
Vasco, il medico e l’ebreo
«Nella società contemporanea le forze di un singolo individuo possono bastare a costruirsi una carriera, ma non a soddisfare il bisogno elementare di vivere un’esistenza umana. Solo nell’ambito di un popolo l’individuo può vivere come un uomo fra gli uomini senza rischiare di morire per mancanza di forze. E solo un popolo in comunità con altri popoli può contribuire a costruire sulla terra un mondo umano creato e gestito dalla collaborazione fra tutti gli uomini». Così Hannah Arendt cinquant’anni fa, nel suo Il futuro alle spalle. E oggi? «Il bisogno elementare di vivere un’esistenza umana», «l’ambito di un popolo», «in comunità con altri popoli»… son parole che fanno a pugni con la chiusura dell’ultima canzone di Vasco Rossi. «Siamo soli, siamo soli, siamo soli» ripetono le radio di tutta Italia tra l’imbarazzo dei dj che al ferale giudizio devono poi far seguire l’annuncio dei «consigli per gli acquisti». E l’imbarazzo è comprensibile, il giudizio del rocker sembra ben dipingere, nel can can di pubblicità trenta-secondi-trenta, la situazione attuale. Che la Arendt si sbagliasse? «Siamo soli» come ha fatto cantare Vasco a 120mila ragazzi a Imola? Cos’è un popolo? Dov’è?
Veniamo tutti da Ur
«Sono solo un professore di Medicina del Lavoro, non un teologo. Quel che dico, non l’ho studiato, l’ho semplicemente… pensato» attacca Giancarlo Cesana. «Sono un dilettante allo sbaraglio – replica il neo direttore delle news di La7, Gad Lerner -. Ma sono mosso da una grande curiosità nei confronti dei cristiani. Ho sempre amato scrutare, indagare, cercar di capire la loro mentalità». È sabato pomeriggio, sul gigantesco palco dell’Idroscalo di Milano, solitamente calcato dai cantanti in voga dell’estate, si incontrano il medico e il giornalista. I promotori dell’“Happening 2001, Vivere alla grande” li hanno invitati a discutere sul «criptico titolo dell’incontro», come ammette il direttore di Tempi, Luigi Amicone, moderatore del dibattito, «Veniamo tutti da Ur». Ur, la città d’origine di Abramo, che cosa ha a che fare con un medico cattolico e un giornalista ebreo editorialista del Corriere? All’apparenza nulla, se non che «un giorno, durante un dialogo con don Giussani – spiega Cesana – l’ho sentii mormorare: “ è una grande confusione la vita”. Presi la palla al balzo e gli chiesi: “se la vita è confusione, nel suo livello immediatamente percettivo, o Mistero, nel suo senso più radicale, che differenza c’è fra me, cattolico, toccato da questo Mistero, e un altro?”. E lui, fulmineo, “è la differenza che c’è fra l’io e il non io”. E quindi mi ha introdotto alla figura di Abramo, il capostipite, l’uomo che Dio ha toccato. Essere toccati da Dio significa che Dio ci vuole, ci sceglie, ci fa sentire unici e irripetibili, diversi dalla terra e dalla sabbia. Il nesso che io sento con quel che capitò ad Abramo è che, come Abramo, sono stato raggiunto da Qualcuno che mi ha fatto scoprire l’io, che cosa sono io». E poi, rivolto a Lerner, «perché ciò che mi distingue dall’ateo non è l’idea di Dio, su cui, credo, siamo entrambi confusi, ma l’idea dell’io». «In Abramo vedo scaturire in terra la mia radice» proclama Lerner. «Il riconoscimento, la scelta coraggiosa di Abramo non è solo un fatto storico, ma anche l’indice di una comune storia spirituale e di appartenenza. Il patto fra Dio e il popolo di Israele è ancora valido, è persistente».
Quel bigliettino nel muro
Fa caldo. Fa terribilmente caldo all’Idroscalo di Milano. Ad un passo dal grande prato, su cui sono assiepate 2000 persone, s’allargano le piscine. Un bel bagno sarebbe l’ideale. Ma nessuno se ne va. Il solo Lerner, scusandosi, si sposta dalla sua postazione assolata per avvicinarsi ad una zona d’ombra. Il “pessimo ebreo”, come lui stesso si definisce, non rinuncia però a gettare altra legna sul fuoco del dibattito; snocciola qua e là nel suo discorso temi su cui i teologi dibattono da secoli: «Primo Testamento e non Vecchio Testamento, impronunciabilità del nome di Dio, la raffigurazione del divino». Non sono sottigliezze linguistiche e artistiche. Cesana e Lerner sono concordi: «la radice è la stessa». Ma la storia fra ebrei e cristiani è stata spesso contrassegnata da lacerazioni, da contraddizioni, scontri e incomprensioni. «È una storia insanguinata» ricorda Cesana. «Va innanzitutto riconosciuto che gli ebrei hanno portato nel corso della storia il pondus di un compito loro affidato. Un compito gravoso perché ciò che definisce l’io ebraico è l’appartenenza a Dio. È un mistero che si comunica di generazione in generazione, è una storia fatta di carne e di sangue. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che è un rapporto “esclusivo”. Per il cristiano esiste la mediazione umana: “per Mariam”. “Il Benedetto”, Cristo, è conosciuto attraverso una donna; non si comunica più per discendenza ma per una adesione della libertà. La libertà è la facoltà dell’uomo di aderire a ciò che riconosce come vero». Ed ecco Lerner venire allo scoperto: «per me la libertà è il rapporto con la “non umanità” di Dio». Si è forse toccato il cuore del problema: l’umano. Ma Lerner si dimostra fiducioso nel proseguire, pur riconoscendo la distanza, «perché consapevole della possibilità di un dialogo. Io è come se girassi attorno a questo punto con un senso di fiducia. Provo quasi un certo gusto nell’occuparmi di queste vicende, non è un caso che scriva spesso dei viaggi del Papa. Vedo la possibilità di una “interferenza reciproca” che possa essere fruttuosa per entrambi, ebrei e cristiani». E racconta un episodio-simbolo di quello che lui considera un avvicinamento fra le parti: «quando Giovanni Paolo II ha inserito il foglietto nel Muro del Pianto un diplomatico ebreo mi ha confidato la propria emozione per aver vissuto quel momento storico. “Sai perché con quel gesto ha spazzato via una secolare diffidenza verso i cattolici?” mi ha chiesto. “Perché allora abbiamo capito che non era venuto a convertirci”». Annuisce il medico che conferma come «negli ultimi anni i passi in avanti nei rapporti fra ebrei e cattolici siano stati notevoli». E il dibattito prosegue fra discorsi sull’attualità politica, sulle possibilità d’incontro ecumenico, su questioni di rilevanza culturale. Termina a tavola, in linea con lo spirito dell’iniziativa, di fronte a una grigliata di carne. E con Gad Lerner che rispondendo al telefono spiega: «dove sono ora? Con amici all’Happening».
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