Un incubo divenuto realtà. Il comunismo in Albania

Di Carlo Marsonet
18 Luglio 2024
Il nuovo romanzo di Anita Likmeta ci mostra cosa ha significato vivere sotto il regime di Hoxha. E a non dare per scontata nessuna delle nostre libertà
Comunisti albanesi con la bandiera di Enver Hoxha (Ansa)
Comunisti albanesi con la bandiera di Enver Hoxha (Ansa)

È appena uscito per Marsilio Le favole del comunismo. L’autrice, Anita Likmeta, è una giovane e avvenente imprenditrice albanese che racconta quando da piccola si trovava ancora nella terra retta fino alla morte dal sanguinario dittatore comunista Enver Hoxha e successivamente da Ramiz Alia. Il libro scorre via celermente e piacevolmente. Ari, la giovanissima protagonista, racconta la sua quotidianità fatta di miseria e paura (la famiglia era anche ebrea). A questi scorci fulminei del proprio triste e disumano vivere in un paese comunista, datati tra il 1987 e il 1997, quando Ari è ormai giunta in Italia, si alternano qua e là dei racconti che raffigurano il “Paese delle Aquile”, il paese più felice che ci sia. In questo paese Dio non esiste più perché è retto da un benefattore dell’umanità, il criminale Enver Hoxha.

In questo paese, ancora, la verità è quella che il partito e la Sigurimi (la polizia segreta albanese) incistano nelle coscienze dei sudditi. Se fuori piove ma il partito dice che c’è il sole, la colpa non è del partito ma tua che non ti abbandoni, mente e corpo, alla Verità del partito.

Quel poco di libertà

Fatto sta che la realtà, ce lo ricorda nel suo vissuto Ari, non può essere davvero insabbiata. E così la piccolina ci racconta come mancasse l’acqua, mancasse la luce e l’elettricità, mancasse il cibo, mancasse tutto (in compenso abbondavano i bunker!). Ari, in una scena che suscita tenerezza e commozione, ci dice che ha un unico paio di scarpe, e proprio per questo non le vuole indossare perché ha paura di consumarle. In un’altra scena, cruda e dolorosa, Ari è costretta a farsi la pipì addosso per scaldarsi un poco. E poi c’è il nonno Ibrahim, saggio e di buon senso, che le insegna qualcosa che non dimenticherà mai: i nemici sono gli oppressori, «sono coloro che hanno il potere di toglierti la libertà».

Alla fine del libro, siamo nel 2022, Ari è ormai una giovane donna che vive in Italia, a Milano. Ha una bella casa, un bagno spazioso che «misura quanto la stanza albanese dove ci riunivamo per mangiare». Ama lavarsi con tanto bagnoschiuma, può usare quanta carta igienica vuole per pulirsi, ha tutta l’acqua di cui necessita. Tutte piccole cose che un tempo, invece, non aveva. Una situazione molto diversa da quella in cui si trovava ancora piccola in Albania, dove «nessuno ha niente di più o niente di meno di quello che ha».

Questo libro ci invita a tenere da conto quel poco di libertà e di benessere di cui disponiamo. Ci invita insomma a non seguire quei cattivi maestri che basano tutto il loro pensiero sull'”essere contro”. Almeno finché la miseria reale non li colpisce in prima persona.

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