
Una degna sepoltura per il Pd

Sembrano esagerate, impietose e senza speranza le parole che riguardano il Pd. Si parla di scioglimento, di un atto di resa delle classi dirigenti, di una presa di coscienza del fallimento. In verità tu puoi sciogliere qualcosa che esiste non solo formalmente ma anche nella sostanza (se non ci limitiamo a contare le sedi dei partiti, le proprietà immobiliari e tutto l’armamentario delle vecchie feste dell’Unità).
Fausto Bertinotti in un’intervista al Riformista ha sottolineato un punto centrale, contestando quella frase oramai retorica e reiterata che rivendica l’esigenza di tornare nei territori, nelle periferie. L’ex segretario di Rifondazione ha replicato lucido e implacabile: «Tu dovresti chiederti e chiedere perché sei stato espulso dai territori e dalle periferie. Se non capisci perché sei stato espulso da quella realtà, non puoi capire di ritornarci e in ogni caso quello che è drammatico è che non ti chiedi perché non ci stai in quella realtà. Non perché non ci vai, ma perché non ci stai».
“Ritornare sui territori”
Ecco il punto. La frase “ritorniamo nei territori” può essere applicata alla Lega che, sino a pochi anni fa, era presente ovunque (perlomeno dal mio osservatorio del profondo nord). Persino nelle piazze di paesini a 1.200 metri potevi trovare gazebo che rivendicavano l’autonomia. A gestire il volantinaggio erano gli stessi uomini che poi erano lì a vendere formaggi, a contatto con la realtà contadina e con quella classe operaia che, non potendo permettersi Capalbio, andava a prendersi il sole nella montagna di prossimità.
Il discorso per il Pd è completamente differente. È sparito dai territori, perché a quei territori non può dire più nulla, se non il refrain del “buon governo” che è diventato uno slogan talmente retorico che viene da chiedersi chi mai propaganderebbe un “cattivo governo”.
Fusione a freddo
La realtà è che gli eredi del movimento operaio, fallita la scalata al cielo, ossia il superamento del sistema capitalista, fallita l’idea socialdemocratica, fallito il profilo riformista, fallita la presenza ad ogni costo nella stanza dei bottoni, il massimo che sono riusciti a fare è stata una “fusione a freddo” (come disse magistralmente Massimo Cacciari) con la Margherita. Quel soggetto che non è mai diventato un partito e mai potrebbe distinguersi come movimento, non solo ha perso la propria identità, ma le ragioni stesse per cui era sorto. È stata la realtà ha confutarne l’esistenza. L’accanimento terapeutico, che non si augura a nessuno, perseguita questo partito (e tutta la sinistra) sin dalla sua nascita.
Oggi, prima ancora dello scioglimento formale, prima ancora della fase costituente (come dice Bertinotti, sempre in quella intervista) sarebbe necessario ciò che da trent’anni si rimuove: il funerale di quella storia che fonda le sue radici a fine Ottocento. E se dentro quel cammino, perlomeno nel nostro Paese ed in Europa, ci sono state persone straordinarie e lotte dove le “belle bandiere” ancora potevano sventolare, oggi sarebbe dignitoso, ancorché indispensabile procedere all’estremo saluto.
Una degna sepoltura
Solo così, parafrasando Foscolo, la corrispondenza affettiva (d’amorosi sensi) permetterebbe all’estinto di vivere con noi, e noi con lui, ma occorrerebbe la sepoltura nella terra materna, un sepolcro ed una lapide.
L’elaborazione del lutto è necessaria. Ecco allora che lo scioglimento avrebbe un senso. Ma se l’obiettivo sono le prossime elezioni Regionali, siamo sempre al punto di partenza. Ancora una volta alla ricerca di una faccia che abbia un minimo di fascino (e nel Pd non sono esperti del settore, se si fa eccezione per Renzi che poi hanno scoperto essere un corpo estraneo).
Senza la degna sepoltura ci si rassegna nuovamente ad essere dei buoni amministratori di condominio dimenticandosi che per quel lavoro ci sono professionisti ben più abili. Qui non si tratta di aver coraggio, bensì di mettere in atto un vero processo di umiltà. Dare sepoltura ed elaborare il lutto.
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