Uno stereotipo ci salverà

Di Caterina Giojelli
26 Marzo 2017
Viva gli inni monocorde che ancora dividono e scaldano il paese e l’uso smodato di banalità intrinsecamente necessarie

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Le notizie sono due. La prima non è che ha chiuso Parliamone sabato ma che esisteva Parliamone sabato, un programma all’interno de La vita in diretta condotto da Paola Perego su Rai Uno. Senza l’immancabile sdegno dei social seguito alla messa in onda del servizio sulle rubamariti straniere (con tanto dell’ormai famigerata lista con i sei motivi per scegliere una fidanzata dell’est); senza l’indignazione a strascico (tutti premettono infatti di avere appreso il fattaccio inaccettabile proprio dal social) di giornalisti, politici, uomini da cultura e, va da sé, vertici Rai che hanno chiuso baracca e burattini gridando allo stereotipo, al sessismo, alla donna resa oggetto, «e da questo alla violenza il passo è breve», è l’immancabile commento di Laura Boldrini; senza la piccola guerra lampo ingaggiata dall’armata dell’anti-stereotipo diventato esso stesso stereotipo (l’alert “sessismo” non appena si parli di donne come al bar è scontato come dire che dietro ad ogni omofobo si cela un gay latente), forse non ci saremmo sorbiti tg e dibattiti sulla fiera dell’est con la stessa ansia con cui aspettavamo che venisse il Signore sull’angelo della morte sul macellaio che uccise il toro che bevve l’acqua eccetera fino al topolino che mio padre alla fiera comprò dell’omonima canzone. Quindi la notizia è che è morto un programma perché era vivo.

La seconda è che a ucciderlo non sono stati gli stereotipi ma, appunto, gli anti-stereotipi: questo tic di dare lezioni morali ai luoghi comuni inventandosene di nuovi è di una noia mortale. Prendete il caso dell’indifendibile e impronunciabile presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem: con la sua sparata gratuita contro i paesi del Sud dell’Europa, «non posso spendere tutti i miei soldi in alcol e donne e poi chiedere sostegno», ha scatenato un putiferio che, oltre a ricompattare i partiti italiani (da Renzi a Grillo tutti vogliono le sue dimissioni), gli è valso il sigillo di razzista, xenofobo e sessista. E fa niente se se la frase risulta ora un modo di dire da osteria diretto e olandese: il livello delle controargomentazioni si è avvalso dei dati Ocse sulla nota passione olandese per la birra, superiore a quella di greci e italiani, e degli studi sulla prostituzione elevatissima nei Paesi Bassi invasi dalle bionde dell’Est Europa (ed è un peccato non poterne parlare più di sabato).

Fine delle notizie. Ora che la polvere sollevata intorno alle donne dell’est e i donnaioli del sud comincia a diradarsi; ora che abbiamo avuto il nostro olocaustino quotidiano in nome di una civiltà più coscienziosa; ora che ci si è nuovamente divisi tutti sull’antropologia e l’alta politica, rispondendo a bagattella con bazzecola, possiamo finalmente fare il tifo anche noi. Non per la Perego o la Boldrini, non per Dijsselbloem o Grillo. Ma per quel nume secolare che da nord a sud, da ovest a est, regge e governa il mondo intero: forza stereotipo!

Viva gli inni monocorde che ancora dividono e scaldano il paese e l’uso smodato di banalità intrinsecamente necessarie alla nostra costruzione del regno dei cieli sulla terra. Viva i preconcetti che hanno assorbito secoli di esistenze in nobili enunciati (vedi il punto 2 della lista di Parliamone sabato «Le ragazze dell’est non mettono il pigiamone») e in costante aggiornamento (vedi l’ex pornostar ungherese Eva Henger «io in casa metto il pigiamone con gli orsetti»). Evviva lo stereotipo, perché ingolfati da questa paradossale ansia dipietrista di cadaverizzare il pregiudizio e raddrizzare il legno storto dell’umanità, a furia di scambiare lucciole per lanterne e la Perego per una potenziale femminicida, ci stavamo dimenticando che tutto il mondo è paese e che in ogni paese esiste anche una stereotipia seria, colta, per bene e che fa bene. Che non ti asfissia i neuroni col politicamente corretto, ma sventola la bandiera delle solide certezze strapaesane; è l’allegria del refrain, è vita di tutti giorni. È Casa Surace, per intenderci.

L’avete visto il video “Natale con un terrone vs senza un terrone”? O “La neve al nord vs la neve al sud”, dove tutto è caldo, anche il freddo? E che twittate a fare contro i pregiudizi in nome di un’Italia senza barriere, aspettando segretamente il prossimo film di Checco Zalone, quando potete riscaldarvi tutti i giorni al focolare della saggezza dei nonni e dei particolarismi tradizionali che scatenano il giudizio e mai il pregiudizio? Casa Surace oltre ad essere una casa nel centro di Napoli, dove vivono Simone, Daniele, Alessio e Andrea e un sacco di altri amici è diventata anche una società di produzione video. Insomma, girano video e si divertono un sacco; anzi, sono gli assi pigliatutto della rete dove fanno incetta di accoliti che altro che Parliamone sabato. La loro produzione è un’allegra accozzaglia di tutti gli stereotipi immaginabili, e come funziona? Facendo ridere: la nonna che si sveglia alle cinque del mattino per fare il ragù diventa l’unità di misura per parlare di parità di sessi, la pugliese che sale a Milano dalla sorella la chiave della parodia della favola Frozen, lo specchio delle brame che dice alla regina che «tu te si fatta troppo secca, troppa sciupata. A vuoi finire de portare ‘ste mele nel cestino?». La tavola è il centro del mondo, per parlare di aperitivi, città, diete dopo le feste, tutorial per fare la scarpetta col pane che si strazza a mano, consigli «se cadi malato due dita di vino, se stai sciupato un pacco da giù», morali della favola, «quando il mondo ha finito un terrone ha solo iniziato».

Cose così, che nel mare magnum della rete ti rimettono al mondo. Quello vero, del luogo comune prima della “cura” pussy generation che non sopporta di sentirsi dare della cicciottella. Dove lo stereotipo è il più prezioso e valido alfiere della democrazia e della libertà perché usando l’arma del ridicolo impedisce al conformismo di creare miti, direbbe Guareschi. Uno che aveva già capito tutto rispondendo a un lettore su Oggi nel 1967: «Ritengo che l’Italia sia il paese più negato all’umorismo e sarebbe bene piantare ad ogni posto di frontiera il cartello “Proibito ridere”. La cosa è gravissima perché tutti coloro che intendono impiantare un “regime” hanno il terrore del ridicolo, perché il ridicolo è il loro peggior nemico. Purtroppo in Italia si considerano come serie questioni, situazioni, azioni e persone che dovrebbero far sbellicare dalle risa. Chi non ride quando è il momento di ridere, piange poi».

Fatevi quindi una risata e un bagno in una situazione ad alto tasso discriminazione e luogocomunismo con la lista di Casa Surace dei sei motivi per fidanzarsi con una ragazza del sud. «1. È più contenta se le regali un fascio di friarielli che di rose; 2. è più attenta alla teglia che alla taglia; 3. a 12 anni sa già cucinare le ricette tradizionali di 8 regioni; 4. ha un corredo pronto da quando è nata che Chiara Ferragni lèvati; 5. un giorno sarà una nonna che cucinerà per tutti ii nipoti che stanno sciupati; 6. perché non le importa se sei del sud, del nord, dell’est o dell’ovest, basta che non metti il parmigiano sulle vongole».

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