
«In Turchia i missionari vengono considerati dei terroristi»
Il 5 febbraio 2006, un ragazzo di 16 anni fa irruzione nella chiesa cattolica di Santa Maria, a Trebisonda, in Turchia, e spara alle spalle di p. Andrea Santoro uccidendolo. Nel 2007 cinque persone, a Malatya, entrano nella casa editrice Zerve, che stampa bibbie in lingua turca, e con la scusa di voler parlare di cristianesimo legano, bendano, torturano e infine uccidono il missionario tedesco Tilmann Geske e i due convertiti turchi Necati Aydin e Ugur Yuksel. Il 3 giugno 2010, a Iskenderun, l’allora 26enne Murat Altun, autista di mons. Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, gli taglia la gola.
“Nefret“, odio, è il titolo di un libro scritto dal giornalista turco İsmail Saymaz, che lavora per il quotidiano progressista Radikal. Nel libro racconta degli attacchi contro i missionari e i cristiani avvenuti in Turchia nell’ultimo decennio e denuncia i rapporti tra questi e le misure «estreme e paranoiche» della Turchia nei confronti dei missionari. «Ho deciso di scrivere questo libro perché su un caso gravissimo come il massacro alla casa editrice Zirve era calato il silenzio» spiega l’autore a Tempi.it. «Dopo l’omicidio mi sono reso conto che la gente tendeva a mettere sotto silenzio l’accaduto, è uno dei casi di cui si è parlato meno nel paese. In generale, si evita di parlare degli attacchi ai missionari. Reagire a questo silenzio, ecco il mio scopo».
In che modo l’odio verso i missionari di cui parla nel suo libro si diffonde nella società turca?
«I missionari in Turchia sono diventati “famosi” soprattutto dopo il terremoto del 2000. Da allora lo Stato maggiore li ha descritti come un gruppo che mira a distruggere la Turchia. I poliziotti hanno cominciato a presidiare le chiese con le pistole, l’intelligence nazionale li ritiene una minaccia religiosa, la presidenza dell’ufficio per gli Affari religiosi ha distribuito il Corano in tutto il paese. I libri di scuola parlano dei missionari come di “minaccia per la nazione” e i partiti islamici, soprattutto, insieme ai mezzi di informazione religiosa li trattano come parte di organizzazioni terroristiche».
Qual è il caso più grave che tratta nel suo libro?
«Sicuramente il massacro di Malatya. La polizia provinciale aveva cominciato a pedinare i missionari della casa editrice Zirve quattro mesi prima che avvenisse il massacro e stava preparando, durante incontri segreti, un rapporto contro di loro. Questo rapporto è uscito un anno e mezzo dopo l’assassinio dei tre missionari. Allora mi sono incuriosito: perché se la polizia seguiva da vicino tutti i giorni i missionari, non si è accorta del pericolo che incombeva su di loro e non è riuscita a prevenire la loro uccisione? Forse c’erano dei collegamenti tra la polizia e le cinque giovani persone responsabili del delitto?».
Il governo favorisce, direttamente o indirettamente, gli attacchi ai missionari?
«No, non credo, ma di sicuro non fa niente per impedirli. Anche se gli attacchi, dopo il massacro del 2007, sono diminuiti, non si può certo dire che siano terminati del tutto. In Turchia ci sono circa 4 mila missionari, negli ultimi cinque anni si sono verificati 50 attacchi. In almeno 10 di questi c’erano persone armate che hanno tentato di uccidere qualcuno. Il governo dice che ha preso le sue precauzioni, presidiando le chiese con dei poliziotti che hanno il compito di difendere i sacerdoti ma gli attacchi di fatto continuano».
Nel suo libro parla spesso di “gruppi di fanatici” che perpetrano l’odio e organizzano la persecuzione. Chi sono?
«Chi compie materialmente gli attacchi sono soprattutto giovani, non scolarizzati e disoccupati. La loro sensibilità religiosa musulmana e nazionalista è molto forte. Siccome quasi sempre i missionari si collegano via internet per parlare con i loro familiari e amici all’estero, i fanatici li accusano di essere agenti che vogliono demolire la Turchia e vogliono far vestire le donne come delle prostitute. Molti di questi gruppi si identificano con Al Qaida ma non si sa se vi appartengono davvero. Purtroppo non vedo in atto nella società turca alcun miglioramento da questo punto di vista».
Come vede la situazione dei missionari in Turchia oggi?
«È molto difficile per una chiesa aprire, i missionari sono tenuti costantemente sotto sorveglianza. Negli ultimi otto mesi, hanno subito sette attacchi. Non posso dire altro se non che i missionari sono in pericolo in Turchia».
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