VERSO IL MEETING/1 La mia rivoluzione: dalla Riviera al Cairo e ritorno

Di Hossam Mikawy
29 Luglio 2011
Cosa ci accomuna? L’essere tutti volontari in un’impresa comune. Pubblichiamo un testo dell’egiziano Mikawy, uno dei fondatori del Meeting Cairo, scritto per lo Speciale Meeting, uscito assieme al numero 30/31 di Tempi, in edicola dal 27 luglio

Comincia la marcia di avvicinamento di Tempi.it al Meeting di Rimini 2011. Per un mese troverete sul sito articoli, interviste e contributi per non arrivare impreparati alla manifestazione riminese. Si parte con un articolo firmato dal magistrato egiziano Hossam Mikawy, scritto per lo Speciale Meeting di Tempi, in edicola assieme al numero 30/31 dal 27 luglio.

Vi è mai capitato di svegliarvi con la sensazione di voler fare la differenza? Avete mai sognato circa il vostro destino e la direzione in cui la vita vi sta portando? Riflettete sui percorsi che avete attraversato quando avete incontrato degli sconosciuti che alla fine sono diventati vostri amici per il resto della vita. Su quei luoghi che sono diventati memorie di esperienze magnifiche. Durante la mia partecipazione al Meeting di Rimini come conferenziere per la prima volta nel 2009, ho osservato le qualità di cui i volontari davano prova e che facevano del Meeting un successo.

In primo luogo, la gestione delle personalità e dei relatori che causavano un assembramento nell’imminenza di un evento speciale, e come venivano fatti accomodare in modo educato e ordinato. L’energia che i volontari dimostravano, come se fossero chiamati a rappresentare l’intero popolo italiano. Mi sono accorto che esprimevano entusiasmo ed energia indipendentemente dal tipo di lavoro che era loro affidato. Semplicemente, erano in gran forma. E io mi facevo molte domande: che cosa guadagnavano i volontari dall’evento Meeting? Che cosa rappresentava per loro? Perché apparivano così felici? Le risposte erano semplici: loro incontravano persone diverse per identità culturale, religiosa ed etnica. Dialogavano e discutevano punti di vista che il resto del mondo sembrava fare un’immensa fatica a comprendere.

Così, al mio ritorno in Egitto, i miei colleghi ed io ci siamo ritrovati e abbiamo discusso l’idea di tenere un meeting simile al Cairo. Eravamo tutti d’accordo che l’Egitto aveva bisogno di mostrare al resto del mondo che anche il nostro popolo è veramente desideroso di dialogare con persone di differente credo e origine, e di mostrare i veri punti di forza dell’Egitto: la sua gente. I nostri volontari sono arrivati da ogni angolo delle più lontane regioni del paese e hanno dimostrato la loro dedizione alla causa offrendo la loro collaborazione e le loro capacità per la migliore riuscita dell’iniziativa. Tutti eravamo d’accordo – dagli organizzatori ai volontari agli sponsor – che ognuno avrebbe dovuto avere l’opportunità di partecipare e contribuire come voleva, senza timore di punizioni e critiche. Non siamo poveri. Siamo tutti ricchi quando ci offriamo di aiutare altri senza alcuna ricompensa. Ma quand’è che possiamo diventare volontari? In base alla mia personale esperienza, la decisione arriva in un momento cruciale: il momento in cui ogni uomo/donna intende mettersi alla prova e incoraggiare altri. In quel momento, ogni uomo/donna fa esperienza di sé come di una persona distinta. Dopodiché il farsi volontari rende le persone uguali: altrimenti dove saremmo?

Nel Meeting del Cairo non abbiamo fissato articoli di fede, siamo partiti dalla realtà e non da un testo scritto. Ci siamo guardati l’un l’altro per trasformare in esperienza umana la nostra illimitata varietà come singoli e come gruppi di persone. Un senso di benessere spirituale e l’approccio agli incontri può solo dare una sensazione di freschezza e di positivo calore che penetra la mente e l’anima. Lasciando in dono un ambiente rilassato, privo di violenza e di tensioni. La sensazione di percepire l’essenza e lo spirito delle persone senza dire nemmeno una parola, semplicemente sorridendo per comunicare gli uni con gli altri, o un rapido sguardo che permetteva di capire di che cosa avevano bisogno gli altri. Questo è stato il Cairo Meeting. Ovvero 230 volontari che hanno lavorato come formiche giorno e notte per avere la certezza che l’evento fosse un successo.

L’ex carcerato e il ministro
Questa atmosfera crea un senso di appartenenza alla società umana che al giorno d’oggi sembra mancare. Parlando coi nostri volontari ho raccontato loro un fatto di cui sono stato testimone a Rimini, quella volta che ho visto un ministro della Giustizia servito a tavola da un giovane ex carcerato senza alcuna esitazione o imbarazzo. Il messaggio era: lei è qui, e noi due insieme stiamo rappresentando la giustizia. E quell’altra scena che spesso mi torna in mente: ragazzi e ragazze in piedi all’ingresso di garage e parcheggi, impegnati a dirigere il traffico e a istruire le persone perché non parcheggiassero dove non era permesso.

Ma la volta che più sono rimasto sorpreso e ho fatto un passo indietro per lo stupore, è stato quando un gruppo di volontari con la maglia rossa del Meeting ha circondato il ministro italiano del Lavoro come se fossero una squadra di agenti della Cia! Queste scene ricordano cose che sono successe anche durante il Cairo Meeting. Evidentemente non importano le origini e la classe sociale: con l’aiuto di Dio e un forte senso di appartenenza e di significato, la gente può dare più del 100 per cento. L’evidenza di ciò riflette il ponte esistente fra i Meeting di Rimini e quello del Cairo. Il nostro primo evento nella serata d’apertura ha visto la presenza di oltre 2.300 ospiti. Al momento della cerimonia di chiusura nessuno ha provato una sensazione del tipo “Grazie a Dio è finita”, ma piuttosto un senso di missione compiuta e di dispiacere perché l’evento era finito.

Una settimana dopo la conclusione, i volontari si sono incontrati e hanno chiesto quando avrebbe avuto luogo il secondo Cairo Meeting, e quando sarebbero iniziate le preparazioni. Fino ad oggi quel gruppo continua ad organizzare eventi, ed è attivamente coinvolto negli avvenimenti che hanno recentemente scosso l’Egitto.
Per quanto mi riguarda, questo è e continuerà ad essere un viaggio che mi procura un infinito piacere nel vedere e nel collaborare con persone in un’atmosfera nella quale esse mostrano il vero significato dell’umanità, senza essere condizionate dalle influenze esterne del mondo in cui tutti viviamo.

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