
Miserere, storie di cristiani perseguitati. Il pellegrinaggio dell’armeno Hovhannes fino a Santa Sofia. Ieri Chiesa, oggi moschea
Pubblichiamo la sesta puntata di “Miserere”, la serie realizzata da Franco Molon e dedicata ai cristiani perseguitati. Dopo i racconti di Megapura, di Homs, di Asomatos, Regno Unito e Seekaew, ecco una storia ambientata a Trabzon, Turchia (proprio in questi giorni, al Meeting di Rimini, si parla della sorte del popolo armeno)
Come ogni anno, all’inizio dell’estate, Hovhannes arriva all’aeroporto di Trabzon e prende un taxi per Hagia Sophia. Dopo la morte di suo padre tocca a lui continuare la tradizione familiare del pellegrinaggio e lo fa senza sforzo e senza fede; lo fa per il semplice motivo che è un suo dovere. Un armeno è fedele, sempre, nei secoli dei secoli. Amen.
Il primo a compiere il viaggio fu un bisnonno, quello che finì trascinato con moglie e figli in una della marce della morte che annientarono il suo popolo nel 1915. Abbandonato nel deserto perché creduto morto fece voto che, se si fosse salvato, avrebbe fatto un pellegrinaggio alla basilica di Santa Sofia ogni anno, finché fosse vissuto e, dopo di lui, tutta la sua discendenza. Promesse d’altri tempi.
Sopravvisse, il vecchio Garbis, e mantenne il suo impegno e lo stesso fecero suo figlio, il figlio di suo figlio e ora Hovhannes. Sono quasi cento anni che gli uomini della sua stirpe fanno il viaggio da Parigi, dove l’avo si era rifugiato, a Trabzon; dall’Orient Express al Boeing.
Durante il tragitto l’autista continua a spiarlo dallo specchietto retrovisore, come a indovinarne le intenzioni, ma lui non se ne cura e rimane chiuso nelle memorie che, ad ogni svolta, lo assalgono. Arrivati al parcheggio, davanti all’ingresso del piccolo parco, Hovhannes scende dall’auto e si appresta a pagare ma quanto vede lo lascia interdetto. La biglietteria del museo è chiusa, i cancelli sono aperti ma nessun turista percorre il viale verso la basilica. Il taxista, che attende le sue banconote, prova a spiegare: «No müze, cami, musqué».
Quello che la sua famiglia chiama pellegrinaggio era, in realtà, una visita al museo nel quale la chiesa era stata trasformata durante gli anni Cinquanta. Suo padre e lui arrivavano, pagavano il biglietto di ingresso, entravano fingendo di ammirare gli affreschi mentre, in silenzio, pregavano e ringraziavano Dio di tutte le grazie che aveva loro riservate. Terminate le orazioni e le contemplazioni si sedevano sulle panchine del parco a mangiare un panino e a ricordare tutte le storie tragiche e provvidenziali che avevano segnato l’esistenza dei propri antenati.
Ora Hovhannes non sa come comportarsi, teme, entrando nel recinto, di scatenare le ire di qualche fanatico, allora avanza con cautela, guardandosi intorno di continuo per scorgere in tempo qualche segnale di disapprovazione; incontra solo sguardi severi e talvolta curiosi. Arriva fino al pronao dove una pesante tenda rossa chiude l’ingresso alla navata. Un uomo, giunto alle sue spalle, butta le scarpe sotto il portico, sposta il drappeggio ed entra. Nel breve istante durante il quale riesce a scorgere l’interno vede che tutti i mosaici del pavimento sono stati coperti da un grande tappeto rosso e che panneggi dello stesso colore coprono gli affreschi alle pareti; anche la vista della cupola dove campeggiava il Cristo Pantocrator è stata oscurata. Non osa entrare e va a sedersi sulla solita panchina da dove si gode una vista straordinaria sul Mar Nero.
Guardando il fianco dell’edificio, da poco scavato per far passare i cannelli dell’acqua e incassare le vasche per le abluzioni, Hovhannes ricorda di quando suo padre gli spiegò il significato di quei graffiti di barche che ne coprono la superficie: «Quando la basilica fu trasformata in moschea i pescatori cristiani di Trabzon, non potendo più entrare, presero a tracciare sui muri esterni il disegno delle proprie imbarcazioni per consegnarle alla protezione di Santa Sofia».
Seduto sulla panchina Hovhannes inizia a recitare mentalmente le preghiere che Garbis ha insegnato alla sua discendenza. Compiuto il suo dovere si alza e si dirige verso l’uscita. L’anno prossimo tornerà con un coltellino per incidere il nome della sua famiglia sulla pietra. Finché ci sarà un Oskanian vivo, Hagia Sophia sarà sempre una chiesa.
Luglio 2013 – Dopo una lunga battaglia legale la Direzione Generale delle Fondazioni Pie (istituzione musulmana che amministra le moschee storiche della Turchia) ha avuto ragione contro il Ministero della Cultura: Hagia Sophia deve tornare ad essere un luogo di culto musulmano. La basilica, eretta nel tredicesimo secolo, fu trasformata in moschea nel 1462. Tutti gli affreschi, considerati blasfemi, furono coperti di calce. Tra il 1958 e il 1962, dopo una lunga opera di restauro e di ripulitura, fu trasformata in museo. Ora è di nuovo moschea.
http://youtu.be/qauXbetaGeY
Un video che documenta i tesori di arte e di fede della basilica di Hagia Sophia in Trabzon.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!