
Craxi: «Lavoriamo per il dialogo. Irricevibili i toni di Medvedev»

«I toni di Dmitri Medvedev mi hanno stupita e sono irricevibili». Così Stefania Craxi, da poco eletta a presidente della commissione Affari esteri del Senato, commenta a Tempi le parole durissime con cui il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex capo di Stato ha criticato il piano di pace presentato dall’Italia all’Onu («piano irrealistico preparato da politologi locali»). La senatrice di Forza Italia ricorda che il testo «è stato composto dal nostro corpo diplomatico, che nel mondo non è secondo a nessuno».
Presidente, si aspettava critiche così dure, in parte espresse anche dall’Ucraina?
Un piano di pace viene presentato per trovare i contorni di un possibile tavolo negoziale. Naturalmente si espone a critiche perché bisogna trovare un equilibrio non facile tra le esigenze di pace dell’Ucraina, quella di Putin di uscirne in qualche modo onorevolmente e quella di comporre un quadro di sicurezza europeo valido per tutti. Insomma, una pace stabile e sicura.
Esercizio difficilissimo.
Rispecchia la situazione sul campo. Del resto, un piano di pace serve proprio per questo.
L’Italia è pronta a garantire la sicurezza dell’Ucraina nel caso serva per raggiungere un accordo?
L’Italia lavora nel quadro della Nato e dell’Unione Europea, non assume certo posture autonome. Decisioni su temi così delicati non verranno prese da una nazione sola.
Le parole di Silvio Berlusconi sull’Ucraina, favorevoli a una mediazione con la Russia, hanno sollevato un polverone politico. Ma a leggere i sondaggi, sembra che rispecchino la posizione della maggioranza degli italiani.
Il presidente Berlusconi e Forza Italia hanno sempre mantenuto la stessa posizione in questi mesi: filoatlantica senza tentennamenti ma anche senza subalternità, a fianco dell’Europa condannando senza se e senza ma l’aggressione russa dell’Ucraina. Dopodiché, Berlusconi, che è un grande conoscitore degli italiani, ha dato voce a un anelito di pace che c’è nella società e in tutti noi. È grazie alla postura seria e severa del mondo occidentale di questi mesi che si può forse tornare ad aprire uno spiraglio di dialogo. La strada non sarà né breve né facile.
Ieri la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha dichiarato a Davos che «l’Ucraina deve vincere». Come si concilia questo obiettivo con quello di cercare una mediazione?
Io non credo che si tratti di decretare vincitori e vinti. Si deve lavorare per la pace, cercare un dialogo, ricomporre un quadro di sicurezza europea e internazionale. Non sarà più possibile farlo su una base di collaborazione, ma sulla base della deterrenza. Quello che è successo cambia inevitabilmente il quadro internazionale.
Molti osservatori, anche negli Stati Uniti, ritengono che la linea di Joe Biden secondo cui la Russia «va indebolita» sia pericolosa e possa portare a un’escalation del conflitto. Secondo l’ex segretario di Stato americano Henry Kissinger, l’Occidente deve spingere Kiev a scendere a patti. È d’accordo?
Io penso che l’escalation vada evitata in tutti i modi, moderando anche i toni e non pretendendo l’umiliazione della Russia perché il popolo russo è un grande popolo. Credo soprattutto che si possa costruire una posizione europea, che porti il suo contributo originale.
Quali sono le sfide che abbiamo di fronte?
Con la Nato impegnata su più fronti, rischiamo che resti scoperto il Mediterraneo, che può essere fonte di grandi crisi. L’Europa non può permetterselo. Abbiamo già visto in passato come l’aumento del prezzo dei cereali sia stato alla base dello scoppio delle Primavere arabe. Ecco perché l’Italia e l’Unione Europea devono portare un contributo autonomo all’Alleanza transatlantica, guardando al Mediterraneo e al grande continente africano.
La Commissione europea ha recentemente autorizzato Eni ad aprire il doppio conto in Gazprombank per pagare le forniture di gas. Non possiamo nasconderci però che il doppio conto implica una transazione della Banca centrale russa e dunque la violazione delle sanzioni europee.
Non si poteva fare altrimenti, il gas è necessario. Ci vuole anche un po’ di realpolitik.
Il premier Mario Draghi ha dichiarato esplicitamente che l’Italia vuole fare entrare l’Ucraina nell’Unione Europea, come Francia e Germania. Nessun leader europeo però ha proposto una procedura accelerata di adesione e potrebbero volerci decenni. Non è una contraddizione?
Concedere un percorso accelerato sarebbe irrispettoso verso i paesi baltici, che da anni approvano riforme per poter entrare nell’Ue. Certamente quando sento parlare di due decenni per Kiev un po’ mi preoccupo: bisogna operare con diplomazia, intelligenza e misura, ma rendere questi processi più snelli.
Il sogno di Pratica di Mare è svanito?
Tutti i grandi leader europei e italiani, da Romano Prodi e Berlusconi fino alla Merkel, hanno sognato il dialogo tra Europa e Russia, probabilmente sottovalutando questa nuova forma di imperialismo che Mosca esprimeva o che Vladimir Putin esprimeva. Per il momento, quel sogno è morto: è stato un grande fallimento dell’Europa e sarà un enorme problema per la Russia.
La Germania, come anche il Canada, ha aperto alla possibilità di confiscare i beni, attualmente congelati, delle entità russe colpite da sanzioni. I proventi servirebbero a ricostruire l’Ucraina distrutta dalle bombe. Lei è favorevole?
Il governo non si è ancora espresso. In questo momento ogni azione genera una reazione, quindi credo che sia necessario essere prudenti e cercare uno spiraglio per il dialogo. Ciò non toglie che l’Ucraina vada ricostruita e ritengo che l’Europa debba essere parte proattiva, giocare un ruolo chiave e assumersi una responsabilità.
Foto Ansa
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