Ugo, l’uomo della vita di Pina. E della vita della signorina Silvani

Di Guia Soncini
17 Luglio 2017
Qualche anno fa scrissi un libro sull’adulterio. Parlava di donne del cinema; parlava di casi come quello che s’intuisce in queste lettere. parlava dei miei genitori
Una foto di scena tratta da ''Fantozzi''. ANSA/ WEB +++ NO SALES, EDITORIAL USE ONLY +++

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Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Cara Guia, ora che se n’è andato sento di doverlo dire al mondo: Ugo è stato l’uomo della mia vita. Anche quando facevo la cretina con quello che mi vendeva gli sfilatini, anche quando faceva il cretino con le colleghe, anche quando guardavamo nostra figlia sperando non ci somigliasse, è sempre stato l’unico che abbia amato. E anche lui mi stimava molto.
Pina vedova F.

Cara Guia, ora che se n’è andato sento di doverlo dire al mondo: Ugo è stato l’uomo della mia vita. Anche se fingevo di disprezzarlo, anche se gliela facevo annusare e poi gliela sfilavo da sotto il naso (lo facevo per tenere vivo il rapporto, per farmi desiderare di più: lo facevo per noi), anche se nessuno l’ha capito, io ero pazza di lui. Sono una di quelle donne che amano essere amate, e lui è l’unico uomo che mi abbia amata davvero. Vorrei gridarlo a tutti, ora che non c’è più.
Signorina A. Silvani

Qualche anno fa scrissi un libro sull’adulterio. Parlava delle mogli e delle amanti del cinema italiano (quelle sullo schermo e quelle sui set); parlava di casi come quello che s’intuisce in queste lettere (la moglie e l’amante che si litigano il cadavere; c’è un protocollo per i funerali degli uomini con amanti storiche e mogli mai lasciate, ed è un protocollo che prevede ogni volta sfinenti trattative: non tutti hanno la forza tranquilla dei Mitterrand). Soprattutto, parlava dei miei genitori. Di come mio padre avesse avuto un’amante per decenni (lui era un medico, lei la sua infermiera: non ricordavo molto altro, e non sarei mai così crudele da sputtanare una poverina che aveva avuto il cattivo gusto di copulare con mio padre, quindi non aggiunsi dettagli identificativi); di come la portasse in vacanza raccontando bugie che bisognava essere sceme (o: assai determinate a conservare il ruolo di moglie) come mia madre per accettare; di come a un certo punto decise di fare dell’amante una donna onesta e quella lo mandò a stendere e lui tornò mesto dalla moglie (che ovviamente se lo riprese).

L’editore sperava molto in una denuncia. Se la memoria mi regge, il libro che era andato meglio negli anni precedenti era uno in cui Gad Lerner parlava del padre: dopo che quello l’aveva denunciato, le vendite si erano ringalluzzite. Non è che tua madre ci querela?, ipotizzavano garruli. Ma noi siamo di provincia: non ci si denuncia tra consanguinei, sennò poi cosa dirà la gente.

Però successe comunque una cosa meravigliosa. Mia madre ha quello che Yasmina Reza definirebbe il genio del purissimo presente. Ella è convinta che nessuna puttanata sia troppo macroscopica per essere creduta. Che più la spara grossa più all’interlocutore verrà il dubbio che stia dicendo la verità. Ella è, in sintesi, convinta che non esista l’onere della prova. Quindi, il giorno in cui uscì il libro, ella si procurò una sim con un numero a me ignoto e iniziò a tempestarmi di messaggi in cui si identificava come “l’infermiera”. “L’infermiera” mi comunicava che mai mio padre l’aveva degnata di alcun viaggio alle Maldive. “L’infermiera” mi comunicava che mio padre aveva amato sempre e solo mia madre. “L’infermiera” metteva nel descrivere la solidità della coppia che mi aveva generata uno zelo che solo un genio del purissimo presente non avrebbe previsto risultasse sospetto.

Non so se, nel momento in cui la moglie si fingeva l’amante per difendere la reputazione del suo matrimonio, l’infermiera fosse viva, morta, memore di quel tizio con cui copulava decenni prima. So che, un po’ come accade a moglie e amante del ragionier Ugo, avevano dovuto fare tutto loro: amarlo, perdonarlo, archiviarlo, spiegargli che non lo volevano come compagno ufficiale, ripristinarne la reputazione da morto. Negli anni in cui il ragioniere era prestante così come nel secolo in cui muore, negli anni in cui mio padre aveva una vita sessuale così come nel secolo in cui io trasformo quella vita sessuale in diritti d’autore, la costante è una: la partecipazione degli uomini a una relazione è pressoché sempre un’invenzione delle donne.

@lasoncini

Foto Ansa

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