Vatileaks. Così la stampa si è ridotta a buca delle lettere (rubate)

Di Ubaldo Casotto
29 Luglio 2012
I giornali sono stati spiazzati dalla lezione della Santa Sede. Dove le notizie si verificano e non si copiano. E dove la giustizia non obbedisce alle regole dello show. Il resto sono chiacchiere e veleno. Che non intaccano l’azione rivoluzionaria di Benedetto XVI

All’ipocrisia non c’è limite. Sentire il celebrato cronista giudiziario Gianluigi Nuzzi difendersi dall’accusa di ricettazione di documenti rubati, e confluiti in un faticoso lavoro di copia e incolla nel libro che lo sta rendendo ricco, fa sorridere: «Non si tratta di furto, gli originali non sono stati asportati, sono stati solo fotocopiati». Al giornalista che, dimostrando una grande attitudine a travestirsi da buca della posta, ha ridicolizzato anni di oscuro lavoro dei vaticanisti è evidentemente concesso prendere per fessi tutti gli altri. Chissà come valuterebbe la fotocopia dei codici della tessera bancaria per le operazioni on line sul suo conto corrente; fotocopia che, beninteso, lascerebbe l’originale nelle sue tasche, forse non i suoi euro. E se qualche collega assatanato dal morbo della trasparenza e della deontologia professionale (“se ho una notizia, la pubblico!”) decidesse di rendere pubblico ciò che lui ritiene segreto (“È roba mia”, forse che le lettere private del papa non lo sono?), l’indignato dei segreti altrui come reagirebbe?

Al di là di molte fantasie giornalistiche, si sa come ha reagito ufficialmente la Santa Sede, dopo non pochi tentennamenti: un’indagine giudiziaria e una parallela inchiesta portata avanti da una commissione composta da tre cardinali che riferirà direttamente al Papa. Dei lavori della prima poco sappiamo. Sappiamo che all’inizio della scorsa settimana aveva completato l’audizione di ventotto persone, la notizia arriva dal direttore della sala stampa vaticana padre Federico Lombardi, la sua fonte è il capo della commissione, il cardinale spagnolo Julian Herranz. «Le audizioni continuano con il loro ritmo», ha detto Lombardi, aggiungendo che «entro le prossime settimane, probabilmente entro fine luglio, i cardinali dovranno fare un rapporto per il Papa».

Dei risultati della seconda indagine sappiamo un po’ di più: l’arresto dell’aiutante di camera di Benedetto XVI, la sua detenzione per quasi sessanta giorni, la sua volontà di collaborare con gli inquirenti manifestata durante i ripetuti e lunghi interrogatori (in Vaticano non gli hanno fatto passare l’estate in cella mentre il pm andava in vacanza), la concessione degli arresti domiciliari, e l’annuncio di una imminente decisione riguardo al proscioglimento o al più probabile rinvio a giudizio dell’accusato (che, fino a prova contraria, è per ora l’unico) con un inizio processo nel prossimo autunno. Come si vede, pur trattandosi di una istituzione millenaria come la Chiesa cattolica, tempi di giustizia non propriamente biblici. E una invidiabile capacità di mantenere il segreto istruttorio che ha messo in difficoltà molti giornalisti, abituati da magistrati di altra pasta a ricevere fotocopie (quando non direttamente dischetti) degli atti riservati.

Nel frattempo, quindi, mentre sembra si sia arrestato il flusso di documenti in uscita dalle mura leonine, non si è fermata la fantasia dei nostri colleghi cronisti. Lunedì scorso, nel silenzio del resto della stampa, Repubblica ha pubblicato una non proprio originale ricostruzione dei risultati “a sorpresa” dell’inchiesta, con lo scoop di tre nuovi indagati: due ecclesiastici (un cardinale, Paolo Sardi, che aiutava il Papa a redigere i suoi discorsi, e un vescovo, l’ex segretario di Ratzinger alla Dottrina della fede, Josef Clemens) e un laico dipendente del Vaticano (una donna, Ingrid Stampa, l’unica persona – si dice – in grado di decifrare correttamente la grafia del Pontefice e per questo stretta collaboratrice di Benedetto XVI e “intermediaria” tra lui e Sardi). Ricostruzione non proprio originale – si diceva – perché ricordava molto da vicino un’analoga operazione di un giornale tedesco. Il tempo di accorgersene e nella stessa mattinata di lunedì arrivava una durissima smentita di padre Lombardi. Non la prima per il quotidiano di Largo Fochetti.

Un bel copia e incolla
Il direttore della sala stampa ha risposto alle “rivelazioni” di Repubblica con una nota per Radio vaticana. Scrivere che «dopo l’arresto del maggiordomo del Papa, altre persone sarebbero state sottoposte a indagini: la governante tedesca Ingrid Stampa, l’ex segretario personale di Joseph Ratzinger, il vescovo Josef Clemens, e l’ex vice Camerlengo, il cardinale Paolo Sardi» è un’invenzione con l’aggravante del plagio, perché «copiata da un articolo del giornale tedesco Die Welt». Lo spunto delle fantasie “repubblicane” era una frase del cardinale Julian Herranz, capo della Commissione d’inchiesta di nomina pontificia il quale giorni fa aveva dichiarato: «Ci saranno sorprese». La sorpresa, invero parziale vista la frequenza con cui padre Lombardi è stato costretto negli ultimi mesi a interventi simili, è nella durezza della smentita: «L’articolo di Repubblica di questa mattina sulla vicenda della fuga di documenti vaticani ricopia (in diverse espressioni anche letteralmente e non solo nella citazione finale) un articolo firmato da Paul Badde, apparso su Die Welt on line una settimana fa (15 luglio), senza aggiungere praticamente nulla se non alcuni argomenti non pertinenti e interpretati in modo infondato. Faccio notare che l’articolo di Die Welt non era stato ripreso finora dalla generalità della stampa tedesca, che ne aveva giustamente riconosciuto l’evidente parzialità e la grave responsabilità di indicare alcune persone come corresponsabili senza argomenti oggettivi. Per questo non avevo ritenuto opportuno reagire ad esso con decisione».

Il testimone non è un indagato
Poi la correzione in punta di diritto di una malevola estensione di correità cui la stampa italiana ci ha abituato negli ultimi anni. Se l’apertura delle indagini su una persona e il conseguente avviso di garanzia venivano ormai offerti all’opinione pubblica come l’indicazione di un colpevole, più recentemente anche l’essere ascoltato come testimone o come persona informata sui fatti getta un’ombra di sospetto sul convocato. Padre Lombardi, che oltre a un curriculum studiorum in matematica e teologia vanta un ascendente giurista in famiglia (è nipote di Gabrio Lombardi), ha ricordato al vaticanista di Repubblica che essere ascoltati in Commissione non vuole dire «in alcun modo essere sospettati o indagati». In merito alle coincidenze che l’articolo segnala come significative di una caduta in disgrazia dei tre “indagati” e del loro allontanamento dagli incarichi, Lombardi spiega a muso duro: «L’affermazione, fatta per dovere: “Come è ovvio, per tutti vale la presunzione di innocenza”, alla luce dell’articolo e della sua presentazione appare perlomeno ipocrita. Quanto all’allontanamento dai loro incarichi, il cardinal Sardi ha terminato il suo compito in Segreteria di Stato quando aveva ormai compiuto i 75 anni, la signora Stampa continua a lavorare in Segreteria di Stato, e Sua Eccellenza Clemens è Segretario del Pontificio Consiglio dei Laici da diversi anni ed è falso che abbia ricevuto dal Papa una lettera come quella descritta nell’articolo di Die Welt (lettera a cui Repubblica fa riferimento solo indirettamente)». La durezza della replica del padre gesuita è rafforzata dall’accusa di recidiva con cui colpisce Repubblica. Lombardi ha ricordato e smentito l’intervista con la presunta moglie del maggiordomo del Pontefice (pubblicata il 27 maggio); l’intervista con un monsignore non identificato che affermava l’esistenza di una équipe di relatori capeggiata da una donna che doveva riferire direttamente al Papa; il presunto hacker aggirantesi nei sotterranei della Santa Sede, misteriosamente scomparso. Aveva già dovuto farlo in altre occasioni, dicendo con ironia che non c’era nessun giornalista nascosto nella stanza del Papa durante un suo incontro con il segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone; né i due interlocutori hanno riferito alla stampa cosa si sono detti, per cui «I virgolettati riportati da un quotidiano (Repubblica, ndr) – disse – sono frutto di una costruzione, e il contenuto non corrisponde alla realtà oggettiva». «Questo non è giornalismo», ha ribadito senza giri di parole in una irrituale quanto significativa intervista concessa nella sera di lunedì 23 luglio al Tg1.

Turbolenze mediatiche
In attesa di vere novità sulle due inchieste, resta da fare il punto sulle altre turbolenze mediatiche che hanno coinvolto i vertici della Chiesa cattolica in questi mesi e alcune loro istituzioni. In primis lo Ior. La temuta valutazione di Moneyval sui criteri di trasparenza nelle operazioni della banca vaticana, pur non essendo totalmente soddisfacente, non ha bocciato la riforma presentata dalla Santa Sede come molti “corvi” di altra natura avevano auspicato. La nomina del nuovo presidente dell’istituto, che succederà a Ettore Gotti Tedeschi, non avverrà in tempi immediati, comunque non prima dell’autunno. Oltretevere hanno deciso di non prendere decisioni sotto l’incalzare della pressione mediatica. Prendersi il tempo necessario per questa scelta – ha detto la settimana scorsa padre Lombardi – non è il sintomo di uno “stallo”. «Ci sono i tempi naturali di consultazione – ha sottolineato –, per fare delle proposte, chiedere alle persone se sono disponibili, e poi l’estate vale per tutti, non è il tempo per attività e incontri dal ritmo intenso». Padre Lombardi in quell’occasione ha anche smentito gli articoli di stampa che hanno parlato della nomina di una commissione o di un commissario per risolvere la situazione. «Questo non è previsto», ha detto.

La volontà di purificazione
Più delicata della partita per la banca vaticana c’è solo quella di chi, dentro e fuori la Chiesa, si sta preparando al prossimo Conclave. Tutto il battage mediatico, che non ha necessariamente una regia unica, è il riflesso di interessi che in modo semplicistico vengono ricondotti a questioni di potere economico (che non mancano) ma che hanno il vero focus nella successione a Benedetto XVI. Il suo pontificato sta diventando più lungo del previsto, la sua salute non mostra cedimenti se non quelli normali per l’età (85 anni), è intatta la lucidità con cui persegue il suo programma di riforma che, e questo confonde i suoi avversari, non è un programma ma una volontà di purificazione. La durezza con cui ha affrontato lo scandalo della pedofilia ha avuto ripercussioni profonde e positive nel tessuto ecclesiale. In America le nomine in importanti diocesi hanno ridato vita e protagonismo pubblico a una Chiesa che solo pochi anni fa era intimidita, impaurita se non annichilita; come notava il cardinale Camillo Ruini presentando il secondo libro di George Weigel su Giovanni Paolo II a Roma il 22 giugno scorso: «Sono stato recentemente negli Stati Uniti, ho rivista una comunità cristiana vivace e presente». In Irlanda non è intervenuto solo con nuove nomine, ma ha avuto il coraggio di mettere mano alla struttura amministrativa delle diocesi. Ha commissariato una delle congregazioni religiose più potenti e formalmente più fedeli al Soglio di Pietro, i Legionari di Cristo. In Italia ha resistito a un anno di pressing per la nomina dell’arcivescovo della sede più importante nel mondo per riuscire a imporre la sua scelta, il cardinale Angelo Scola. Su una questione decisiva per la Chiesa italiana, come quella dell’Università Cattolica non ha esitato, anche qui dopo una campagna stampa con pubblicazione di documenti e corrispondenza riservata, a respingere il progetto del suo Segretario di Stato per garantire l’indipendenza dell’ateneo milanese.

Il viaggio in Gran Bretagna
A chi in questo vedeva una mossa di schieramento ha risposto, chiudendo le polemiche che puntavano a una sostituzione del cardinal Bertone, con una lettera che di fatto rinvia di un anno la decisione: era troppo evidente che gli attacchi al porporato salesiano non miravano tanto a una sua caduta (anche), ma a un indebolimento del Pontefice e dell’istituzione stessa del pontificato. Con la beatificazione di Henry Newman ha rovesciato i pronostici di fallimento che aleggiavano sul suo viaggio in Gran Bretagna e dato sostanza al suo appello sul nuovo illuminismo nel confronto con la modernità in base a un rinnovato e più largo concetto di ragione. Con le ultime nomine ha ulteriormente internazionalizzato la Curia romana, alla quale, in un memorabile discorso di auguri per l’ultimo Natale, ha detto chiaramente di aver visto il futuro della Chiesa e della fede durante il suo viaggio in Africa, e le conseguenze di queste parole potrebbero rendersi evidenti nel prossimo concistoro. Le sue preoccupazioni vanno ben oltre le propalazioni a mezzo stampa sugli assetti di curia che appassionano il mondo politico ed ecclesiastico, e per le quali il Papa è “addolorato” ma non ne fa una “tragedia” (copyright padre Lombardi). Basti un veloce elenco per ridimensionare il tutto: il duro scontro in atto in Cina con la Chiesa patriottica e con il regime; il delicatissimo confronto con l’islam che spazia dai rischi di ulteriore emarginazione dei cristiani che le cosiddette primavere arabe portano con sé all’aperta persecuzione in Nigeria; gli spazi di un dialogo con l’Ortodossia; la speranza e nello stesso tempo la fonte di problemi che è la Chiesa africana, dove comunque la crescita dei fedeli ha un andamento esponenziale. Il rientro nella comunione cattolica di parti significative dell’anglicanesimo, e la chiusura dello scisma lefevriano.

Un’idea vale mille immagini
Ma, soprattutto, l’elemento programmatico più decisivo di questo pontificato, da cui forse dipenderà la profondità della sua incidenza culturale ed ecclesiale, sarà l’anno della fede, il culmine magisteriale di una convinzione radicata in Benedetto XVI, per cui il riconoscimento della presenza di Cristo oggi ha a che fare con l’intelligenza, ma se l’intelligenza della fede non diventa intelligenza della realtà non può essere di alcun interesse per l’uomo moderno: «La crisi della predicazione cristiana, che da un secolo sperimentiamo in misura crescente, dipende in non piccola parte dal fatto che le risposte cristiane trascurano gli interrogativi dell’uomo: esse erano giuste e continuavano a rimanere tali però non ebbero influenza in quanto non partirono dai problemi e non furono sviluppate all’interno di essi». Il teologo Joseph Ratzinger scriveva queste parole nel 1969, quarantatré anni fa. Non sembra aver cambiato idea, e «siamo in un momento in cui una vera idea – come disse, appena eletto Papa, a uno stupito Joaquín Navarro-Valls che gli spiegava l’importanza della comunicazione nel mondo dell’immagine – vale mille immagini». Quando il Papa parla di purificazione, secondo voi pensa a Gianluigi Nuzzi?

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1 commento

  1. gmtubini

    Se qualcuno mettesse on line tutti i libri di Nuzzi dicendo che sono solo delle copie?

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