
Tutti i sondaggi dicono Biden, ma occhio alla parabola del nipote brutto

I sondaggi, praticamente tutti, indicano che il prossimo 3 novembre 2020 le elezioni presidenziali americane le vincerà lo sfidante democratico Joe Biden. Ma dicono anche, i sondaggisti, di cercare di capire bene i sondaggi. Anche nel 2016, alle precedenti elezioni, Hillary Clinton aveva ben più probabilità di vincere, sempre secondo i sondaggi, rispetto a Donald Trump. Questo tuttavia non voleva dire che secondo i sondaggi la Clinton avrebbe vinto sicuramente, tanto è vero che tutti assegnavano una certa probabilità di vittoria allo stesso Trump, benché bassa. E finché i sondaggi rilevano una pur microscopica probabilità di vittoria, precisano quattro anni dopo i sondaggi e i sondaggisti, questa potrà sempre avverarsi.
Una sorprendente sicurezza
Chiediamo perdono per la stucchevole ridondanza di sondaggi e sondaggisti nel periodo precedente, ma serviva a sintetizzare nel modo più breve e chiaro possibile la disputa in corso nell’ambiente dei pollster statunitensi. Ancora atrocemente scottati dalla vittoria a sorpresa di Trump nel 2016, i rilevatori di umori e scenari elettorali non se la sentono insomma di escludere nel 2020 un altro esito spiazzante. Come potrebbero? Per averne una prova, basta leggere le mille precauzioni con cui l’ultraliberal Guardian presenta il suo comparatore di sondaggi elettorali negli swing states, che pure continua a piazzare il candidato democratico davanti al presidente uscente in quasi tutti i cosiddetti “stati indecisi” che il 3 novembre saranno determinanti per stabilire il prossimo inquilino della Casa Bianca.
Eppure non si può non notare tra i sondaggisti americani una certa rinnovata – e sorprendente, alla luce dei fatti del 2016 e di quanto detto fin qui – baldanza nell’assegnare a Biden la vittoria alle prossime elezioni. Tanta sicurezza deriva non solo dal fatto che la forbice dei consensi fra lui e Trump è ben più ampia di quella che rilevavano quattro anni fa fra la Clinton e Trump, ma anche da un’altra considerazione che permette di concludere il ragionamento di cui sopra. Sintetizziamo di nuovo brutalmente: se è vero che un evento molto poco probabile può sempre verificarsi alla prova dei fatti, dicono i sondaggisti, è comunque quasi assurdo immaginare che lo stesso improbabile evento accada due volte di fila. Come se un giocatore di poker si ritrovasse in mano una scala reale in due mani successive. O che un fulmine colpisca due volte nello stesso punto.
«La gente dice la verità?»
C’è però un sondaggista che sembra divertirsi a spaventare i colleghi-concorrenti scommettendo apertamente su una loro nuova débâcle. Si chiama Robert Cahaly ed è il boss di Trafalgar Group, l’unica agenzia indipendente che nel 2016 azzeccò la vittoria di Trump prevedendo il suo dominio in Florida, Pennsylvania e Michigan. Anche oggi Trafalgar rileva fra i due principali candidati presidenti molta meno distanza rispetto alla stragrande maggioranza degli altri sondaggi (dando Trump addirittura in testa in Michigan e in Pennsylvania).
Adesso però – e torniamo alle dispute sondaggistiche – i colleghi-concorrenti di Cahaly ribattono: ma dopo il 2016 Trafalgar Group ha sbagliato clamorosamente altre previsioni (Georgia 2018 soprattutto), e poi l’agenzia nel frattempo è diventata trumpiana (accusa che Cahaly respinge). Ma soprattutto dicono i colleghi-concorrenti: quella volta per Cahaly fu solo fortuna, vediamo se si ritrova una scala reale in mano anche il 3 novembre. Nell’attesa dello showdown tra Biden e Trump, e a questo punto anche tra sondaggisti, vale comunque la pena di leggere che cosa ha detto lo stesso Robert Cahaly al Wall Street Journal. L’intervista, uscita giovedì 29 ottobre, prova a sparigliare le carte fin dall’incipit: «Può essere che i sondaggi sbaglino di nuovo? La domanda va posta in un altro modo: la gente che risponde ai sondaggi dice la verità?».
Il “social desirability bias”
Nella chiacchierata con il Wall Street Journal, Cahaly parla in effetti di un fenomeno che forse – per una volta – noi italiani abbiamo avuto modo di osservare prima degli americani. Questi ultimi lo chiamano “social desirability bias”, grosso modo “distorsione della desiderabilità sociale”. Qui non gli abbiamo mai dato un nome preciso, ma basta leggere come lo descrive il Wall Street Journal per realizzare che si tratta di un fenomeno analogo a quello che si verificava nel nostro paese quando Silvio Berlusconi era il leader del centrodestra.
«I media mainstream e altre autorevoli personalità contestano apertamente e aggressivamente a Trump di essere un suprematista bianco, un aspirante dittatore, uno stupido buffone e un bugiardo incallito. In un clima del genere, gli intervistati nei sondaggi che guardano con favore al presidente o credono che tutto sommato la sua amministrazione abbia fatto più bene che male, potrebbero non dire quel che pensano a un estraneo al telefono, e vanno perdonati per questo».
Una bugia a fin di bene
A dire il vero anche negli Stati Uniti si parla di queste cose da anni, almeno dal 2016 appunto, ma Cahaly nell’intervista con il giornalista Barton Swaim utilizza un’immagine efficace per spiegarle. Quella della nonna e del nipote brutto.
«Le persone mentono ai sondaggisti? “Sì”, risponde Cahaly, “ma non per forza fanno qualcosa di male. Se una nonna ti dice: ‘Questo è il mio nipote, non è un bel ragazzo?’, e tu lo guardi e vedi tutto tranne che un bel bambino, beh, non le risponderai: ‘No, ha l’aria malaticcia e uno strano aspetto’. Invece le dirai: ‘Certo che lo è'”».
La Causa di Tutti i Mali
E come si fa in un sondaggio a fare la tara a questo “social desirability bias”? Innanzitutto, spiega Cahaly, bisogna tenere presente che sono sempre meno le persone disposte a dire al telefono a uno sconosciuto per chi votano. Ancora meno sono quelle contente di «rispondere a 45 domande un martedì sera». Già solo per questo, osserva il capo di Trafalgar Group, i sondaggi sono a rischio di rilevare per lo più le opinioni di «gente che ne sa un sacco di politica e a cui piace dire la propria». Peccato che «la maggior parte delle persone non è fatta così».
Ma ecco il vero “segreto” di Cahaly:
«Il social desirability bias emerge in modo più netto in certi segmenti demografici, e Cahaly sostiene che solo i sondaggi di Trafalgar sanno come minimizzarne gli effetti. “Non si può eliminarlo del tutto”, ammette. Semplificando molto il suo approccio: se un intervistato dichiara che voterà per il candidato A, ma la stessa persona risponde a tutte le altre domande in un modo che indica che voterà per il candidato B, il sondaggista vorrà tenere conto di questa incongruenza nel risultato finale. E in un anno in cui il candidato A viene definito dall’élite culturale del mondo intero come Causa di Tutti i Mali, la necessità di fare i conti con le risposte false è forse più urgente del solito».
Insomma, se praticamente tutti i sondaggi lasciano intendere nemmeno troppo implicitamente che per Trump «è finita», Robert Cahaly vede una partita ancora aperta. Anche se è quasi impossibile che il fulmine colpisca due volte nello stesso punto. E del resto pure nell’era Berlusconi qualche volta le urne hanno dato ragione ai sondaggi.
Foto Ansa
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