Ulivo saddamizzato

Di Rodolfo Casadei
27 Febbraio 2003
Per l’ennesima volta il centrosinistra va in pezzi su un voto di politica estera: i riformisti più in vista si ribellano e le cantano chiare a pacifisti ed antiamericani

Saddam Hussein non ha ancora perso la guerra con gli Stati Uniti, l’Ulivo italiano sì. Alla Waterloo parlamentare del 19 gennaio – Verdi, comunisti italiani e quasi tutto il “correntone” Ds hanno votato una mozione di Rifondazione Comunista pensata apposta come contraltare di quella dell’Ulivo, che infatti i “rifondaroli” hanno bocciato – è succeduta la guerriglia ferroviaria di Casarini&Agnoletto che sta decimando l’esercito ulivista in ritirata peggio di quella spagnola contro le truppe napoleoniche. «Ora che viene manifestata, da esponenti di rilievo della Margherita e della maggioranza dei Ds, come la Bindi e Violante, comprensione nei confronti di chi vuole boicottare e assediare le basi Nato – dichiara affranto il presidente dello Sdi Enrico Boselli – il chiarimento non è più una necessità, ma un’urgenza. Siamo infatti di fronte ad una vera e propria crisi dell’Ulivo come forza di governo. Non si può oscillare tra boicottaggio delle basi Nato e riformismo. Di questo passo si arriverà a discutere se l’Ulivo debba dare solidarietà o meno a chi fa azione di interdizione sui binari o nei porti».

Napolitano: “non avete più dignità”
Il “chiarimento” Boselli era già stato invocato da Enrico Morando, esponente dell’ala riformista dei Ds, all’indomani del turbolento voto parlamentare sull’Irak, e da Giorgio Napolitano, che l’aveva accompagnato con una dura reprimenda contro comportamenti «al di sotto del livello minimo di dignità e di linearità politica», (Emanuele Macaluso ha parlato di «comportamento analogo ai franchi tiratori di una volta»). «Resta da capire – aveva dichiarato l’ex presidente della Camera nel corso di una conferenza stampa – come decine di deputati dell’Ulivo, e in particolare del mio partito, abbiano potuto votare la mozione di Fassino e Rutelli e insieme quella di Rifondazione, ignorando il fatto che da Bertinotti venivano giudizi sprezzanti sulla mozione dell’Ulivo e incuranti del fatto che le due mozioni erano chiaramente fra loro incompatibili».
Ma le analisi e le riflessioni della sinistra riformista vanno ormai al di là della questione Ulivo e del metodo decisionale che la coalizione dovrebbe adottare per sperare di restare tale e non andare incontro a nuove, umilianti disfatte. Ci si comincia ad interrogare sulla natura del movimento pacifista che sta ipnotizzando le menti migliori della sinistra e che sembra una clava letale nelle mani dell’apprendista stregone Cofferati e sull’antiamericanismo che, per quanto esorcizzato, riappare puntualmente nei cortei e nelle aule parlamentari. Ha scritto su il Riformista il capogruppo dello Sdi alla Camera Ugo Intini a proposito della manifestazione del 15 febbraio: «I socialisti come me hanno qualche comprensibile timore di piazza San Giovanni e dei suoi riti di massa. Partendo da lì, la sinistra sta tornando agli anni Cinquanta sul tema del lavoro, con la Cgil divisa da Uil e Cisl. Sempre partendo da lì, rischia di tornare agli anni Cinquanta sul tema della politica estera, come ai tempi della guerra di Corea. Purtroppo, non tutti i dirigenti della sinistra se ne preoccupano. I più anziani, in fondo, ritornano alla gioventù, quando, con le stesse sicurezze e gli stessi slogan, organizzavano i cortei dietro la colomba di Pablo Picasso: marciavano per la pace, ma anche per Stalin. Un vizio di origine, questo, coltivato per quasi mezzo secolo, che rende il movimento pacifista italiano, nonostante sia il più numeroso, il meno credibile del mondo».

Amato: “Europa, cresci e non fare l’ipocrita”
Sull’antiamericanismo ragiona, in un’intervista di peso a La Repubblica, l’ex presidente del Consiglio Giuliano Amato. Bacchetta «una larga fetta della sinistra europea, e italiana, che sembra orfana delle battaglie anticapitaliste dell’ultimo scorcio del Novecento. L’antiamericanismo è nella pancia di buona parte della sinistra europea». Difende le buone ragioni degli Stati Uniti e invita gli europei a non fare gli struzzi: «Proviamo ad ascoltare gli argomenti degli Stati Uniti. Hanno torto quando dicono che a noi europei interessano più i contratti commerciali con l’Irak che il rispetto delle risoluzioni Onu? Hanno torto quando sostengono che, se non fossero stati loro a porre la questione terrorismo, noi avremmo continuato a conviverci? Quando critichiamo Golia, chiediamoci se abbiamo davvero la nobiltà di Davide. Non siamo idealisti come vorremmo essere». E conclude con una critica costruttiva sia agli Usa che all’Europa: «Tutto nasce dal fatto che gli Stati Uniti sono, non per colpa loro, una superpotenza solitaria. Il mio timore è che l’essere così straordinariamente superiori sul piano militare possa portare ad una distorsione della loro mentalità democratica. Opporsi non serve ad altro che ad accrescere la loro propensione all’unilateralismo. L’unica soluzione è diventare un interlocutore più efficace possibile. Da qui il bisogno di Europa, ma di un’Europa che non sia solo antagonista e che obblighi gli americani a non parlare più in termini di “tu ed io”, ma di “noi”».

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