Le fatiche quotidiane dei pionieri del Nordest

Di Gianluca Salmaso
10 Febbraio 2019
Girotondo di opinioni tra imprenditori veneti che vedono la ripresa, ma devono fare i conti con le carenze infrastrutturali del paese
Fincantieri a Porto Marghera

Articolo tratto dal numero di Tempi di gennaio. Dello stesso viaggio di Tempi in Veneto fanno parte anche l’intervista a Luca Zaia disponibile online per gli abbonati da mercoledì 6 febbraio («Dateci l’autonomia e solleveremo l’Italia») e la “scorribanda” di Francesco Benati (Dove c’è lavoro e bellezza, lì c’è il Veneto).

Dal leone al gattopardo, il balzo è breve. In una regione come il Veneto che ha come effigie il leone marciano da almeno sette secoli, cambiare felino di riferimento non è cosa tanto semplice. Ma, a sentire gli imprenditori dividersi tra slanci pionieristici e quotidiane miserie infrastrutturali, la tentazione di diventare gattopardi per testimoniare che nulla di ciò che sarebbe stato bene cambiare è stato cambiato, viene spontanea. Porto Marghera è da meno di un secolo la via d’accesso a Venezia e al mercato nordestino. Dimenticati gli anni turbolenti della petrolchimica, oggi è un territorio combattuto tra l’esigenza di reinventarsi e il peso di un ingombrante passato fatto di bonifiche e desertificazione industriale.

«Rotterdam gestisce da sola il doppio dei container di tutti i porti italiani» spiega a Tempi Damaso Zanardo, titolare dell’omonima azienda logistica attiva dal 1961. «Venezia e Trieste sono concorrenti nelle miserie perché non si capisce il valore della logistica. Non è più il mestiere dei nostri padri e Venezia deve saper fare sistema con Pordenone e Trieste per contare qualcosa».

Quando si tratta di fare sistema, Zanardo è un campione: con fondazione Marco Polo è stato il primo in Italia a organizzare un master in logistica tirandosi appresso le università del territorio. Un corso rivolto a quanti escono dalle scuole superiori e ritagliato su misura delle esigenze delle imprese, in modo da garantire il 100 per cento di assunzioni alla fine del ciclo di studi. Zanardo è uno di quei pionieri che mette letteralmente in moto il Nordest: nonostante la perenne carenza di trasportatori e la penuria di infrastrutture, riesce ogni giorno a movimentare decine di mezzi consegnando vini e alcolici a oltre 72 mila punti vendita in Italia. 

Gli stessi problemi cui va incontro Zanardo li affronta quotidianamente anche Remo Pedon: «Da Bassano a Vicenza ci vuole anche più di un’ora, e da Bassano a Treviso anche un’ora e un quarto per fare appena 50 chilometri. Passare ore in auto quando non è necessario è uno spreco». Con la sua azienda, Pedon è uno dei principali produttori e distributori di cereali e legumi pronti da servire in tavola, capace tanto di dar lavoro a 20 mila famiglie di agricoltori etiopi quanto di esportare con successo negli Stati Uniti come in Europa. «Il 2018 è stato un anno di grande incertezza a livello nazionale e internazionale. La guerra dei dazi fra Stati Uniti, Europa e Cina unita alle continue accelerazioni e frenate sulla Brexit si sono fatte sentire ma nonostante questo bisogna spingere ancora sui mercati esteri. Il mercato italiano, d’altronde, non è vivace: i consumi ristagnano o diminuiscono».

SIAMO AI BLOCCHI DI PARTENZA

Pur con diverse prospettive, di cereali si occupa anche Mauro Fanin con la sua Cereal Docks: «Siamo il leader italiano nella preparazione di ingredienti per l’industria – esordisce – l’Italia è in deficit e deve importare materie prime dall’estero, dall’Europa come dalle Americhe». Cereal Docks ha nel primo entroterra veneziano una delle sue sedi principali, attiva nello stoccaggio e lavorazione dei cereali. «Lo stabilimento doveva essere chiuso nel 2012. Abbiamo investito 60 milioni di euro per rilevarlo dalla precedente proprietà e ammodernarlo. Marghera è cambiata: ha molto sofferto ma quando si riparte le nuove attività sono bene accolte. Si respira un’aria nuova, positiva».

Quello che non è cambiato, a Marghera come altrove, è la necessità di sostenere gli investimenti: «Abbiamo bisogno di fare ricerca e innovazione – continua Fanin – le iniziative intraprese fino al 2018 vanno implementate, non abbandonate. Non potendo competere sui volumi, dobbiamo batterci sulla qualità ma per farlo servono tecnologie, formazione e sviluppo. Insomma, voglio dire, bisogna andarci piano con i tagli perché se è vero che non c’è bisogno di contributi a pioggia, quelli finalizzati alla ricerca attraverso la defiscalizzazione aiutano le imprese ad essere competitive».

A poche centinaia di metri dalla Cereal Docks, una nave prende il largo. È la Hypatia de Alejandria e ha appena compiuto rifornimento di Gnl, gas naturale liquefatto, il combustibile del futuro per i trasporti pesanti anche marittimi. Costruita nei cantieri navali Visentini, la nave spagnola è la prima del genere a solcare le acque della laguna rispondendo così ad una sfida per l’ammodernamento e l’ecologia che vede tutta la portualità italiana ai blocchi di partenza.

NON BASTA LA BCE

Quella del gas naturale è una soluzione verso cui spinge anche Armando Donazzan che, con la sua Orange1, è anche sponsor di Lamborghini Corse. «Il metano è una tecnologia pulita – spiega Donazzan –: oggi i motori endotermici hanno raggiunto efficienze notevoli e credo che l’ibrido possa essere il futuro. L’elettrico avrà certamente un suo mercato di nicchia, ma non sarà mai il mercato di riferimento». Il Veneto come si pone di fronte a queste sfide? «Il Veneto si gioca le sue carte in un mercato in evoluzione» risponde Donazzan, che con la sua azienda dà lavoro a oltre 1.600 dipendenti in una holding metalmeccanica dalle molte ramificazioni, anche nell’automotive. «Nell’immediato il 2019 ripartirà meglio di com’è finito il 2018, ma pesano grandi perplessità e incertezze. Dovremo consolidare e razionalizzare per compensare l’instabilità che sui mercati si è diffusa con la strategia dei dazi di Donald Trump».

C’è un senso di precarietà, di incertezza che aleggia sul Nordest e sono in molti a temere si tratti dell’avvisaglia di una nuova crisi, la terza in dieci anni. Una crisi tutta europea stavolta, con il Vecchio Continente stretto nella morsa fra Stati Uniti e Cina con la loro guerra dei dazi e incapace di stabilire una propria linea economica. «L’augurio per il 2019 è che l’Unione Europea possa prendere una posizione sull’economia continentale – continua Donazzan –. Non basta la Banca centrale europea, ci deve essere una politica economica comune. Dobbiamo mantenere inalterata la nostra capacità d’essere competitivi a livello globale e per farlo bisogna che i politici ci aiutino a fare pressing per una strategia comune».

IL TRIANGOLO DELLO SVILUPPO

Il Veneto delle esportazioni continua a crescere, tiene il volano del made in Italy, ma il peso della congiuntura inizia a farsi sentire così come la già citata carenza di infrastrutture. Agostino Bonomo, presidente di Confartigianato del Veneto, commentando i buoni risultati dell’export regionale non ha usato mezzi termini: «Dovremmo festeggiare, purtroppo però questi dati eccellenti nascondono un problema serio. Inizia a venire al pettine il gap infrastrutturale che sta rallentando la nostra regione nei confronti, ad esempio, dell’Emilia Romagna che, in soli tre anni, ci ha recuperato oltre 1,5 miliardi di euro di export manifatturiero. Purtroppo, il Veneto rischia di essere l’emarginato di lusso del nuovo triangolo dello sviluppo formato da Milano, il nodo emiliano e l’area centrale veneta. Come dimostrano i risultati dei nostri cugini emiliani che da dieci anni hanno l’alta velocità, la competitività delle imprese si alimenta anche con il far viaggiare e mettere in rete competenze e persone».

Vicenza è storicamente la provincia capofila nelle esportazioni ma inizia a rallentare: «Lo scorso 3 dicembre a Torino gli industriali hanno chiesto infrastrutture utili per lo sviluppo e niente tagli all’istruzione», racconta Pedon, che di Confindustria Vicenza è vicepresidente con delega all’internazionalizzazione. «Ad una realtà come quella vicentina servono infrastrutture, dobbiamo sperare nei ripensamenti del governo».

UN PO’ DI SOGNO AMERICANO

Già, il governo. Per un ponte sul Tagliamento che si inaugura, una Tav rischia di bloccarsi: non bastavano dieci anni di crisi e rivoluzioni, ora anche la politica sembra voler rimettere in discussione tutto ciò che può tenere in moto la locomotiva d’Italia.

Serve più Europa a questo Nordest che ormai compete in prima battuta sul mercato continentale e poi su quello nazionale. A fronte di un Veneto che cresce, spinge sull’acceleratore, c’è un Veneto che arranca ed è quello scottato dalle crisi bancarie del recente passato. Veneto Banca e Popolare di Vicenza hanno, con il loro tracollo, impoverito una popolazione in crisi d’identità, sospesa tra lo slancio verso il futuro e l’attaccamento ad un passato fatto di piccolo ma glorioso cabotaggio. Quando due banche del territorio vengono meno si rompe un meccanismo che vive sulla fiducia e si regge a suon di coraggio e inventiva. Pesano i risparmi violati, certo, ma pesa anche il venir meno di una serie di certezze per il futuro.

Di fronte a due banche del territorio che son cadute, una foresta di piccole realtà crescono e ripartono: Melegatti è una di queste. La corsa ad acquistarne i prodotti per assicurare un futuro agli operai è emblematica dell’attaccamento dei veneti alle proprie aziende, ai propri vicini. C’è una cultura della ripartenza che profuma di sogno americano anche nella caparbietà con cui Damaso Zanardo sta trasformando alcuni stabilimenti abbandonati nei pressi dell’aeroporto di Treviso in un expo permanente per i suoi prodotti ma non solo. «Dovevo demolire tutto ma me ne sono innamorato – racconta –, l’abbiamo chiamato Open Dream e sarà grande 100 mila metri quadrati, come Fico».

UNA SCUOLA PER 180 BAMBINI

Stessa tenacia, diversi orizzonti per Remo Pedon che ha costruito una scuola per 180 bambini, figli dei suoi dipendenti dello stabilimento etiope del gruppo, un’iniziativa che ha colpito persino Bill Gates al punto da spingerlo a visitarla di persona. 

Il Veneto insiste e resiste, come le sue imprese. Perso il mito del capannone, la nuova generazione degli imprenditori del Nordest vive in una dimensione continentale, respira l’aria d’Europa e bada meno a talune velleità degli scorsi decenni auspicando un maggiore pragmatismo. «Noi per primi pagheremo il conto di questa politica instabile – conclude Donazzan – una politica solo monetaria e di dazi finisce col drogare il mercato. Quello di cui abbiamo bisogno è la stabilità». E di un pizzico di buonsenso.

Foto Ansa

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