
Lettere al direttore
Un’Orangerie per Amicone e il cane di Marina

Bello Tempi, graffiante, disassato rispetto all’informazione di regime, diretto come un uppercut e un pugno di incontro del fu Cassius Clay, ma mi manca la stilo che trafigge lo squalo. Veramente mi manca anche il Luigi Amicone, ospitato nel lontano marzo 1977 nel nostro piccolo appartamento di universitari a Bologna dopo gli “incidenti”.
Gaetano Piermatteo
Anche a noi manca moltissimo. Ogni tanto ci capita di rileggere qualche suo vecchio pezzo contenuto in Luigi Amicone, l’anarcoresurrezionalista. Di recente ci siamo riletti “Il mio treno per il mondo” che è un articolo che andrebbe proposto in tutte le scuole di giornalismo per spiegare il senso della nostra professione («Questo scorrere nelle vene del reale, avendo la necessità di rendere leggibile e intelleggibile ciò che accade, è lavoro nobile ed esaltante come pochi. Perché si è costretti a intendere che cosa significa che la vita di uomini e cose sta sospesa sul filo della precarietà»). E segnatevi queste due date: sabato 19 ottobre, ore 16.00, Messa in suffragio alla chiesa santa Gemma di Monza. E mercoledì 30 ottobre, ore 18.00, il Collegio della Guastalla di Monza gli intitolerà lo spazio culturale dell’Orangerie.
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Caro direttore, ho apprezzato moltissimo il tuo articolo che, giustamente, hai intitolato “Nessuna famiglia è un’isola”, scritto con riferimento alle varie e terribili tragedie accadute in questi giorni in varie parti del nostro Paese. Giustamente, prendi le distanze dai superficiali giudizi seminati dai vari “esperti”, che pensano di fare luce con le loro analisi circa ciò che accade, rinunciando in partenza a cercare di capire le ragioni di fondo per le quali questi terribili fatti accadono. Mi pare che l’unico giudizio che è andato al fondo della questione e formulato da “laici” in questi giorni sia quello contenuto in un volantino redatto da Comunione e Liberazione, che ha avuto il coraggio di andare oltre l’analisi sociologica, indicando anche la via per una ripresa positiva della vita personale di ciascuno di noi e, quindi, per l’armonia dell’intera società. Ed a questa via (che è anche verità e vita) viene dato un nome, quello di Gesù. Grande coraggio a scrivere una cosa del genere, in un mondo che crede di essere bravissimo nell’elaborare analisi, ma che ha escluso assolutamente da ogni analisi l’ipotesi di una verità che vada oltre i propri pensieri. La dimensione religiosa viene rigorosamente esclusa da ogni ipotesi di lavoro e da ogni percorso di riscatto. Esclusa l’ipotesi religiosa, ogni pazzia individualistica è possibile e, in molti casi, anche teorizzata. L’oscena cultura dominante da una parte predica l’assoluta libertà di ogni individuo di pretendere l’imposizione (anche per legge) del proprio sentire e dall’altra rende relativo ogni pensiero, riducendolo a non avere senso. L’attuale cultura radicale è, sostanzialmente, una cultura di morte, che, poi, moralisticamente, si scandalizza quando accade il peggio. Così, non ha più senso la vita e neppure la morte. Essendo tutto possibile e nel contempo tutto senza senso, è quasi un miracolo che le tragedie non siano più frequenti di quelle che già accadono. Fortunatamente la sanità mentale della maggioranza (“l’uomo comune” di Chesterton e “l’esperienza elementare” di don Giussani) ci permette di continuare nella nostra avventura umana, che, nel proprio intimo, riconosce la verità e la sanità dell’ipotesi cristiana (purché i cristiani continuino a testimoniarla). Sull’onda di questi pensieri, la piccola associazione “Nonni 2.0” sta lavorando, da due anni a questa parte, sul tema fondamentale della alleanza tra generazioni, proprio sulla base della considerazione che nessuna persona e nessuna famiglia è un’isola, ma appartiene naturalmente ad una comunità e, quindi, ad una storia. In un periodo di individualismo esasperato e tragico, penso che sia naturalmente e cristianamente indispensabile riprendere il discorso delle alleanze, per aiutare tutti, giovani e non più giovani, a riprendere coscienza che ci attende un destino positivo e che, quindi, la vita ha un senso e merita di essere vissuta non su di un’isola, ma nella piena condivisione con i nostri fratelli uomini e sorelle donne. Il prossimo 14 ottobre Nonni 2.0, insieme alla Cisl Pensionati e sotto l’egida della città di Agrigento (capitale della cultura nel 2025), lancerà un concorso scolastico nazionale dal titolo “Io e i miei nonni: esperienze e riflessioni”. Sarà una bella occasione per verificare che questo desiderio di vivere l’alleanza con i nonni è fortissimo nei nipoti. Potrà essere un bel segno positivo per aiutare, pur nei nostri limiti, a rafforzare la speranza in un cammino buono e positivo. Noi confidiamo che ciò accada, anche perché abbiamo fatto un incontro che ha dato senso pieno a tutta la nostra vita: dal concepimento al compimento.
Peppino Zola
Grande Peppino e sempre viva i Nonni 2.0.
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Caro direttore, una conferma che lo Ius scholae, così com’è inteso oggi, è un grave errore sta nei compiti a casa degli studenti. Chiunque abbia dei figli o dei nipoti sa che per poter fare i compiti a casa, soprattutto dei più piccoli, c’è bisogno dell’aiuto di un adulto o comunque della sua supervisione. Ma se l’adulto non è andato a scuola? O ha studiato un’altra lingua? O se non parla italiano? (I vescovi che appoggiano lo Ius scholae non solo non leggono Tempi, ma evidentemente non hanno nipoti e probabilmente neanche figli).
Guido Clericetti
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Gentilissimo direttore, un plauso al bellissimo, e da premio Pulitzer, articolo di Marina Corradi sul numero di settembre. L’ho incorniciato, dopo averlo letto al mio cane. Cordialmente, dal vostro affezionatissimo lettore.
Carlo Gargaglia
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Gentile direttore, sono una lettrice appassionata di Tempi che dice la verità in un mondo in cui regna la menzogna. Sono rimasta un po’ sconcertata leggendo l’articolo di Marina Corradi (di cui sono grande ammiratrice) sul numero di settembre. Parlando del suo cane , dell’affetto e della fedeltà che questo ha nei suoi confronti, scrive: «Capisco perché tanti oggi hanno un cane e non un figlio […] la fedeltà di un cane appare straordinaria», senza esprimere almeno velatamente un giudizio in merito, mettendo apparentemente sullo stesso piano un figlio e un cane e accettando quasi l’affetto di un cane e per un cane come sostitutivo di un rapporto d’amore con un figlio; fatto purtroppo dimostrato dalle tante coppie giovani senza figli ma con uno o più cani e dai giardini delle nostre città dove i cani superano di gran lunga i bambini. Certo, un figlio è un rischio, è un impegno, comporta fatiche e anche dolori e delusioni affettive che il cane indubbiamente non dà; ma l’avventura di educare dei figli e di guidarli verso il loro destino è comunque un’impresa affascinante.
Patrizia Sbarsi
Gentile Patrizia, come racconta lei stessa nell’articolo, Marina Corradi ha tre figli. Quindi… A dirla tutta, la frase completa con cui è introdotto il paragone è: «In tempi di effimeri amori, la fedeltà di un cane appare straordinaria». Appunto: «In tempi di effimeri amori». E poi non era quello il tema della sua rubrica – che a me è piaciuta molto, come al lettore Garavaglia –, ma l’affetto corrisposto con il simpatico bastardino Rommel.
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