
Una montagna di ragioni per dire no al suicidio assistito in Lombardia

La notizia positiva è che Marco Cappato si è molto arrabbiato. Il tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni promotrice della proposta di legge popolare sul fine vita ha reagito male alla decisione della commissione Affari istituzionali della Regione Lombardia di votare a maggioranza con l’astensione (l’equivalente di un parere negativo) sulla proposta di legge sul suicidio assistito.
Per Cappato si tratta di «un atteggiamento di irresponsabilità istituzionale» con cui la Regione «gira la testa dall’altra parte di fronte all’incertezza nella quale i malati e i medici sono costretti di fronte a richieste di aiuto a terminare la propria vita».

Non varcate il Rubicone
Si vedrà come andrà il voto in aula (previsto per la seconda metà di novembre) il cui esito è incerto, ma quel che si può dire è che, sulla scorta delle audizioni di cui Tempi ha dato conto in questo periodo, la decisione della commissione presieduta da Matteo Forte non è «palesemente infondata», come ha detto Cappato, ma, anzi, è sorretta da autorevoli e argomentate motivazioni.
Prima su tutte, quella espressa dal giudice emerito della Corte costituzionale Nicolò Zanon che ha invitato i consiglieri lombardi a «non varcare il Rubicone sul fine vita». Nel 2019 la Consulta non ha affermato alcun diritto al suicidio assistito né ha detto che è dovere del Servizio sanitario nazionale di erogare la prestazione mortifera. Quindi, se proprio a qualcuno spetta di introdurre nel nostro paese una legge sul suicidio assistito, questo è compito del legislatore nazionale, non certo di quello regionale.
Sulla medesima linea si sono posti il penalista Luciano Eusebi e la costituzionalista Benedetta Vimercati che hanno ricordato, il primo, che si sta trattando un materia penale e che, dunque, al contrario di quanto è possibile in materia civile o amministrativa, le modifiche all’ambito applicativo possono essere determinate solo dal legislatore statale o dalla Consulta, non dalla Regione. La seconda ha sottolineato come la pdl dei radicali dà «una serie di indicazioni agli articoli 1, 3, 4 e 5 che configurano un vero e proprio “diritto all’erogazione della prestazione”, e non si limitano alla presa in carico della verifica dei requisiti dettati dalla Consulta».
Più vita ai giorni
Gli stessi dirigenti del Servizio sanitario regionale – cui i radicali vorrebbero demandare l’attuazione delle morti assistite e che già ora si occupano di accertare se sussistano i quattro requisiti indicati dalla Consulta – hanno chiarito che circa la metà dei pazienti che fanno richiesta, due mesi dopo, cambiano idea. Danilo Cereda, della direzione generale Welfare, ha poi illustrato, entrando nel dettaglio, come la pdl dei radicali prescriva una serie di procedure e tempistiche che sono irrealizzabili.
Come ha ribadito anche la palliativista Anna Brizio, a contatto quotidianamente con malati in gravi condizioni: «In che modo la tempistica così serrata e ben dettagliata di questa proposta di legge si adegua ai tempi del malato, alla sua dinamica interiore di travaglio e bisogno, speranza e disperazione? Siamo in grado di rispettare il tempo di maturazione di una decisione?». Sia Brizio sia l’infermiera Elena Polesana hanno a lungo insistito sulla necessità di valorizzare le cure palliative il cui scopo, come spiegava Cicely Saunders, non è quello di «aggiungere giorni alla vita, bensì più vita ai giorni».

Se ben curato, non chiede morte
Basteranno tutte queste ragioni – giuridiche, amministrative e mediche – a convincere i consiglieri lombardi a non cadere nel tranello radicale di far passare per via regionale quel che non si vuole far passare per via nazionale? Lo scopriremo fra pochi giorni.
Nel frattempo varrà la pena di rileggersi il testo dell’audizione di don Alberto Frigerio che ha spiegato, su un piano più prettamente morale, le implicazioni che porta con sé l’avallo di una legge sul suicidio assistito. E ricordato che persino Umberto Veronesi, che pure era a favore dell’eutanasia, era convinto che «se è curato bene, difficilmente il paziente chiede di morire. Se è curato con affetto, con amore, senza dolore, non chiederà la buona morte».
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