
Un tempo gli uomini sapevano tradire senza farsi beccare. Poi è arrivato lo smartphone

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Cara Guia, ho 73 anni e ho trascorso gli ultimi due sulla riva del fiume, ma finalmente il cadavere è passato. Ho conosciuto mio marito quando eravamo all’università. Ero un medico promettente, sai? Mi sono messa a lavorare in un laboratorio per mantenerlo, così poteva finire gli studi. Lo so, lo so: queste storie non finiscono mai bene. Ma io pensavo davvero che per noi potesse essere diverso. Lo so, lo so: lo pensano tutte. Eppure ero tanto intelligente, i professori me lo dicevano sempre. Sarà che l’intelligenza non basta neanche per agire in maniera intelligente.
Abbiamo avuto quattro figli, otto nipoti, poi s’è fatto venire le smanie. Gli altri si comprano una spider, si tingono i capelli. Lui voleva diventare governatore dell’Alabama. Chissà, magari pensava che da lì fosse un attimo diventare presidente. L’andropausa è una brutta roba, so che lo sai, ma ci tengo a confermartelo. Si candida. Perde. S’intigna (mi hanno detto che in italiano si dice così quando uno non si dà pace: è giusto?). Gli faccio persino da autista in campagna elettorale, non sia mai che non sembri una moglie solidale. Finalmente vince. E una dice: si placherà. Macché.
All’altezza del cinquantesimo anniversario di matrimonio, due anni fa, mi tocca chiedere il divorzio. Per darmi ragione, quelle beghine dell’Alabama ci mettono un anno. Quando un tizio che aveva licenziato – per l’opinione pubblica: un testimone più attendibile d’un’ex moglie – racconta di aver visto sul telefono di mio marito messaggi zozzi della sua portavoce. A quel punto io – che mica sono una sprovveduta – faccio avere ai giornali la registrazione di una telefonata in cui lo schifoso fedifrago dice alla sfasciafamiglie quanto la ama. Lui, giuro, ha la faccia come il culo (un’amica italiana mi dice che un certo Carmelo Bene diceva «il culo come il culo»: è vero? Mi piacerebbe far entrare quest’espressione nella lingua inglese) di dichiarare che ama tutti quelli che lavorano per lui. Certo, e sospira sempre quanto gli piace palpar loro le tette, a tutti loro.
Il mese scorso, finalmente, il procuratore decide di aprire un’indagine: come minimo avrà fatto dei regali a quella poco di buono usando fondi pubblici. Io sono ben lieta di fornire agli investigatori il mio iPad, sul quale c’è il backup di tutti i messaggi. Compreso quello che il cretino voleva mandare a lei – «I love you, Rebekah», le scriveva: la schifosa si chiama Rebekah – e aveva invece mandato a me. Appena si era accorto dell’errore, pensando di riparare, mi aveva scritto: «I love you, Dianne». Almeno cambia un po’ la sintassi, dico io. «Grazie di averci messo il nome giusto», gli ho risposto, e poi sono corsa a divorziare. Alla fine l’hanno solo multato, certo la galera era meglio, però gli è toccato dimettersi da governatore. Voglio vedere se quella sgualdrina se lo piglia, ora che è un anziano disoccupato.
Dianne Jones, non più Dianne Bentley
Cara Dianne, mi pare che quello che ha bisogno di consigli sia tuo marito, tu te la cavi benone. Più che tuo marito, il genere maschile. Ormai ogni giorno ce n’è uno, che si inguaia coi messaggi. Che fine hanno fatto gli uomini di una volta? Quelli che non avevano la comodità della messaggistica istantanea eppure riuscivano a ingegnarsi e a non farsi scoprire mai. Quelli che non sarebbero mai stati così distratti da sbagliare numero. Quelli che sapevano che tradire era un lavoro usurante, che non ammetteva distrazioni (altro che fare il governatore). Quelli contro cui non trovavi una prova talmente mai che alla fine per stanchezza credevi al loro negare l’evidenza.
Com’è possibile che in tempi di pin, di password, addirittura di telefoni che per avviarsi richiedono l’impronta digitale del proprietario, ci siano ancora fedifraghi così cialtroni da farsi origliare e registrare le telefonate zozze? Ti capisco, Dianne: siamo donne di mondo, e dell’adulterio ci facciamo rapidamente una ragione; ma è difficile accettare d’essere stata sposata cinquant’anni a un fesso così clamoroso.
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