Usa. La guerra interna al partito repubblicano rafforza Biden

Di Daniele Meloni
05 Gennaio 2023
Nemmeno l'investitura di Trump ha sbloccato l’elezione di Kevin McCarthy a speaker della Camera. La figuraccia rimediata dal GOP, lacerato dai ribelli, fa il gioco del presidente proprio nel momento in cui i democratici hanno perso uno dei due rami del Congresso

Alla fine nemmeno l’investitura di Donald Trump ha sbloccato l’elezione di Kevin McCarthy a speaker della Camera dei Rappresentanti. Anzi, il passaggio dell’ex presidente da (presunto) piromane a pompiere ha lasciato piuttosto freddi i 20 ribelli che tengono in ostaggio McCarthy: Matt Gaetz, il rappresentante della Florida e rebel in chief, capo-ribelle, ha subito tenuto a rimarcare che lui avrebbe continuato a dire no alla nomina dell’ex leader della minoranza repubblicana alla House. Se Trump voleva dimostrare la sua centralità negli equilibri del GOP ed essere il “grande paciere” del partito, il suo tentativo è fallito miseramente.

Il partito repubblicano risulta lacerato in due fazioni: la sua struttura parlamentare, che rappresenta l’establishment del GOP e vuole la nomina di McCarthy, e gli hard-liners, i duri e puri, che magari condividono anche alcune idee del trumpismo, ma sembrano delle mine vaganti che rispondono più a interessi locali del loro elettorato che non a The Donald o allo stesso Ron DeSantis, il suo grande rivale per la nomination a candidato presidente dei repubblicani nel 2024. Il governatore della Florida non si è ancora espresso al riguardo.

«McCarthy è il problema, non è la soluzione»

Era dall’elezione di Frederick Gillet nel 1923 che non andava in onda uno stallo del genere alla Camera, con la votazione per lo speaker andata a vuoto e non decisa al primo giro. Dopo 6 votazioni non sembra che McCarthy riesca a sbloccare la situazione. Parafrasando Ronald Reagan uno dei congiurati ha affermato: «McCarthy è il problema, non è la soluzione». Qualcosa, però, si sta muovendo. Se nelle prime votazioni il cavallo su cui puntavano i ribelli sembrava poter essere Jim Jordan dell’Ohio, ora i 20 voti mancanti a McCarthy sono stati trasferiti a Byron Donalds, anch’egli, come Gaetz, rappresentante della Florida.

Riuscire a raggiungere i 218 voti che servono per dare pieno corso all’azione della Camera dei rappresentanti è fondamentale per il GOP: solo controllando l’aula i repubblicani potranno bloccare la legislazione di Joe Biden sui temi più sensibili al loro elettorato – ambiente, diritti civili, spesa pubblica – e nominare le Commissioni permanenti, tra cui l’Oversight Committee, quella che potrebbe indagare sugli affari poco chiari di Hunter Biden, il figlio del presidente, all’estero.

Lo stallo del GOP fa il gioco di Joe Biden

La figuraccia rimediata dalla maggioranza del GOP alla Camera fa, però, il gioco di Joe Biden e dei democratici: la guerra civile interna agli avversari politici rafforza il presidente proprio nel momento in cui i dems hanno perso uno dei due rami del Congresso.

Cosa succederà ora? Trump si è detto sicuro che «McCarthy sarà un ottimo speaker», ma la strada per il decano del GOP non potrebbe essere più impervia. Sullo sfondo, è ancora sul tavolo l’opzione più assurda. E cioè quella di lasciare la presidenza della Camera ai democratici, che hanno proposto Hakim Jeffries, rappresentante dem dello Stato di New York. Jeffries si è fermato a soli 4 voti dall’essere eletto. Per i repubblicani sarebbe la disfatta più assoluta.

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