommesso sul futuro dei nostri ragazzi.
* Vice Presidente del Parlamento Europeo
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