Un giorno di ordinario bombardamento

Di Fausto Biloslavo
01 Novembre 2001
In trincea si assiste dai tetti al “solito” rituale dei bombardamenti. Tra “errori collaterali” e una contraerea che pensa più a salvare la pelle che a respingere gli attacchi, si diffondono le voci delle radio talebane: “morte all’America” di Fausto Biloslavo

L’orologio a muro è miracolosamente intatto, mentre nella casa in fango e mattoni resta solo un cumulo di macerie. Le lancette sono bloccate sulle 16.38, quando la bomba dell’aereo alleato è piombata sul villaggio di Ghani Khal, scambiandolo per un obiettivo talebano. In realtà si tratta di poche abitazioni civili, a tre chilometri dalla prima linea, e per di più nella zona controllata dai mujaheddin, che si oppongono aspramente ai fondamentalisti al potere a Kabul. Koko Gul era una giovane madre che al momento dell’esplosione ha istintivamente protetto con il suo corpo il figlio di sei anni, rimasto ferito lievemente. I primi soccorritori l’hanno trovata su quello che restava del secondo piano, riversa sul bambino, con mezza faccia in meno e il busto quasi tagliato a metà. Non è l’unica vittima degli errori dei bombardamenti alleati sull’Afghanistan, ma la prima in territorio amico. Un’altra persona è morta e quattordici sono rimaste ferite, sabato scorso, durante gli intensi attacchi dall’inizio dell’offensiva aerea alleata. Tutti sono stati ricoverati nell’ospedale italiano di Emergency, un’isola di pace e di speranza nella valle del Panysher a nord est di Kabul.

Lo “spettacolo” dai tetti

Talvolta le bombe intelligenti sono un po’ sciocche e dei civili sono stati duramente colpiti anche nelle zone sotto il controllo dei talebani. D’altro canto bisogna ammettere che la percentuale di errore, rispetto al numero di sortite, è tristemente nei limiti previsti dai cosiddetti “effetti collaterali”. Negli ultimi dieci giorni gli anglo-americani hanno cominciato a colpire pesantemente le linee del fronte che dividono i mujaheddin dalle truppe talebane e dai guerriglieri arabi trincerati a trenta chilometri a nord di Kabul. I giornalisti più arditi si sono abituati ad osservare le quotidiane scene di guerra dal tetto delle postazioni avanzate degli antifondamentalisti. Lo spettacolo è sempre lo stesso: prima dell’attacco vero e proprio voli in circolo ed ad alta quota, sopra gli obiettivi, un aereo con ali normali, non a beta come i caccia. Si tratta di un velivolo di ricognizione oppure di un gioiello elettronico che disturba le comunicazioni del nemico ed eventuali sistemi di difesa avanzati. Poco dopo arrivano i bombardieri, che sfrecciano incontro volteggiando sugli obiettivi come avvoltoi. Talvolta lasciano cadere dei dispositivi antimissile simili a piccoli globi di fuoco. Il riflesso del sole rende i caccia bianchi e spesso si riesce a seguire le picchiate col binocolo distinguendo perfettamente tutto l’arsenale che trasportano sotto la pancia. La contraerea sparacchia raramente, prima o dopo l’attacco, dando la sensazione che quando cadono le bombe i talebani in servizio alle batterie si nascondono in qualche bunker. Gli aeroplani sono soprattutto FA18 Hornet con il muso affusolato o F15 americani, che sganciano pillole ad alto potenziale esplosivo di 250 o 500 chilogrammi.

Il fungo d’oppio

Diavolerie moderne che non hanno ancora sconfitto i primitivi guerrieri talebani, ma devono aver fatto male ai bunker fondamentalisti su una collina ad ovest dello strategico aeroporto di Bagram, dove corre la prima linea. L’obiettivo è stato ripetutamente colpito, fino a quando una fiammata rossa è schizzata fuori dal cocuzzolo, come la lava da un vulcano. Pure in un villaggio in mano ai talebani deve essere stato centrato qualcosa di altamente incendiario, forse un deposito di munizioni, perché l’esplosione ha sprigionato un fungo d’oppio, alto fra i cento e i duecento metri con una base larga cinquanta. Una nuvola di fumo che ha fatto scomparire le case, già ridotte a scheletri da anni di guerra.

Il passatempo preferito dai mujaheddin, durante i bombardamenti, è sintonizzarsi con le ricetrasmittenti portatili sui canali talebani, che prima degli attacchi mandano in onda il coro «morte all’America» dell’emittente fondamentalista Radio Shariaà. Poi seguono gli insulti e le promesse di terribili vendette, soprattutto da parte di madri, sorelle e mogli dei mujaheddin dei talebani in prima linea che si beccano le bombe sulla testa. In Afghanistan anche questa è guerra.

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