Non è portandosi via il pallone che l’Ue vincerà la sua partita internazionale

Di Leone Grotti
23 Giugno 2021
Draghi propone di non disputare la finale degli Europei di calcio a Wembley con la scusa del Covid-19. Ma è solo una rappresaglia, giocata male, per la Brexit
La coppa degli Europei 2020 in mostra a Roma

Ci ha pensato la Uefa a rimettere in riga il premier Mario Draghi, rintuzzando la sua richiesta di non giocare la finale degli Europei di calcio a Wembley in Inghilterra. «Non ci sono piani per cambiare la sede», si legge in una nota ufficiale.

Euro 2020, contagi e vaccini

Il presidente del Consiglio, durante la conferenza stampa a Berlino a fianco di Angela Merkel, aveva dichiarato di volersi adoperare «perché la finale non si giochi in un paese in cui i contagi stanno salendo rapidamente». L’impressione che, al di là del calcio, l’Unione Europea voglia ancora punire Londra per la Brexit è forte, ma non è portandosi via il pallone che Bruxelles potrà vincere la partita.

I contagi da Covid-19 stanno crescendo in Inghilterra soprattutto a causa della variante Delta, è vero. Nell’ultima settimana sono stati registrati nel paese circa diecimila nuove infezioni al giorno, 68 mila di media, un aumento del 30 per cento rispetto alla scorsa settimana. I decessi, 74 negli ultimi sette giorni, sono cresciuti del 12%. I ricoveri invece del 39,6%. È anche vero però che l’Inghilterra ha già vaccinato con due dosi il 60% degli adulti, 31 milioni e 449 mila persone, e con una dose l’81,9%.

In Italia, dove la finale di Euro 2020 potrebbe essere spostata, i nuovi contagi sono sicuramente più contenuti (ieri erano 495), anche se si riscontrano più decessi (21 ieri). In compenso, sono state vaccinate con due dosi 16 milioni di persone (il 30% della popolazione adulta) e 30,5 milioni con una dose (il 59,4%). Per quanto riguarda la campagna vaccinale, dunque, l’Italia non è neanche a metà strada rispetto all’Inghilterra. Siamo sicuri dunque che giocare la finale degli Europei a Roma sarebbe più sicuro che disputarla a Londra?

Guerra alle serie tv inglesi

Che Bruxelles muoia dalla voglia di vendicarsi per l’affronto della Brexit si capisce anche da una lettera inviata dalla Commissione europea agli Stati membri, nella quale si denuncia una «presenza sproporzionata di contenuti britannici con la quota europea di video on demand». Insomma, è il succo, in Europa girano troppi film e serie tv inglesi: sarebbe meglio ridurre le produzioni “straniere” dai palinsesti ora che l’Inghilterra ha salutato l’Ue.

Come nota Tony Damascelli sul Giornale, riprendendo il Guardian, la lettera è pretestuosa dal momento che le produzioni britanniche sono avvantaggiate innanzitutto dalla lingua, l’inglese appunto, e non da trame occulte. Inoltre, «forse a Bruxelles hanno dimenticato che il Regno Unito fa ancora parte della Convenzione europea delle televisioni transfrontaliere, fino a quando non ne verrà dichiarata l’espulsione o la conclusione degli accordi».

L’Ue non può portare via il pallone

Non c’è dubbio che l’Inghilterra fosse il meno europeo degli Stati membri, ma è altrettanto chiaro che le eccessive rigidità di Bruxelles hanno favorito la Brexit. Per lo stesso atteggiamento la Svizzera ha chiuso la porta in faccia ai Ventisette, rifiutandosi di firmare l’Accordo quadro con l’Ue a lungo discusso. Mostrarsi intransigenti fino al grottesco, come nel caso della finale degli Europei e delle serie tv, non renderà Bruxelles più forte.

Se l’Ue vuole diventare davvero una potenza più rispettabile non deve partire da piccole vendette, ma dalla risoluzione dei suoi antichi problemi: mancanza di democrazia, burocrazia eccessiva, assenza pressoché totale di unità su alcuni temi e irragionevoli obblighi di uniformità su altri. Deve insomma, per mantenere la metafora calcistica, giocare la partita in contropiede, non portarsi via il pallone mettendo a segno un autogol.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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