Un brindisi alla ragione

Di Lorenzo Albacete
01 Gennaio 1999
A un teologo cattolico che non disdegna la frequentazione dei circoli agnostici e liberal della Grande Mela abbiamo chiesto un “discorso a tavola” per il capodanno. E così qui già si brinda al nuovo millennio in compagnia di un monsignore portoricano a New York. Che con questo articolo avvia la sua collaborazione dall’America (e che da gennaio i nostri lettori potranno godersi nella rubrica “West side story”, di Tempi, of course)

Negli ultimi due anni mi sono periodicamente incontrato con amici impegnati in politica, letteratura e nella vita accademica che si definiscono “liberali” e stanno cercando una forma di liberalismo sensibile ai cambiamenti sociali, economici e culturali della vita americana degli ultimi decenni. Riconoscendo che la dimensione religiosa non è necessariamente esclusa da una tale visione politica, spesso mi chiedono di parlare da questo punto di vista. Ecco cosa avrei detto se ci fossimo incontrati alla vigilia del nuovo anno per aspettare il nuovo secolo e il nuovo millennio.

Discorso a tavola. Preliminari Amici! In questa ultima notte del XX secolo, a poche ore dal nuovo millennio, vi invito a unirvi a me in un brindisi alla ragione. Siamo stati messi insieme da un interesse profondo, o meglio una passione per la libertà. Ecco perché ci facciamo chiamare “liber-ali”. Crediamo che la libertà personale sia imprescindibile per lo sviluppo di tutte le capacità dell’essere umano. Crediamo che questa “opzione preferenziale per la libertà’” debba essere codificata nelle disposizioni politiche, giuridiche ed economiche e strutturata nelle istituzioni che tengono insieme un paese “con libertà e giustizia per tutti”. Ma perché ciò sia possibile sono indispensabili due requisiti: che ogni individuo possa determinare i beni e i valori per i quali sceglie di vivere e che il governo faccia il suo dovere, favorendo un accesso paritario per tutti alle risorse per lo sviluppo personale che l’iniziativa umana può ricavare dalla natura senza distruggerla. Questi requisiti appaiono spesso incompatibili e possiamo avere pareri diversi su quanto riteniamo un compromesso soddisfacente tra i due nei singoli casi. Tuttavia crediamo che alla fine di questo millennio, l’immenso potere economico, culturale – e militare – del nostro paese andrebbe coscienziosamente impiegato per questo obiettivo. In una notte come questa, guardiamo davvero al futuro speranzosi per il successo della nostra concezione? Il tramonto della destra religiosa Non siamo utopisti – senz’altro abbiamo superato questo problema – e sappiamo perciò che questa causa andrà sempre incontro a battaglie e compromessi. Nondimeno, ci sostiene la speranza nella capacità umana di comprenderla e nel desiderio dell’uomo di vivere così. Ma ugualmente vi chiedo: a cosa ci appelliamo per sostenere la nostra speranza? L’esperienza unificante di un destino comune era una volta garantita dalla narrativa religiosa Giudaico-Protestante-Cristiana che interpretava la storia del nostro paese come un impegno per la libertà.

Oggi questo non è più possibile e in ogni caso la maggioranza dei liberali lo intende come discriminatorio e disgregante. Io condivido questa preoccupazione con voi. La narrativa religiosa unificante americana non è stata capace di sostenere la diversità che ha finito per cambiare il profilo culturale dominante dell’America contemporanea. Semplicemente non riesce a far fronte alla grande diversità di convinzioni fondamentali che contraddistinguono il nostro paese e, indubbiamente, l’umanità. A cosa, allora, possiamo fare appello per rimanere uniti nella ricerca di un destino comune? La schizofrenia della “Repubblica procedurale”
Le nostre difficoltà nel rispondere a questo quesito sono – io credo – alle radici del disorientamento e della paura che la maggioranza di noi prova quando la domanda non può essere evitata. Si cerca rifugio nelle regole, nelle procedure. La nostra è stata chiamata una “repubblica procedurale”. Siamo tenuti uniti dalla fedeltà alle regole e alle leggi che garantiscono le due condizioni per una società libera e giusta. Ma quanto a lungo può vivere un uomo affidandosi alle regole senza cercare le loro ragioni ultime, soprattutto quando l’essere loro fedele implica sacrifici, fino a quello estremo? Il liberalismo non ha censurato questa domanda. Esso – a mio parere giustamente – ha abbandonato una difesa moralmente utilitaristica o relativistica della sua neutralità per il rispetto del bene comune come valore sociale unificante. Così facendo non è stato però capace di andare oltre il pragmatismo politico nella difesa dei suoi principi. Ma è sufficiente? La conseguenza è una radicale separazione tra l’esperienza della persona (e l’esperienza dei diritti inviolabili che esso minaccia) e l’impegno politico. Ad esempio, quando siamo impegnati politicamente ci impone di mettere da parte tutte quelle esperienze morali e quei legami inscindibili (come la famiglia, l’amicizia, l’amore) che toccano il livello più profondo delle nostre vite di uomini. È una cosa giusta? È veramente umano sopprimere le nostre esperienze più profonde se desideriamo sviluppare e difendere la libertà? Ma che razza di libertà è quella che impone di censurare le proprie esigenze e i propri desideri più intensi e profondi? Il rispetto delle procedure appropriate, delle regole e delle leggi, si deve fondare sulla loro corrispondenza alle esperienze più profonde del cuore. Altrimenti non otteniamo altro che un soffocante moralismo e il legalismo, la tirannia della “correttezza sociale” definita infine da coloro che hanno il potere di formulare le regole e di interpretarle.

Il ritorno dell’intolleranza reazionaria Nessuna meraviglia allora se il sentimento di insoddisfazione e di disorientamento ha portato molti a mescolare di nuovo la religione con la politica con risultati sinceramente reazionari. Si ottiene infatti una caricatura dell’una e dell’altra. Alla fine del XX secolo – il secolo del pensiero critico, dell’umanesimo secolaristico, dell’analisi scientifica e delle scoperte sbalorditive – siamo così testimoni di un pericoloso ritorno dell’intolleranza religiosa e le risposte dei nostri sedicenti leader riescono solo a imbarazzare profondamente chi prende sul serio le grandi sofferenze e l’immenso sacrificio implicati dalla ricerca sul Mistero che dà senso e pienezza alla vita (notate come anche il nostro leader candidato liberale per la Presidenza si senta in dovere di garantire ai votanti di essere un perfetto cristiano mentre si sono diffuse chiacchiere sulle passate esperienze mistiche di un altro sfidante liberale. Dall’altra parte Gesù stesso sembra in lizza per essere candidato e un leader repubblicano lo chiama “il mio filosofo preferito”. Tutto questo per i grandi dibattiti cristologici del primo concilio ecumenico della Chiesa cristiana). Cosa possiamo rispondere? Siamo adulti? Deponiamo i cliché, usiamo la ragione Vi ho invitati a seguirmi in un brindisi alla ragione. Ed è proprio la ragione che noi offriamo in risposta. Sulla ragione noi fondiamo le nostre speranze. Ed ad essa dovremmo appellarci quando formuliamo, perseguiamo e difendiamo il nostro disegno politico. I principi che ci ispirano sono infatti raccomandabili e difendibili perché sono ragionevoli. Potreste essere sorpresi nell’ascoltare simili affermazioni da un prete cattolico che aderisce pienamente alla dottrina della Chiesa. Ma lasciatemi spiegare. La più grande tragedia di questo secolo ormai al tramonto è stata la radicale separazione tra ragione e senso religioso. Che poi è stata preparata dalla precedente separazione tra ragione e fede cristiana. Se si può considerare quest’ultimo come un problema che riguarda solo i cristiani, il primo lo è per tutti gli uomini, poiché ragione e senso religioso sono espressioni inseparabili di quello che significa essere un uomo.

La responsabilità dei cristiani Spetta allora ai cristiani dimostrare che seguire Cristo non sospende o contraddice la nostra esperienza né l’analisi intellettuale della realtà, ma spetta a tutti gli esseri umani giudicare se il Mistero verso il quale si indirizza il senso religioso contiene (oppure no) la soddisfazione del nostro desiderio di libertà. E la ragione è lo strumento per confermare o respingere la domanda religiosa. Una ragione che non può essere ridotta alla capacità di afferrare causa ed effetto di un fenomeno (in se stesso un problema serio posto dalla fisica contemporanea) o di dimostrare una proposizione attraverso la logica. La ragione è molto più di questo. Ciò che è scientificamente dimostrabile è ragionevole, ma la ragione si estende oltre, verso ciò che non può avere prove scientifiche, ad esempio l’amore e l’amicizia. E in questo campo la ragionevolezza è legata a quello che corrisponde all’esperienza delle esigenze e dei desideri più profondi del cuore umano.

Ma che cos’è la ragione? La ragione è infatti la capacità di affermare il reale e la realtà è ciò che agisce su di noi e provoca domande nel cuore. Sono queste domande che muovono e sostengono la ragione, facendone un atto che definisce l’umano. La ragione afferma la realtà come corrispondente alla domanda che ci muove. Non si ferma fintanto che non sperimenta la soddisfazione di scoprire ciò che ci muove attraverso la domanda. Dopo aver esaminato criticamente tutte le possibilità, è condotta alla soglia del Mistero e qui diviene speranza, una speranza umana, una speranza ragionevole. La stessa speranza che sostiene i nostri tentativi politici: la certezza, prima del Mistero, che la vita è bella e degna di essere vissuta, che il mondo è buono, che l’essere umano possiede una inalienabile dignità che va rispettata da tutti, che la libertà è la più preziosa delle capacità umane, che la giustizia è la responsabilità per la libertà. Indubbiamente la libertà è il legame al Mistero che trascende ogni tentativo di definirci attraverso un potere di qualsiasi origine. Ma se il legame a questo Mistero – il senso religioso – viene cancellato, il potere trionferà sulla nostra libertà, prima o poi. Come cattolico non ho paura di sottomettermi al tribunale dell’autentica libertà umana. Il compleanno che segna il nuovo millennio è un evento che mi rivela come non ci sia alcuna opposizione tra Mistero e libertà perché il Mistero che vedo nell’umanità di Colui che nacque 2000 anni fa si rallegra nella libertà umana, avendola creata per la gioia del suo Eterno Figlio. Per questo vi invito, cari amici, a brindare alla libertà degli uomini.

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