Un libro spiega come tecnologia e divorzio ci tolgono il gusto della figliolanza. E come si può “rinascere”

Di Benedetta Frigerio
14 Dicembre 2014
Lopez, teologo della Fraternità sacerdotale San Carlo: «La tecnologia non è un mezzo neutro e contribuisce all'oblio della memoria. Ecco la via per recuperarla»

rinascere LopezLa tecnologia e il divorzio sono gli strumenti privilegiati di «una dittatura» che spinge per «cancellare la memoria» dell’origine umana. In che modo, a quale fine e come uscirne lo spiega padre Antonio Lopez, missionario della Fraternità sacerdotale San Carlo e docente e decano di teologia al John Paul Institute di Washington, nel suo libro Rinascere edito di recente da Lindau (152 pagine, 19 euro).

UN MITO. Innanzitutto Lopez sfata un mito, quello per cui la tecnologia sarebbe neutra, diventando un bene o un male a seconda di come utilizzata. Essa infatti, «ha implicazioni morali, sociologiche e scientifiche proprio perché rappresenta un rapporto nuovo e particolare tra pensare e fare». Ad esempio, il pensare si trasforma nella percezione di un tutto frammentato sempre a disposizione della volontà umana. L’uomo non riesce più a contemplare, a scorgere un disegno unitario e intelligente né, di conseguenza, a stupirsi. Non bisogna pensare solo alla tv o ai cellulari, già l’orologio, come scrive anche Mumford, collegando il tempo allo spazio minò la percezione di «infinito e di eternità».

SENZA DIMORA. Non solo, e qui basti pensare a come internet ha cambiato il tempo del lavoro, «le cosiddette possibilità offerte dagli strumenti tecnologici finiscono per imporsi sugli “utilizzatori” costringendoli a realizzarle». Impedendo anche di pensare all’essere in quanto tale, motivo per cui «l’ambiguità della tecnologia non può essere risolta». Ci si educa poi a governare la vita, a fare meno sacrifici, ma secondo l’autore, «cercando di domare la sofferenza, la tecnologia infligge agli esseri umani qualcosa di molto più profondo del dolore fisico: l’oblio sistematico del fatto che non apparteniamo a noi stessi». Pensando di essere padroni non dipendiamo e ci perdiamo la bellezza della conoscenza dell’essere, mentre il lavoro diventa un dominio anziché la partecipazione a un disegno. In perenne ricerca del nuovo non si riesce ad accettare una fissa dimora, simbolo della novità nella ripetitività, ma si insegue «il fare tecnologico» che, «sotto la maschera della novità, acuisce la noia».

SENZA BISOGNO. Cancellando la memoria dell’essere creati e voluti gli uomini non si accorgono della propria finitezza, di qui i problemi fra uomo e donna che non si riconoscono più come bisognosi l’uno della diversità dell’altro. L’estrema conseguenza di questo oblio, finora, è stato il divorzio che ha influito sulla nostra cultura più di quanto si pensi. Lopez ricorda che l’identità di un bambino si fonda sul fatto di essere frutto di un amore. Perciò la separazione dei genitori mette in discussione la profonda ontologia dell’essere umano, generando solitudine e quindi paura. La seconda conseguenza della rottura coniugale, oggi dominante nella nostra cultura, è il fatto che «la persona sola è governata dai sentimenti», motivo per cui il bene non è più oggettivo, ma coincide con la decisione del soggetto, qualunque essa sia. Infine il divorzio ha generato violenza, sopratutto verso «il bambino e l’anziano», che ci richiamano alla memoria della nascita e della dipendenza: l’assenza del padre che genera nell’amore è la causa di tanti figli che si ribellano alla natura e che tendono a volerla dominare anche inconsciamente per paura.

IL RISCATTO. Esiste tuttavia la possibilità di un riscatto che si realizza nella scoperta del vero Padre, che «può far succedere ciò che a noi sembra impossibile». L‘uomo religioso può liberarsi da questa schiavitù ricercando altro da sé, passando dal fare al pensare, dal controllo dell’essere allo stupore. Generando così una nuova cultura. Nonostante anche la Chiesa sia passata dalla contemplazione di Dio al fare pastorale, sostituendo la continua conoscenza di Dio con l’attivismo, secondo l’autore è sopratutto la cultura cristiana che può farci “rinascere”. Il cristiano, spiega Lopez, cerca sempre di cambiare se stesso, ma è un cambiamento di sguardo e di pensiero. Lungi dalla tentazione di combattere cadendo nell’errore del “nemico”, usando il cristianesimo per uno scopo terreno di restaurazione o trasformazione del mondo, la vera cultura cristiana è generata da chi continuamente cerca e afferma Dio dentro ogni frangente della realtà, «lasciando che sia l’amore di Cristo a definirlo, anziché la paura di perdere il suo posto nel mondo».
È così che il cristiano plasma la realtà, non attraverso opere che nascono dal «tentativo di rimediare a una mancanza o di arrivare al potere
», ma ad un’opera «nuova e gratuita, espressione dell’amore trasfigurato». È in questa cultura che anche altri uomini possono imparare a far memoria, ritornando a stupirsi e diventando padroni di sé e del mondo, liberi da ogni utopia.

@frigeriobenedet

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