Ucraina, la tetra fabbrica dei figli del mondo in pace

Di Redazione
04 Gennaio 2024
Bisognava attraversare un paese in guerra per documentare come funziona la più grande catena di montaggio dei bambini, «il futuro è l’utero artificiale, così non si dirà più che sfruttiamo le donne». Un servizio delle Iene da recuperare

«Quando mia moglie è rimasta incinta qualcuno ci chiamò per proporlo anche a noi». «Cioè vi hanno proposto se tua moglie volesse diventare una madre surrogata?». L’autista ucraino che sta portando le Iene a Kiev conferma a Paola Barale che “cercavano” donne per rimanere incinta o donare ovuli. «Vi hanno offerto soldi?». «Sì, ma non ricordo quanto. E mia moglie non era interessata».

Fuori dai finestrini, auto, gente incappottata che cammina tra i palazzi bombardati, trincee ai bordi delle strade, filo spinato, mille posti di blocco e infinite forze armate ad ogni angolo, uomini che fino a un anno fa lavoravano in ufficio, in negozio. «E questo è niente rispetto a Bucha, Irpin», dice l’interprete raccontando una quotidianità segnata dal coprifuoco, le sirene, le corse nei bunker.

Il servizio delle Iene sulla surrogata in Ucraina

Bisogna attraversare la cruda desolazione dell’Ucraina per vedere quello che tutti i riflettori accesi sullo scintillante mercato dei figli dell’utero in affitto nascondono ed è un bel servizio quello che Paola Barale e Gaston Zama hanno realizzato per le Iene il mese scorso (lo trovate qui). Non c’è alcuna concessione alla retorica zuccherosa in voga tra Canada e California, rispettivamente eldorado della cosiddetta gpa “altruistica” e commerciale, né alle frottole di tanti giornalisti: i due si sono finti fidanzati per documentare come funziona la maternità surrogata in un’Ucraina sorvolata dai droni russi e in cui migliaia e migliaia di donne affittano il proprio utero per mettere al mondo migliaia e migliaia di bambini su commissione.

Coppie provenienti da Cina, Corea, Giappone, India, Usa, Canada, Argentina, Brasile, Australia, «tanti dall’Italia», spiega ai due il primario della famigerata Biotexcom (ricordate la cerimonia di “consegna” dei figli ammassati in un hotel stellato e i video dal bunker «con tutti i comfort»?), raccontando un settore in pieno sviluppo soprattutto a causa del declino demografico nel ricco Occidente.

Quattro persone per fare un figlio

Barale e Zama hanno visitato molte cliniche da Kiev a Bucha fino a Karkiv. Incontrando tutti gli addetti ai lavori: medici, agenti, legali, surrogate. Le domande – quelle di chi vuole capire di cosa si sta parlando – ci sono quasi tutte (il servizio è sulla procedura, non sulla vita delle surrogate), i numeri e le risposte anche. Data l’età della Barale, 56 anni, il programma proposto è quasi ovunque: raccolta dello sperma di Zama, selezione da catalogo di una donatrice di ovuli, creazione embrioni in vitro, scelta della surrogata, preparazione all’impianto con ormoni, trasferimento in utero, gravidanza, parto, firma del modulo di disdetta (rinuncia al bambino) della surrogata, consegna del neonato.

Sentire un medico descrivere con tono monocorde la catena di montaggio della filiazione senza sforzarsi di indorare la pillola, come parlasse in pubblico o un giornalista, è istruttivo: Barale e Zama sono solo due dei “tanti” italiani a cui lasciare i cataloghi delle donatrici della banca ovuli, quelli delle surrogate («abbiamo le nostre o potete ricorrere alle agenzie», spiegano i dottori) e listino prezzi. Le regole d’ingaggio sono le “solite”: la donatrice resterà anonima ma verrà scelta il più fisicamente simile alla “madre” che la accudirà (stessa altezza, peso, stesso gruppo sanguigno; nei cataloghi è dettagliata ogni inclinazione, dagli studi alla “stagione preferita”), la surrogata, che mette l’utero e non i gameti (altrimenti il bambino «sarebbe geneticamente figlio suo») diventerà invece una presenza in carne e ossa, «dovete incontrarla», «deve piacervi» e «passare tutti i test». Contando Zama e Barale, che seppure invisibile «biologicamente» risulterà la madre del bambino nei documenti per l’espatrio, il programma prevede quattro persone per fare un figlio.

 «La nostra paziente più anziana ha partorito a 72 anni»

Zama si sofferma più volte a “ricapitolare” tutti i passaggi, le grafiche in 3D degli adulti che avranno un ruolo nella creazione di una blastocisti palpitante sono tutto fuorché pacificanti. Ogni incontro in clinica si conclude in amministrazione: in media alla surrogata vanno dai 16 ai 20 mila euro, più affitto mensile (circa 500 euro al mese), poi ci sono spese notarili e servizi a parte, come la sala parto. La parola d’ordine in questo carnaio di ingredienti e variabili biologiche è forzare ogni intoppo: la coppia ammette di non essere sposata – solo coppie etero e sposate possono affittare un utero in Ucraina – e la dottoressa di una clinica propone alla Barale, sbigottita perché in menopausa, di portare avanti lei la gravidanza e fate da surrogata, «una mia paziente italiana ha partorito a 59 anni», «si fa un cesareo».

Basta «creare degli embrioni», spiega, «prepariamo l’utero di Paola “forzandolo a lavorare” con degli ormoni, porteremo il suo organismo all’epoca del ciclo mestruale. Faremo una terapia ormonale per indurle di nuovo le mestruazioni e una volta che le torna il ciclo, prepariamo l’utero al trasferimento dell’embrione». Mentre parla la dottoressa afferra un catetere e lo porge alla donna, «è qui che mettiamo qualche embrione, è una procedura totalmente indolore». Da ultimo la dottoressa ricorda che i due potranno scegliere il sesso del bambino, «e due gemelli? Un maschio e una femmina si può fare?», chiede provocatoriamente Zama. «Si può fare», conferma il medico. «Da noi la paziente più anziana ha partorito a 72 anni», «la legge non pone limiti», «dopo il parto – dice guardando la Barale – potrebbe anche allattare».

«Prendevo 245 euro al mese. Con la surrogata 16 mila»

Non tutti nelle cliniche sono disponibili. Qualcuno registra le conversazioni, qualcuno si scoccia di rispondere alle domande, un agente che non vuole «perdere tempo» mostra sul cellulare la foto di una ragazza «perfetta per voi», proponendola alla coppia come vendesse un tappeto in un suk. Le richieste più schivate sono quelle sugli “errori di sistema”: nessuno vuole commentare i casi in cui una coppia abbia rinunciato a un bambino condannandolo all’orfanotrofio (Tempi vi aveva raccontato la storia di Bridget e quella della bambina dal nome di fata) o casi in cui la surrogata si sia rifiutata di cedere il bambino. Per una clinica la migliore “prevenzione” consiste nel pagare la surrogata solo «alla consegna» e alla firma della disdetta, altre insistono che tutte le loro surrogate siano seguite apposta da psichiatri e psicologi perché non si affezionino alla creatura in grembo.

Dichiarazioni smentite dalle surrogate incontrate dalle Iene, che assicurano col sorriso di non avere alcun bisogno di aiuto o supporto. Donne di età e condizioni diverse: c’è chi ha già tre figli suoi ed è alla terza gravidanza per altri, chi alla prima, chi aspetta un maschio ed è agli sgoccioli, chi è sposata, chi fidanzata con un soldato in guerra. Tutte dicono di aver deciso di fare la surrogata solo perché «mi piace aiutare gli altri», «voglio fare felice una donna sterile», «è bello aiutare altre famiglie», «lo farei anche gratis», dice quella che lo ha già fatto per una coppia di cinesi, di italiani e ora di inglesi. Solo una cede alle domande insistenti della Barale su quanto prendeva a lavorare in un ristorante e quanto prende per affittare l’utero: 246 euro al mese contro 16 mila euro minimo, «è come se tu avessi lavorato cinque anni», «sì», risponde impassibile la surrogata.

«La surrogata non è etica? Cosa c’è di etico nella guerra?»

Ma nessuna di loro riesce a mentire sulla vita dura in Ucraina. «La gravidanza non può essere percepita come lavoro? Non è etico?», sbotta il direttore di una grande clinica di surrogata a Karkiv invitando i due a guardarsi intorno e chiedersi ci sia di etico a partire dalla guerra. «È facile gridare che le donne ucraine sono sfruttate. Non lo sono. Mai. La nostra legge permette la gpa. Ma il problema sono i soldi. L’industria della gpa produce un grosso giro di affari». In Ucraina rende 1,5 miliardi all’anno spiega Zama. La guerra non fa che incrementare il mercato ma «credete davvero che in Canada la gente non paghi sottobanco per “invogliare” a diventare madri surrogate?».

In realtà come avevamo spiegato qui, non serve nemmeno pagare sottobanco per muovere un indotto con tanti zeri, ma in un paese in cui lo stipendio medio va dai 400 ai 600 euro il direttore di Karvik è il primo a smontare lo storytelling delle sue surrogate e a parlare di “lavoro”: «Qui puoi diventare una madre surrogata o continuare a lavorare come una professoressa. La donna decide in autonomia se cambiare la sua vita: se vuole comprare una nuova casa per il suo bambino, per suo marito…».

Arriveremo all’utero artificiale «così non si dirà più che sfruttiamo le donne»

Le auto crivellate di proiettili fuori dall’uscio, i veicoli bruciati, i detriti di Karkiv non fanno parte solo della scenografia di un servizio, ma della vita stessa di queste donne che sorridenti negano di sentirsi sfruttate o di provare qualcosa per quel bambino in grembo a cui spiegano, accarezzandosi il pancione, che presto verranno a prenderlo «i suoi genitori». Non manca il controcanto delle Iene sugli effetti epigenetici durante la gravidanza che legano un figlio alla donna che lo mette al mondo. Certo, non c’è traccia nel servizio dello strazio delle surrogate che hanno fatto causa alle cliniche, degli errori di produzione, scambi di gemelli, embrioni perduti, accuse di traffico di minori, documentati da tanti media, non da ultimi Guardian, Politico e Welt.

Ma non ci sono inquadrature sentimentali, non ci vengono serviti escamotage quali vagiti e sorrisi di neonati per “umanizzare” quelle che sembrano rozze cliniche biofaustiane in tutta l’Ucraina. Fino alla profezia del  primario della blasonata Biotexcom cara a tanti editorialisti nostrani :

«Nel giro dei prossimi dieci anni circa il 40 per cento delle famiglie potrebbe rimanere sterile. E bisogna fare qualcosa o tra 50 anni sarà già tardi. Oggi la donna vuole essere pari all’uomo, godere degli stessi diritti, raggiungere gli stessi livelli di potere, avere una posizione sociale pari a quella dell’uomo. Questo impegna del tempo. La famiglia e i bambini si fanno sempre più tardi. E più la donna è adulta più le coppie dovranno rivolgersi alle cliniche che curano la sterilità. Priorità agli studi, alla carriera, alla casa, ai soldi e solo dopo si pensa alla famiglia e ai bambini. Il pericolo esiste, guardate i dati delle nascite in Europa. Per mantenere il tasso demografico le nascite devono essere al 2,15 per cento ed oggi il tasso è pari a 0,7 – 0,9, – 1,1 per cento. Volenti o nolenti, l’umanità dovrà procreare una grossa quantità di figli in altri modi. Parlo dell’ectogenesi (utero artificiale, ndr). Arriverà. Così non si dirà più che sfruttiamo le donne».

 

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