Un cardinale di (buone) ragioni

Di Rodolfo Casadei
24 Aprile 2002
Con i suoi interventi su lavoro (al convegno Cdo) e “buono scuola” (alla Fondazione Liberal) Camillo Runi si conferma maestro di libertà e laicità. In perfetto stile bipartisan

Da vent’anni a questa parte, quando i direttori di quotidiani e grandi settimanali vogliono tastare il polso della gerarchia ecclesiastica sulle questioni più brucianti dell’attualità, nell’intento per nulla nascosto di trascinare la Chiesa nella lotta politica e possibilmente animare teatrini “destra contro sinistra” fra i vescovi e fra loro e i partiti, gli interpellati sono sempre quei due-tre: Carlo Maria Martini, l’arcivescovo uscente di Milano presentato come l’alfiere progressista; Giacomo Biffi, l’arcivescovo di Bologna cui tocca la parte dell’arcigno conservatore; e dall’anno scorso la new entry Dionigi Tettamanzi, conservatore in materia di morale ma etichettato progressista filo-no global dopo gli exploit del G8 di Genova (città di cui è arcivescovo). Ma di un teatrino si tratta, perché il vescovo politico per eccellenza – nel senso nobile del termine, che non corrisponde alle bassezze di un cardinal Richelieu e attinge alle altezze di un Roncalli o di un Montini – in Italia è altri: Ruini card. Camillo è il suo nome, già vescovo di Carpi e da 11 anni presidente dei vescovi italiani. Il vicario italiano del Papa (il Romano Pontefice è anche Primate d’Italia, e Ruini è l’uomo che egli ha nominato e confermato per altre due volte come presidente della Conferenza Episcopale nazionale) non ha perso l’occasione di dimostrare tutte le sue qualità di uomo politico la settimana scorsa, allorché la Fondazione Liberal di Ferdinando Adornato l’ha invitato al suo convegno internazionale sull’educazione e l’istruzione nel XXI secolo. Il cardinale vicario ha accettato senza esitazioni l’invito del pensatoio cattolico-laico liberale del centro-destra e, nel suo intervento, ha proposto la realizzazione dell’obiettivo che gli sta a cuore – la parità scolastica fra scuole di varia ispirazione, statali e non statali – attraverso il più moderno e il meno attaccabile degli strumenti a disposizione: il “buono scuola”. Il “buono scuola” è un bastone signorile che sgambetta gli integralisti laiconi intenti a declamare l’incostituzionalità di qualunque finanziamento pubblico che finisca nelle casse di scuole non statali: il “buono” non finanzia le scuole, ma le famiglie, che poi scelgono dove spendere le risorse che lo Stato trasferisce loro in vista dell’assolvimento dell’obbligo scolastico. La Costituzione è salva, e persino Giorgio La Malfa comincia a vacillare (non Paolo Sylos Labini, che è amico del cattolicissimo Oscar L. Scalfaro).

Libertas ecclesiae

Ruini è il vero vescovo politico (in senso nobile) perché non centra il criterio delle sue azioni e dei suoi interventi sulla sua personale inclinazione politica, ma si muove sull’infido terreno della lotta politica entro un sistema democratico nel modo che appare più opportuno per ottenere le migliori condizioni possibili per l’esercizio della Libertas Ecclesiae e per la realizzazione del bene comune. Inevitabilmente l’osservatore esterno scorge in Ruini la figura del centrista irredimibile, ma la realtà è più complessa. Nominato presidente della Cei alla vigilia di Tangentopoli, il cardinale ha accarezzato la speranza di un nuvo centro cattolico capace di sostituire la Dc: ha appoggiato con tutti i mezzi disponibili il Partito Popolare di Martinazzoli alle elezioni del ’94, convinto che insieme al Patto Segni rappresentasse davvero l’alternativa sia ai Progressisti che al Polo della Libertà, e recentemente ha strizzato l’occhio alla Democrazia Europea di D’Antoni, Andreotti e Pippo Baudo; ma a partire dalle elezioni del ’96 accetta pienamente la logica bipolare della democrazia dell’alternanza, garantendo la neutralità partitica della Cei e la sua progressiva evoluzione verso uno stile bipartisan lontano anni luce dagli inviti a votare la Democrazia Cristiana dei decenni pre-Tangentopoli.

Fuori dagli schemi

Di questo stile Ruini è l’interprete più convincente all’interno di una Cei dove la maggior parte dei pesi massimi è ancora schierata più o meno apertamente col centro-sinistra per interposti Popolari (ma in alcuni casi senza più nemmeno questa mediazione), e per questo motivo certi suoi interventi lo rendevano sospetto di conservatorismo o peggio. Come nel caso degli apprezzamenti sulla funzione innovativa di Forza Italia poco dopo le elezioni del ’94 e più recentemente con le sue dichiarazioni circa la legittimità di un’azione armata internazionale contro il terrorismo di matrice islamica. Solo l’ipersensibilità di cattolici allevati in un clima di perbenismo progressista può fraintendere queste posizioni come destrorse e occidentaliste: ieri Ruini cercava nella legittimazione di quella che allora era la componente più problematica del bipolarismo italiano l’apertura che permettesse alla Chiesa di giocare a tutto campo; oggi cerca nella rinnovata attenzione di leader e opinionisti dell’Occidente per le radici cristiane della nostra civiltà lo spazio per il rilancio della “nuovo evangelizzazione” promossa con mitigato successo da Giovanni Paolo II vent’anni fa. All’assemblea della Cei del marzo scorso, nello stesso discorso ha lodato il governo Berlusconi per la riforma Moratti della scuola e lo ha bacchettato per la riforma della legge sull’immigrazione. Senza temere né le reazioni del centro-sinistra, né quelle del centro-destra. Una lezione di libertà e di laicità a tanti che si dicono liberali e laici, un contributo alla stabilità delle istituzioni in un momento in cui tanti le stanno, per interessi di bottega, devastando mentre dicono di combattere in loro difesa contro i barbari berlusconidi.

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