
Veleni a Reggio Calabria. Le “Intercettazioni preventive” e la denuncia del pg Di Landro
Tempi.it aveva già dato notizia (qui) della relazione inviata il 17 giugno dal procuratore generale di Reggio Calabria, Salvatore Di Landro (nella foto), al Consiglio superiore della magistratura, al ministero della Giustizia e al procuratore generale di Cassazione, vale a dire a tutti i superiori organi giudiziari del Paese, responsabili anche di compiti ispettivi nell’operato della magistratura. Il report Di Ladro, con parole di fuoco, faceva seguito alla scandalosa scomparsa del pentito di ‘ndrangheta Nino Lo Giudice, avvenuta lo scorso 7 giugno, e accompagnata dall’invio al tribunale di Reggio Calabria di un corposo memoriale in cui lo stesso pentito sconfessa tutte le sue precedenti dichiarazioni. Dal 2011 allo scorso giugno, Di Landro era stato ritenuto dalla procura di Reggio Calabria uno dei più importanti pentiti di ‘ndragheta, tanto attendibili che dalle sue dichiarazioni si sono aperte indagini anche sull’ex viceprocuratore nazionale antimafia Alberto Cisterna, poi archiviate perché le accuse si sono rivelate prive di riscontri. Di Landro, nel memoriale, definisce Lo Giudice «un modesto burattino che fa parte di un sistema ed inserito come una pedina in un gioco, che sicuramente lo trascende e lo determina».
INTERCETTAZIONI PREVENTIVE. La vicenda dei “veleni della procura a Reggio Calabria” si arricchisce di una nuova puntata. La relazione di Di Landro contiene anche altri elementi, certamente ancora tutti da verificare e approfondire con indagini adeguate. È lo stesso Di Landro a sottolinearlo, spiegando però tutta la gravità di quello che potrebbe stare accadendo dentro il palazzo di giustizia calabrese e che definisce «il caso riguardante le intercettazioni preventive». Scrive il procuratore generale, chiedendo di fatto un’ispezione degli organi a cui indirizza la sua relazione, anzitutto che, a parte il caso Lo Giudice, ci sarebbero «altri fatti tenebrosi, inquietanti, suscettibili di ulteriori sviluppi anche secondo la stampa locale che li segue con la massima attenzione». Di Landro evidenzia: «Per il loro frenetico accavallarsi non sono stati ancora acquisiti da questo ufficio elementi certi, concreti di rilievo». E prosegue: «Pur tuttavia (…) da qualche tempo assume sempre maggiore consistenza l’assunto di possibili “intercettazioni preventive”, che sarebbero di dubbia legalità o comunque del tutto inopportune per la carenza di ragioni tanto serie da giustificare il ricorso ad un mezzo così abnorme, soprattutto nei confronti di magistrati operanti in questa città. Di tale fatto, che suscita perplessità, preoccupazione ed indignazione, allo stato nulla consta a questo Ufficio, che comunque si riserva di svolgere gli opportuni accertamenti con la prudenza che il caso impone e con l’osservanza dei limiti consentiti».
FURTO ALL’ARCHIVIO. Chi coinvolgano queste intercettazioni, da chi siano state ordinate e da chi eseguite, e quale grado di fondatezza abbia la denuncia di Di Landro, che seppur dicendo di non aver in mano elementi certi sceglie di parlare anche di questo fatto, è impossibile dirlo. Nella relazione del procuratore infatti non si legge altro. Se non un’altra segnalazione: «Pochi giorni prima dell’insediamento del nuovo procuratore capo, dott. Federico Cafiero de Raho, è stato violato l’archivio della procura della Repubblica di Reggio Calabria, collocato al quinto piano del palazzo Ce.Dir e, sembra, destinato anche al deposito delle eventuali cosiddette intercettazioni preventive su personaggi politici e magistrati».
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