Viaggio a Gorizia, la Lampedusa del Nord-Est dove solo un prete si occupa dei “fantasmi” clandestini dell’Isonzo

Di Emanuele Boffi
23 Novembre 2014
Sono arrivati a centinaia attraverso il confine, per lo più afghani che chiedono asilo politico. E se le istituzioni tergiversano, la Caritas prova ad affrontare l’emergenza

Gorizia. Quando il 29 ottobre hanno fatto aprire il grosso lucchetto che serrava il portellone posteriore del camion, gli agenti della polizia di frontiera di Tarvisio (Udine) si sono trovati davanti agli occhi trentatré facce asiatiche. Si trattava di sette pakistani e ventisei afghani. Raggomitolati uno sopra l’altro, stavano stipati in uno spazio angusto senza cibo né acqua. Il passeur, un cittadino romeno di 28 anni, è stato arrestato e per i trentatré stranieri sono state avviate le procedure per riconsegnarli alle autorità austriache. È ormai da mesi che sul confine con l’Austria si “gioca” a rimpallarsi i clandestini. L’8 novembre la polstrada di Amaro (Ud) ha arrestato due siciliani che cercavano di far entrare in Italia quattro siriani. Il 16 novembre quattro cittadini afghani che viaggiavano a bordo di un treno proveniente dall’Austria sono stati fermati e denunciati. L’8 novembre a Coccau (Ud) sono stati fermati altri trenta clandestini. Ancora pachistani e afghani che cercavano di raggiungere il nostro paese. E l’Italia ha cercato di rispedirli in Austria, invano. Perché, semplificando un po’ grezzamente, le norme dicono che chi identifica i clandestini, poi se ne deve occupare. Dall’inizio dell’anno, da Coccau ne sono passati circa 500 e di questi circa la metà hanno chiesto asilo politico. E questo solo per stare ai casi da noi conosciuti e degli ultimi mesi. Ma quanti altri sono entrati?

La Lampedusa del Nord-Est
Chiariamo una cosa: se l’Austria non fa nulla per fermarli, è anche vero che alcune di queste persone sono entrate in Europa da Lampedusa, poi hanno girovagato per il Vecchio Continente chiedendo asilo qua e là e, infine, sono tornate in Italia. Altri, salvati dalle acque del Mediterraneo dall’operazione Mare Nostrum, sono stati prima portati a Taranto, poi hanno fatto perdere le loro tracce e, infine, respinti da qualche paese del Nord Europa, sono tornati in Italia. Così, poiché i trattati internazionali impongono che un richiedente asilo non possa ritornare nel paese dove ha chiesto rifugio e che poi ha abbandonato, arrivano da noi. E poiché a Gorizia è attiva l’unica commissione che esamina le domande dei richiedenti asilo di tutto il Triveneto, è da inizio dell’anno che la città ospita qualche centinaio di afghani.

Alcuni l’hanno ribattezzata con un’iperbole la “Lampedusa del Nord-Est”, ma il paragone è improprio sia per i numeri, sia per il non piccolo particolare che non vi sono state vittime. Gli afghani arrivano via terra, soprattutto a bordo di camion, dopo lunghi viaggi attraverso i Balcani. Uno, si racconta, è giunto legato sotto un furgone. Molti provengono dall’Inghilterra dove la stretta sull’immigrazione li ha spinti fuori dal paese.

Perché arrivano in Italia? Il prefetto di Gorizia, Vittorio Zappalorto, esasperato dalla situazione e dalle pressioni politiche, ha detto recentemente in un’intervista che «gli afghani giunti a Gorizia più che profughi sono furbi». Non solo: il prefetto, che è anche commissario straordinario a Venezia, dove trascorre cinque dei sette giorni della settimana, se l’è presa con la «commissione per i richiedenti asilo che dovrebbe smetterla di fare il loro gioco facendo spendere un sacco di soldi allo Stato». Quattrini spesi male, ha fatto intendere, per gente che «ha le carte di credito in tasca».

Carte di credito e acqua di fiume
Le cose non stanno esattamente così. Da anni l’Afghanistan vive in una situazione di instabilità politica a causa dei talebani e della guerra. Non è un caso che da trentatré anni sia il paese al mondo con la più alta percentuale di rifugiati e richiedenti asilo. Secondo l’Unhcr sono circa 2,6 milioni di persone in 82 paesi diversi. In media, nel mondo, un rifugiato su cinque proviene dall’Afghanistan e il 95 per cento di loro risiede in Iran e Pakistan. In Europa il primato dell’accoglienza è detenuto dalla Germania, che di solito è la meta anche per coloro che transitano dall’Italia.

gorizia-nazareno-immigratiResta il fatto che da inizio anno a Gorizia ne sono arrivati moltissimi, e il flusso non pare arrestarsi. Ma anche qui la storia va raccontata per intero perché dice molto di cosa accada in Italia dopo le chiacchiere dei talk show e i proclami politici. È, infatti, da gennaio che gli afghani sono arrivati a Gorizia e il primo e unico ad occuparsene, mentre le istituzioni chiudevano un occhio sperando che la buriana passasse in fretta, è stato don Paolo Zuttion, responsabile della Caritas. Don Paolo, a differenza dei sindaci e delle autorità preposte, non si è voltato dall’altra parte. E quando il prefetto ha rilasciato quell’intervista, lui, che di quelle persone se ne occupava da dieci mesi, ha commentato sarcastico che se avessero avuto le carte di credito in tasca non si capiva perché, allora, si fossero ridotti a bere l’acqua dell’Isonzo per dissetarsi. La verità è che quelli di loro con qualche spicciolo in saccoccia sono provenienti dal Nord Europa, dove hanno racimolato qualche euro con lavoretti saltuari. Gli altri non hanno altro che i loro vestiti.

Dieci mesi dopo
Don Paolo non ha ricette per risolvere il problema. Ha solo cercato di dare una mano a chi ha bussato alla sua porta. A questi uomini che avevano creato una tendopoli sulle rive dell’Isonzo ha dato una sistemazione nelle canoniche e nelle proprietà degli enti ecclesiastici. Ad aprile ha aperto loro le porte del Nazareno, una struttura a Gorizia di proprietà delle Suore della Provvidenza. A settembre – cioè dieci mesi dopo che sulle sponde del fiume bivaccavano gli afghani in condizioni disumane per il freddo, le piene del fiume e i cinghiali – finalmente qualcosa si è mosso. È stata prima aperta e poi chiusa dalla Provincia una tendopoli (ribattezzata “Campo Francesco” in onore del Papa), è stato allestito un ex capannone per dare almeno un tetto ad alcuni, è stato trovato un alloggio in un hotel a una quarantina di loro. Il 22 settembre la diocesi ha stipulato una convenzione per il Nazareno con la Prefettura e il consorzio Il Mosaico. E solo l’11 novembre il ministero dell’Interno ha trasferito un centinaio di afghani da Gorizia a Bresso, in Lombardia.

Energie, tempo e soldi
Per quasi un anno tutti hanno chiuso gli occhi e, solo quando la situazione è diventata insostenibile ed è finita sui giornali, le istituzioni hanno cominciato a occuparsene. Ma, fino ad allora, nessuno pareva curarsi degli afghani, aiutati anche dal fatto che, fino ad oggi, non c’è stata alcuna segnalazione di danni a cose o persone imputabili alla loro presenza.

Se non fosse stato per il direttore della Caritas e per qualche persona di buon cuore (anche nelle istituzioni e nell’azienda sanitaria locale, questo va riconosciuto) la situazione avrebbe potuto essere ancor più tragica e, magari, scapparci il morto. Immaginatevi, poi, le polemiche. Invece, in attesa dei tempi biblici dell’elefantiaca burocrazia italiana che ci mette mesi per vagliare una richiesta d’asilo, in attesa che lo Stato si decidesse a stanziare qualche euro, in attesa che, insomma, una soluzione piovesse dal cielo, un sacerdote tuttofare e qualche amico riunito attorno al consorzio Mosaico hanno messo energie, tempo, pazienza e soldi non per risolvere definitivamente la situazione, ma almeno per affrontarla. È già qualcosa rispetto a chi tiene le braccia conserte e i pugni in tasca.

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