Un germoglio di verità da cui ripartire

Di Giorgio Vittadini
18 Dicembre 2003
Due avvenimenti, apparentemente slegati tra loro, hanno caratterizzato questo fine settimana

Due avvenimenti, apparentemente slegati tra loro, hanno caratterizzato questo fine settimana. I paesi europei non sono riusciti a raggiungere un accordo sulla Costituzione dell’Europa unita. Al di là delle retoriche sui superiori interessi dell’Europa e sulla necessità di andare avanti, chi se la sente di dare torto all’ostinazione di Spagna e Polonia? Si potrebbe giustamente rinunciare ad una identità quando ce ne fosse una più elevata, più nobile, più sicura. Ma perché bisogna rinunciarvi per affermare non un’unione, ma un’egemonia franco- tedesca che equipara la massoneria alla Chiesa, che riduce il rapporto individuo-Stato alla peggior versione dello statalismo, che si dimentica della famiglia, ma si batte per qualunque altra coppia di fatto; che si spaccia per pacifista, per poi scatenarsi in mille mini guerre coloniali? Non si può lasciare la propria identità se non a un potere che accetti di essere un compromesso pacifico al servizio delle realtà che lo generano. In Europa si è dimenticata la persona portatrice di desideri e di ideali e perciò non si può che litigare perché certe volte non bastano gli interessi economici per unire.
In Irak hanno preso Saddam e siamo inorriditi nel venire a conoscenza delle efferatezze che ha compiuto. Anche quelle che già si sapevano, quando era un buon alleato degli occidentali che, allora, chiudevano gli occhi. Chiudono gli occhi anche quei pacifisti che negano l’esistenza del fondamentalismo in guerra con l’Occidente ben prima della reazione americana. Vedere Saddam ridotto come una persona spersa, finita, dopo essere stato così efferato, ci deve far riflettere. Non si può continuare a negare la verità in noi, alleandosi con potenti efferati o negando la violenza di alcuni perché non conviene alla nostra ideologia. Ma come ripartire? L’uomo da solo non può essere uomo. Nel fare il nostro lavoro, nel vivere i nostri affetti, come nel decidere la sorte di popoli o governi, ci illudiamo di sapere vivere il nostro umano inseguendo strategie che sembrano rispondere alla realtà e a noi stessi. In realtà, ciò che decide tutto è qualcosa di molto fragile, quasi impalpabile: è l’esigenza che rinasce, al di sotto di tutto, dopo ogni errore, ogni fatica, di incontrare uno che ci sia veramente amico, che sappia ridarci una chance, che sappia ridirci chi siamo. Tutto il problema è se si crede che questo cambiamento dell’io non sia solo un fatto privato, ma l’inizio di una nuova civiltà. E per questo non si può ignorare chi vive per difendere questo germoglio di verità: la comunità cristiana in Europa e in Irak.

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