Una parola sulla piazza che vuole “libertà”

Di Luca Del Pozzo
19 Maggio 2021
Le persone scese in piazza a Milano contro il ddl Zan hanno dalla loro argomenti importanti. Spiace che i vescovi non le riconoscano
Ddl Zan, manifestazione pro vita a Milano

Caro direttore, incidentalmente all’indomani della manifestazione di Milano contro il ddl Zan (e stendiamo subito un velo pietoso sulle contestazioni e gli insulti rivolti al senatore Pillon da parte di gruppazzi di ultras Lgbt, che la dice lunga sulla “diversità” di atteggiamento – infatti – nei confronti di chi non la pensa come pretende l’ortodossia Lgbt), il presidente della Cei ha detto che «la legge andrebbe più corretta che affossata».

Un concetto che ricalca, sia pur con un’esplicita richiesta di intervento correttivo che prima non c’era, quanto contenuto nella nota del 28 aprile scorso laddove i vescovi italiani sottolineavano i “troppi dubbi” in merito al controverso Ddl, invitando tuttavia al dialogo affinché un «testo così importante» potesse crescere. 

A dirla tutta, c’era anche dell’altro in quella nota, poiché in essa la Cei ribadiva «il sostegno ad ogni sforzo teso al riconoscimento dell’originalità di ogni essere umano e del primato della coscienza»; affermazione evidentemente piuttosto scivolosa soprattutto in rapporto a quel “primato della coscienza” che, se non rettamente inteso e precisato, potrebbe prestare il fianco a malintesi e aperture nei confronti del pilastro su cui si regge tutta l’ideologia gender compreso l’art. 1 dello stesso Ddl Zan, ossia il fatto che ognuno è ciò che (in coscienza?) sente o percepisce di essere: le conseguenze le lasciamo immaginare.

Ma torniamo alla cronaca. L’uscita del card. Bassetti ha purtroppo confermato ciò che era fin troppo chiaro: e cioè che ai vescovi italiani la legge Zan, se opportunamente corretta, va bene o comunque non dispiace. E questo nonostante sia stato dimostrato in lungo e in largo da parte di autorevolissimi esperti di diritto e non solo (per tacere delle critiche piovute dallo stesso mondo Lgbt e femminista), la totale inutilità (stante il codice penale vigente) e, soprattutto, la pericolosità di un testo che – all’art. 4 e 7 – mina alle radici la libertà di opinione ed educativa.

Come per altro i fatti di Milano hanno ampiamente dimostrato (né ci risulta sia accaduto nulla di simile a Roma o in altre piazze dove si è manifestato a favore del Ddl Zan, vorrà dire qualcosa?).

Da questo punto di vista non può certo sorprendere se in ambito cattolico c’è stato chi, come Massimo Gandolfini, ha preso le distanze dalla posizione della Cei (a sorprendere caso mai è che si sia trattato di una voce pressoché isolata).

Si dirà, ma se il problema è appunto questo o quell’articolo basta correggerli e la questione è risolta. Peccato che a chi ragiona così sembra sfuggire il non banale dettaglio che se davvero venissero tolti o riscritti i passaggi più controversi della legge, cadrebbe tutta l’impalcatura culturale soggiacente. E a quel punto il Ddl Zan non avrebbe più senso.

Ora a meno di non voler credere che sia questo il bersaglio grosso della Cei (visti i precedenti, ci permettiamo di avanzare qualche dubbio), non si capisce come i vescovi italiani possano davvero pensare che Zan&Co. vogliano prestarsi a simile operazione (a meno che non ci sia dietro, come pure qualcuno ipotizza, la volontà della chiesa italiana di porgere un ramoscello d’ulivo alla galassia Lgbt dopo la “tranvata” del Responsum che proibisce la benedizione delle coppie gay, tesi che tuttavia lascia il tempo che trova).

Non per nulla, alle dichiarazioni del card. Bassetti hanno risposto a stretto giro il dem Miceli e lo stesso Zan i quali ha detto che per non affossare il ddl non c’è che un modo: approvarlo subito, le modifiche se serve si faranno dopo. Sì, come no. E dunque, cari vescovi, a che gioco vogliamo giocare? 

Luca Del Pozzo

Foto Ansa

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