Unione Europea in ordine sparso sull’Ucraina

Di Rodolfo Casadei
27 Febbraio 2022
Se l’Ue non accelera enormemente il suo processo di integrazione politica e militare, il nostro destino è segnato, ed è quello di essere accomunati al tramonto dell’Occidente
manifestano a Scandicci (Firenze) per chiedere la pace in Ucraina, 24 febbraio 2022.
manifestano a Scandicci (Firenze) per chiedere la pace in Ucraina, 24 febbraio 2022

Le prime reazioni dell’establishment europeo all’invasione dell’Ucraina fanno un po’ cascare le braccia. La strategia messa in campo sembra essere la seguente: imponiamo sanzioni economico-finanziarie massicce alla Russia, forniamo armi al valoroso popolo ucraino, rivolgiamoci con la mano sul cuore al popolo russo perché si ribelli alla leadership che lo sta portando alla rovina; tempo qualche mese e Putin dovrà dimettersi, le forze armate russe si ritireranno da Kiev e un’alba nuova sorgerà sull’Europa.

Funzionali a questa visione sono gli appelli televisivi del premier britannico Johnson al popolo russo, l’iniziativa di 27 paesi europei e nordamericani decisi a rifornire di armi l’esercito ucraino, gli appelli per l’avvio immediato delle procedure per l’ammissione dell’Ucraina all’Unione Europea.

Se si vuole il regime change

Pensare che queste iniziative impantaneranno le forze russe in Ucraina e produrranno un “regime change” a Mosca è come minimo un’ingenuità; e quando arrivano da politici è un segno di incompetenza o di pericolose speculazioni a fini di politica interna. L’Unione Sovietica non perse la Guerra fredda e non collassò a causa dell’eroica opposizione dei dissidenti; non fu la grandezza morale di Aleksandr Solzenicyn e di Andrej Sacharov a spingere Gorbaciov sul sentiero della glasnost e della perestrojka. A far crollare il sistema sovietico furono le “guerre stellari” di Ronald Reagan, cioè una rincorsa alla superiorità militare che portò il Cremlino alla bancarotta.

I manifestanti che rischiano la libertà personale, il posto di lavoro e la stessa integrità fisica per manifestare contro la guerra per le vie di Mosca e di San Pietroburgo sono modelli di virtù e di umanità da ammirare e possibilmente imitare, ma non determineranno alcun cambiamento nella politica estera del loro paese, tanto meno le dimissioni del governo e del presidente in carica. La Russia è sempre stata e continua ad essere un impero; non solo i suoi governanti attuali, ma tutta la sua classe politica e il suo establishment politico-finanziario, la mentalità comune e la sua memoria storica, sono permeati di riflessi imperiali. Le perdite di vite umane in guerra o i disagi economici sono considerati il normale prezzo da pagare per lo status imperiale, smarrito il quale non ci sarebbe più alcuna Russia.

La preparazione russa

Molti osservatori (noi compresi) avevano ipotizzato che non ci sarebbe stata un attacco militare perché la Russia stava già raggiungendo l’obiettivo che sembrava prefiggersi – l’apertura di un negoziato con gli Usa per ridiscutere a proprio vantaggio gli equilibri della sicurezza in Europa, l’allargarsi delle spaccature in seno alla Nato e alla Ue – semplicemente minacciando l’uso delle armi.

Confidavamo nella razionalità del regime russo, che non si sarebbe imbarcato in un’avventura che avrebbe rinsaldato l’alleanza fra Usa ed Europa, confermato la necessità della Nato e coalizzato il mondo intero contro la violazione del diritto internazionale rappresentato dall’aggressione a uno stato indipendente da parte di un suo vicino. Ma ora piuttosto che gridare alla follia e all’irrazionalità di Putin, come stanno facendo tanti, occorre chiedersi a quale altra razionalità sono riconducibili le politiche crudeli che sono sotto i nostri occhi. E allora ci accorgiamo che da tempo il Cremlino aveva messo in conto una guerra in Europa, come mostrano una serie di indizi: l’accumulo di riserve valutarie (623 miliardi di dollari più 197 miliardi del Fondo sovrano) e la riorganizzazione autarchica dell’economia russa dopo il 2014; la politica di infiltrazione nei paesi africani che sono determinanti per la stabilità del Mediterraneo e il controllo dei flussi di migranti, armi, droga e terroristi jihadisti che su queste pagine abbiamo più volte documentato (Cirenaica, Centrafrica, Mali, Sudan, Mozambico e Burkina Faso); il crescente numero di attacchi informatici di origine russa a paesi europei.

Non basta Imagine

La Russia aveva pure messo in conto che la solidarietà internazionale all’Ucraina aggredita sarebbe stata molto meno che unanime: la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu che avrebbe condannato l’aggressione all’Ucraina non solo è stata bloccata dallo scontato veto del membro permanente russo: si sono pure registrate le astensioni di Cina, India ed Emirati Arabi Uniti! Paesi che si ritenevano alleati o arruolabili in coalizioni anticinesi e antirusse come India ed Emirati si sono così palesemente sfilati.

I nostri europeisti da parata e i nostri progressisti sprofondati nel sonno oppiaceo della post-storia farebbero bene a svegliarsi: non c’è nessuna rivoluzione arancione in vista a Mosca, anche stavolta le note di “Imagine” di John Lennon suoneranno a vuoto nelle piazze. In vista c’è la coalizione (naturalmente tattica e a volte occulta) delle grandi e medie potenze non occidentali, ben decise a sostenere qualunque atto politico e militare che riduca l’influenza occidentale nel mondo.

Gli Usa e Taiwan

L’Europa non può realisticamente sperare né nel fallimento militare russo in Ucraina e conseguente caduta di Putin, né nell’isolamento internazionale della Russia, e deve temere pure un progressivo disimpegno americano; messa alla prova su due fronti, Washington saprebbe a chi dare la priorità: Taiwan è l’8° partner commerciale degli Usa, l’Ucraina è il 201°.

La Ue deve darsi una strategia realistica, da soggetto geopolitico consapevole dei rapporti di forza e soprattutto del fatto che senza forza e senza coesione nessuna politica internazionale è possibile. Che senso ha, se non quello di confermare la convinzione russa che l’Occidente non smetterà mai di agire unilateralmente a meno che qualcuno non lo dissuada con le cattive, aprire le porte della Ue all’Ucraina senza essere in grado di difenderla? Che senso ha una strategia dove alcuni paesi della Ue inviano armi agli ucraini e altri no, se non confermare la convinzione russa che non esiste una strategia europea e che la Ue non è un interlocutore né politico né militare?

Un vero soggetto politico

Se l’Unione Europea non accelera enormemente il suo processo di integrazione politica e militare, al punto da potere in prospettiva prendere decisioni politiche e militari anche autonomamente dall’alleato Usa e dalla Nato, il nostro destino è segnato, ed è quello di essere accomunati al tramonto dell’Occidente.

Nel futuro immediato della Ue c’è l’azione mediata e concordata con l’alleato americano e c’è un amaro negoziato con la Russia per il cessate e il fuoco e per la definizione delle rispettive aree di influenza in Europa.

Amaro perché condotto da una posizione di inferiorità militare di fatto anche se non sostanziale (potenzialmente le forze armate europee sarebbero un deterrente sufficiente a contenere le ambizioni russe). Ma l’obiettivo strategico non può essere quello, irrealistico, di provocare la caduta dei regimi autocratici di Mosca o di Pechino. L’obiettivo strategico deve essere la creazione di un soggetto geopolitico europeo con tutti i crismi.

Foto Ansa

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