Ve lo ricordate Matthijs de Ligt?

Il difensore olandese considerato un predestinato ai tempi dell'Ajax e voluto fortemente da Juventus e Bayern non ha mantenuto le promesse. E oggi rischia di nuovo di non giocare contro l'Austria

Il difensore olandese Matthijs de Ligt, in maglia blu, in azione contro il Canada in un’amichevole prima di Euro 2024, competizione in cui non ha ancora giocato (foto Ansa)

Quel gol aveva immediatamente assunto un significato simbolico. E non solo perché era stato segnato da uno che, in linea teorica, aveva il compito di sventare le reti altrui. Il colpo di testa con cui Matthijs de Ligt aveva spedito la Juventus fuori dalla Champions League nell’aprile del 2019 era apparso come un segno del destino, una boccata di ossigeno, il trionfo di una filosofia illuminata sull’oscurantismo del pallone conservativo e contropiedista. Il calcio fresco dei giovani dell’Ajax aveva cannibalizzato quello paludato dei campioni bianconeri. Una differenza che neanche Cristiano Ronaldo in persona, arrivato a Torino proprio per regalare alla Signora una Champions diventata ormai ossessione, era riuscito a ribaltare.

In quella serata De Ligt aveva smesso di essere un semplice centrale difensivo. Era l’espressione di una certa tradizione olandese tornata dal passato per scrivere il futuro. Il ragazzo di Leiderdorp era qualcosa di mai visto prima. Un monolite forte fisicamente ma dotato di due piedi da regista, frutto anche del suo impiego forzato in mediana ai tempi delle giovanili. Serviva ad aumentare la sua rapidità di movimento e di lettura del gioco. O almeno così dicevano i suoi vecchi allenatori.

Una carriera avviata verso vette altissime

A soli 19 anni la sua carriera era già avviata verso vette altissime. Si diceva che fosse già pronto per un posto da titolare in uno qualsiasi dei top club del Vecchio Continente. Si parlava per lui di un avvenire da predestinato. Qualsiasi cosa volesse dire. Oltre alle sue doti tecniche, però, a impressionare era anche la sua sconfinata sicurezza nei propri mezzi. Una volta gli domandarono se non si fosse già stufato di avere a che fare con la stampa. A 18 anni. La sua risposta aveva lasciato molti a bocca aperta: «No, mi piace manipolare i giornalisti». De Ligt era molto più del difensore del futuro. Era un calciatore in grado di plasmare il domani, di dominarlo. La Juventus in particolare sembrava essere stata colpita da una strana Sindrome di Stoccolma.

Visto che era stata eliminata dalla Champions per mano dell’Ajax, si era convinta che per vincere la coppa con le orecchie bastasse travestirsi da Ajax. Allegri, nonostante le due finali conquistate e perse, era stato allontanato per far posto a un allenatore «giochista». E al centro della difesa, fra Bonucci e Chiellini, era stato inserito proprio  De Ligt, l’uomo che aveva infranto i sogni bianconeri. Che poi era esattamente quanto di più lontano da Bonucci e Chiellini. L’esborso fu monstre. Settantacinque milioni di euro per il cartellino. Più di 10,5 milioni di «oneri accessori». Più otto milioni netti l’anno di stipendio.

De Ligt cinque anni dopo

Cinque anni dopo, però, l’impressione è che non tutte le premesse siano state rispettate. Lontano da Amsterdam De Ligt ha dovuto fare i conti con quel verso di Pavese che recita: «Ma è un gioco rischioso prender parte alla vita». Le sue tre stagioni alla Juventus sono state un saliscendi fra grandi prestazioni ed errori macroscopici. Un po’ come successo anche nel Bayern Monaco, che nell’estate del 2022 lo ha acquistato per 67 milioni di euro più bonus. L’ultima annata è stata piuttosto travagliata. Per i problemi fisici che lo hanno perseguitato, ma anche per un rendimento non sempre perfetto. A inizio anno Tuchel ha deciso di puntare sulla coppia Upamecano- Kim. Tanto che nelle prime 4 partite l’olandese ha giocato appena 37 minuti.

Poco spazio al Bayern, ancora meno in Nazionale

Il problema si è fatto ancora più macroscopico a febbraio, quando il tecnico ha deciso di lasciare il centrale in panchina nella fondamentale sfida contro il Bayer Leverkusen (persa  3-0) e poi ancora quattro giorni più tardi, contro la Lazio. Una scelta che Tuchel aveva prima giustificato con un’esigenza tattica («Volevamo aggredire forte l’avversario fin dal primo minuto») e poi con le condizioni non ottimali del giocatore («Sta vivendo un momento difficile. La lotta per il posto è davvero forte. Nel fine settimana ha avuto un po’ di dolore alla schiena ed è stato curato in albergo. Ho deciso di non farlo partire e di non rischiare»). Una versione che era stata immediatamente confutata dall’olandese, che in quell’occasione aveva detto ai giornalisti di essere «al top della forma».

Per giorni il centrale è stato dipinto ingastrito e scontento, quasi «inutile e triste come la birra senza alcool» di Enrico Brizzi in Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Le cose sono migliorate pian piano, con un finale di stagione che lo ha visto di nuovo protagonista grazie anche alla flessione di Kim. Il lieto fine, però, è ancora lontano. Perché il ruolo di De Ligt in questa Olanda è più vicino alla comparsa che al protagonista. Zero minuti contro la Polonia. Zero minuti contro la Francia. Un peso così difficile da sostenere che il difensore ha deciso di farsi aiutare da uno psicologo, infrangendo così un grande tabù di un ambiente in cui l’attenzione alla salute mentale è a volte ancora considerata una barzelletta.

Il rapporto tra De Ligt e la Nazionale

«Certi momenti possono essere duri – ha detto De Ligt – parlarne con qualcuno può aiutare, così magari ti senti più leggero e  puoi rimettere le energie sul campo, invece di perdere tempo con certi pensieri negativi. Così continuo ad allenarmi per migliorare me stesso» E ancora: «Puoi essere contento anche se fai la riserva ed entri ma diciamo che senti meno certe sensazioni se la tua partecipazione e’ stata marginale, e anche una vittoria non ha lo stesso sapore». In verità il rapporto fra il centrale e la sua Nazionale è stato molto più complesso del previsto. Soprattutto nelle grandi occasioni. A Euro 2020, che poi si era giocato nel 2021, De Ligt aveva saltato l’esordio contro l’Ucraina e poi era stato schierato titolare contro l’Austria dall’allora ct Frank de Boer.

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A fine partita Marco van Basten non aveva speso parole al miele per Matthijs: «Lui è un difensore centrale e deve trasmettere più leadership. Deve farsi sentire, farsi valere perché deve guidare la difesa. Invece corre semplicemente dietro al suo uomo, lasciando un enorme buco. De Ligt è andato in Italia per imparare a difendere, ma non credo che lì abbia imparato molto». Il disastro era arrivato poco dopo.

Da mister 85 milioni a panchinaro

Negli ottavi di finale contro la Repubblica Ceca De Ligt si era fatto espellere al 55°, sul parziale di 0-0. E la sua uscita aveva cambiato gli equilibri della gara, con i cechi che si erano imposti per 0-2. Un anno più tardi, nei Mondiali in Qatar, l’aria si era fatta più pesante. De Boer aveva lasciato la panchina a Van Gaal, un campione del mondo di autostima che non stravedeva per De Ligt, finito dietro a Virgil van Dijk e Stefan de Vrij. A chi gli chiedeva di queste nuove gerarchie il ct aveva risposto: «Come mai prima de Ligt era sempre titolare? Beh, l’allenatore non ero io».

In Qatar il difensore aveva giocato 90’ nell’esordio contro il Senegal. E appena un giro di lancette contro gli Stati Uniti negli ottavi di finale. Un copione che si sta ripetendo anche ora, nell’Europeo tedesco. Un paradosso tutto particolare. Perché uno dei difensori più ammirati della sua generazione fatica a trovare spazio stabilmente nella sua Nazionale. Una situazione che nessuno avrebbe mai immaginato possibile per mister 85 milioni.

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