
L’Ucraina e la frenesia bellica dei “volenterosi”

Non c’è dubbio che l’Europa debba pensare a come organizzare la propria difesa militare. “Come” debba farlo, è un altro discorso. Che questo “come” implichi il rischio di scatenare una guerra mondiale è una sciagura che solo i nostri novelli guerrafondai, dotati di elmetti di cartapesta, possono auspicare. Lo stesso Alcide De Gasperi, tanto citato in questi giorni, parlava di costruire una comune difesa europea non per «minacciare o conquistare, ma per scoraggiare qualsiasi attacco dall’esterno».
C’è molta frenesia bellica nell’aria, ma anche molta confusione. Questa è una conseguenza inevitabile – ma positiva – della mossa trumpiana di porre termine al conflitto ucraino – e negativa – del procedere caotico del presidente americano (l’aver dichiarato di voler porre termine alla guerra nell’Est Europa «nel giro di 24 ore» ha dato un vantaggio tattico a Vladimir Putin).
Una cosa, tuttavia, è certa: trovare un accordo per far terminare le ostilità in Ucraina, dopo tre anni di guerra e una situazione di stallo, è l’opzione più sensata. Come tutti, non potendoci fidare della parola dell’autocrate russo, pensiamo che non sarà facile raggiungere un accordo che garantisca, innanzitutto, gli ucraini. Nessuna illusione, dunque: la “pace” che si raggiungerà, se si raggiungerà, difficilmente sarà giusta (e speriamo che, almeno, sia duratura). D’altronde, come abbiamo sempre scritto, proseguire la guerra è l’opzione più semplice. È fare la pace che è difficile.

Soldati sufficienti per combattere
In Europa, intanto, tira una brutta aria. Un’aria, per certi aspetti, pure grottesca e ridicola; per rendersene conto basta guardare il video della commissaria per la Gestione delle crisi, Hadja Lahbib, che ci consiglia di non dimenticare di mettere il coltellino svizzero nel nostro kit di sopravvivenza. O vedere la copertina del settimanale Stern che chiede ai giovani tedeschi se siano pronti a combattere per la Germania. O è sufficiente leggere certi editoriali dai toni ultimativi (da Antonio Polito in giù, passando per Corrado Augias e Antonio Scurati) per comprendere che c’è tutta una classe intellettuale e giornalistica che è già pronta a gridare, come un sol uomo, “armiamoci e partite”.
Bene fa la nostra presidente del Consiglio a essere cauta. La accusano di pavidità e cerchiobottismo, ma a noi sembra invece che, in una situazione come l’attuale, lei stia solo esercitando un sano e solido realismo. Anche perché gli interrogativi sulla “forza di rassicurazione” da dispiegare in Ucraina sono tanti e l’ipotesi ha ancora contorni vaghi, come riconosciuto dallo stesso Zelensky.
Non solo perché è utopico pensare a una forza di peacekeeping europea dopo che, fino a ieri, abbiamo fornito armamenti a una delle due parti in causa. Ma anche perché, come ricordava ieri su Libero Mario Sechi, «il fronte dell’Ucraina è sterminato, quello sfollato dalla Russia è di duemila metri quadrati, quello sul lato che va dal Donbass alla Crimea di altre 500 miglia, nessuna coalizione ha i soldati sufficienti per combattere». Farsi trascinare dalla frenesia dei “volenterosi” in operazioni militari non è solo sbagliato, è irrealistico.
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