
Un Calcio ai Khamenei
di Emanuele Boffi
Nel 1993 ai bordi del campo dello stadio Azadi di Teheran, in occasione della sfida fra la squadra iraniana del Pirouzi e quella giapponese sponsorizzata dalla Nissan, si potevano leggere “cartelli pubblicitari” di questo tipo: «Down with Usa» e «Israel must be destroyed». Oggi, in Iran, in occasione dei recenti successi sportivi della nazionale guidata dal croato Ivan Blazevic, la gente scende nelle strade ululando «Ti amiamo America». L’Iran sta vivendo un difficile momento di passaggio, il furore islamico che aveva guidato l’ayatollah Ruollah Khomeini alla conquista del potere nel 1979 sembra essersi spento. E più che alti ideali potè il pallone e la televisione. Perché sono questi due fenomeni che stanno alla base di quel complesso fenomeno popolare, fra politica e pallone, detto “la rivolta degli stadi”. I primi segnali si ebbero dopo la conquista alla qualificazione ai campionati mondiali di France ’98. L’allora nazionale iraniana doveva affrontare la più blasonata compagine australiana in due partite, andata e ritorno, per ottenere l’ingresso ai campionati mondiali. Andata a Teheran: 1 a 1. Ritorno nella terra dei canguri il 29 novembre 1997: un rocambolesco 2 a 2. La data è diventata storica per gli iraniani. In svantaggio di due gol a un quarto d’ora dal termine gli asiatici rimontarono nel finale e si qualificarono ad un mondiale a cui avevano smesso di partecipare nel 1978, immediatamente prima della rivoluzione. In piazza si riversarono migliaia di persone per festeggiare l’impresa. E al carnevale di bandiere e canti patriottici parteciparono anche moltissime donne che, scandalo per i fondamentalisti, ballarono gettando in aria i chador. L’indomani il quotidiano conservatore più radicale, Jomhuri eslëmi, fece piovere parole di fuoco sui dimostranti. Ai campionati del mondo l’Iran ottenne un’unica ma significativa vittoria: Iran – Stati Uniti 2 a 1. In quell’occasione anche i fondamentalisti parlarono di «grande spirito nazionale». Da allora ogni qualvolta la nazionale ha riportato qualche successo (ma spesso anche in caso di sconfitta) la gente si è riversata nelle strade. Alle urla sportive si sono mischiate quelle di protesta contro il governo islamico. Non sono mancati nemmeno episodi di teppismo con vetrine di negozi infrante e scontri fra la polizia e i manifestanti. Già nel luglio ’99 si erano verificati scontri fra manifestanti oppositori del regime e polizia, ma allora la protesta era legata alle sole richieste di studenti universitari. Oggi il fenomeno sembra godere di un più largo consenso. E il governo teme che la situazione possa sfuggire ai controlli dopo che la nazionale ha guadagnato sul campo (battendo gli Emirati Arabi per 3 a 0) la possibilità di partecipare ai mondiali in Corea e Giappone nel 2002. Nello spareggio con la cattolica Irlanda gli iraniani partono dalla sconfitta subita a Dublino per 2 a 0. Ma il ritorno, quest’oggi, si presenta infiammato davanti agli oltre 100mila spettatori iraniani nello stadio di Teheran.
Pallone a pallini
Fino al 1998 non esistevano le figurine dei calciatori iraniani. A causa del divieto di riproduzione delle immagini risultavano introvabili i volti di Ali Daei, il Bobo Vieri iraniano, o del fantasista Mehdi Mahdavikia. Inoltre, secondo la legge, l’unico grido di esultanza ammesso è «Allah è grande». Lo sport nazionale è da sempre considerata la lotta a cui si legano significati extrasportivi. Il lottatore è l’immagine dell’eroe cavalleresco persiano, senza macchia e senza paura. Questo sport, di cui si professa ammiratore il leader conservatore Ali Khameini, è stato soppiantato dal calcio. Nella guerra della popolarità i calciatori hanno superato i lottatori, così come Leonardo di Caprio ha sostituito nell’immaginario giovanile i cavalieri persiani. Anche questo è un segno dei tempi. La nuova generazione non ha vissuto la rivoluzione e fatica ad entusiasmarsi per le “epiche imprese” di Khomeini e soci. La nuova religione è il football che però va a scontrarsi con la vera religione, quella fondamentalista musulmana che, anche in ambito sportivo, prescrive tutta una serie di rigidi dettami. Per questo il giocatore Mohsen Rassulli del Saypa di Teheran fu squalificato a vita per essersi levato la maglia esultando dopo un gol. Per questo è vietato agli uomini assistere a sport femminili, come il nuoto e l’atletica, che non consentono un adeguato rispetto della morale. Sono proprio le donne fra le più accese sostenitrici dei campioni iraniani, sebbene sia loro preclusa la possibilità di entrare in un stadio. All’indomani della vittoria contro l’Australia le agenzie riportarono quanto detto da una giovane tifosa: «Non siamo anche noi parte di questa nazione? Anche noi vogliamo festeggiare. Non siamo mica formiche!».
Le contromosse del governo
Come si comportano il leader riformista Mohammad Reza Khatami e quello conservatore Ali Khamenei? A Khamenei sembra sfuggire di mano completamente la situazione. Il leader conservatore ha recentemente invitato i giovani iraniani a studiare la storia del loro Paese e si è detto sicuro che «nonostante i tentativi nemici di illudere i giovani, ormai i nostri giovani hanno compreso la bellezza della religione islamica in questi 23 anni e hanno innalzato la bandiera dell’islam sul Paese». Khatami invece ha visto «motivazioni non solo sportive ma anche politiche» e ha spronato la classe politica a «essere realistica e a guidare la società verso i suoi ideali… e questo è realizzabile solo attraverso principi democratici». Khatami si rende conto che un sentimento di ostilità nei confronti del regime sta venendo sempre più a galla, fomentato anche dai messaggi d’amore che dagli Usa il figlio dello Shah in esilio, Reza Pahlevi Junior, manda al suo popolo. Il quarantunenne re avrebbe esultato al vedere in strada la propria gente dopo la vittoria decisiva con gli Emirati Arabi: «Mi piace sentire che nelle strade si inneggia alla libertà». Messaggi che inquietano sempre di più Khatami consapevole che la situazione attuale del suo paese non è fra le più rosee. Circa il 70 per cento della popolazione ha meno di trent’anni mentre il 30 per cento degli oltre 70 milioni di iraniani è costituito da giovani studenti, la parte più irrequieta della popolazione; la disoccupazione è alle stelle e il posto di lavoro sembra sempre più un miraggio per le giovani generazioni. Per bloccare “la negativa influenza occidentale” all’indomani delle scene di giubilo per la vittoria contro gli Emirati, il governo ha ordinato alla polizia di far togliere le antenne paraboliche che, contro la legge, spuntano da molti tetti delle città iraniane. Secondo quanto riportato dall’Iran Weekly Press Digest circa un migliaio di parabole sono state rimosse in due giorni. Si conta che in tutto l’Iran ce ne siano circa 150mila.
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