
Ucraina. La «follia» di Bakhmut e l’escalation infinita

Le parole migliori per descrivere la guerra in Ucraina le ha usate ieri il presidente Volodymyr Zelensky, riferendosi alla violentissima battaglia che si sta combattendo per il controllo di Soledar, 10 km a nord di Bakhmut, nella regione di Donetsk. «I russi stanno facendo di tutto per prendere Soledar», ha dichiarato Zelensky. «Non è rimasto neanche un muro che non abbia subito danni. Tutto è completamente distrutto. Migliaia di persone sono morte. L’intero terreno vicino alla città è ricoperto dai cadaveri degli occupanti e dalle ferite lasciate dalle esplosioni. Ecco a che cosa assomiglia la follia».
La Russia vuole Soledar e Bakhmut
La conquista di Bakhmut, dove gli scontri sono iniziati a maggio ma infuriano senza sosta da agosto, è fondamentale per l’esercito russo perché gli permetterebbe di dilagare nella regione di Donetsk. La presa della città, dopo la caduta del villaggio di Bakhmutskoe, potrebbe essere vicina e gli ucraini potrebbero ritirarsi per evitare perdite ulteriori. Evgeny Prigozhin, capo della Wagner, vuole prendere la città a tutti i costi e per accerchiarla sta concentrando il fuoco nella zona di Soledar, che dispone di una rete estesa di gallerie usata per le miniere di sale e gesso che si estende per decine di chilometri a un centinaio di metri di profondità. Un luogo perfetto per ospitare soldati e armamenti al sicuro.
La guerra per la presa di Soledar è tra le più violente combattute in Ucraina nell’ultimo anno, con migliaia di perdite da una parte e dall’altra. Se Denis Pushilin, capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk fedele a Mosca, ha dichiarato che «Soledar sta per essere liberata», Prigozhin ha ammesso che «gli ucraini si stanno difendendo con onore». Aggiungendo: «Ma le battaglie più dure e sanguinose per Soledar devono ancora essere combattute». Solo ieri, secondo il capo del Gruppo orientale delle Forze armate ucraine, Sergiy Cherevaty, la città è stata attaccata «86 volte con diversi sistemi di artiglieria».
L’Ucraina chiede armi più letali
Per resistere a Soledar e Bakhmut, Kiev ha chiesto agli Stati Uniti e alla Nato nuove armi, ancora più letali. In particolare l’esercito ucraino vorrebbe carri armati di ultima generazione, molto più efficienti dei T-64 sovietici di cui dispone attualmente. Finora l’argomento ha costituito un tabù e gli Stati Uniti, al pari di Regno Unito e Germania, si sono rifiutati di inviare tank moderni.
Anche l’Italia si sta dimostrando cauta riguardo alla possibilità di fornire all’Ucraina il sistema avanzato di difesa aerea Samp/T, dal valore di 250 milioni di euro. Il nodo principale è rappresentato dal fatto che il nostro paese rischierebbe di rimanere sguarnito: delle cinque batterie operative a disposizione, una è in Kuwait, un’altra è stata promessa agli Usa e altre due sono ciclicamente in manutenzione. Se l’ultima, escludendo la batteria utilizzata per l’addestramento, venisse ceduta a Kiev, l’Italia resterebbe senza anche se la Nato ha già dichiarato che garantirà la sicurezza del nostro paese.
Le resistenze occidentali potrebbero comunque essere vinte, come già avvenuto nei mesi precedenti per altri tipi di armamenti. Resta il fatto che non solo la Russia, ma anche i paesi dell’Alleanza sono a corto di armi: «Abbiamo esaurito le scorte per fornire aiuti all’Ucraina», ha detto il segretario della Nato Jesn Stoltenberg. «Ora dobbiamo aumentare la produzione di armamenti e i ministri della Difesa della Nato hanno preso la decisione di aumentare lo stock».
Escalation senza fine
Mentre Nato e Unione Europea hanno celebrato la terza dichiarazione di cooperazione, che permetterà di aumentare il «supporto militare a Kiev», il ministro della Difesa Sergej Shoigu ha affermato che «i nostri piani immediati includono l’espansione degli arsenali delle moderne armi d’attacco».
Tutto porta a pensare, dunque, che il 2023 sarà l’anno in cui la guerra in Ucraina conoscerà un’ulteriore escalation – le cui conseguenze sono del tutto imprevedibili – piuttosto che quello in cui verrà ricercata una soluzione diplomatica.
Foto Ansa
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