Tunisia verso la dittatura. Fallisce anche l’ultima Primavera araba

Di Amedeo Lascaris
26 Settembre 2021
Sospeso il Parlamento ed esautorato il premier, il presidente Kais Saied si prende i pieni poteri e diventa «peggio di Ben Ali». Che brutta fine per la Rivoluzione dei gelsomini
Il presidente golpista della Tunisia, Kais Saied
Il presidente golpista della Tunisia, Kais Saied

La Tunisia è improvvisamente tornata indietro di oltre dieci anni dopo che il presidente Kais Saied ha emanato un decreto lo scorso 22 settembre che sospende la maggior parte della Costituzione del 2014 e conferisce al capo dello Stato pieni poteri esecutivi e legislativi, compreso quello di disciplinare il funzionamento della magistratura, dell’esercito, delle forze di sicurezza, dei partiti politici, dei sindacati e delle associazioni. La mossa è un’ulteriore stretta del potere del presidente dopo la sospensione del Parlamento e l’esautoramento del premier, il tecnico Hichem Mechichi, avvenuta lo scorso 25 luglio con la scusa di prendere provvedimenti per salvare il paese ed estirpare la corruzione.

Scontro in Tunisia tra “laici” e islamisti

Questi sviluppi rendono ulteriormente critica la situazione del paese, culla delle cosiddette “Primavere arabe” e unico esempio riuscito di democrazia nella regione dopo ben 24 anni di regime di Zine el Abidine Ben Ali. Appare dunque ormai molto distante il 2015, anno del premio Nobel per la pace assegnato al “Quartetto per il dialogo nazionale tunisino” proprio al termine della crisi politica del 2013-2014.

Anche questa crisi scaturisce da uno scontro tra “laici” e islamisti che però ha portato la popolazione ad ascoltare le sirene del populismo appoggiando alle elezioni presidenziali dell’ottobre 2019 Kais Saied. L’outsider, sconosciuto in ambito politico, grazie ad una serie di appoggi di partiti anti-establishment riuscì a vincere contro l’avversario, l’imprenditore Nabil Karoui. Quest’ultimo è stato di fatto impossibilitato a condurre la propria campagna elettorale a seguito del suo arresto il 23 agosto 2019 con l’accusa di frode fiscale e riciclaggio di denaro.

«Così Saied è peggio di Ben Ali»

«Il presidente ha deciso di impadronirsi di tutti i poteri e lo fa al di fuori della Costituzione, di cui ha conservato solo una piccolissima parte per dimostrare di non essere fuori dalla cornice costituzionale. Ma è ovvio che non sarà più la stessa in termini di struttura e di equilibrio dei poteri», dichiara Ahmed Driss, professore di diritto costituzionale, direttore della Scuola politica di Tunisi e presidente del Centro di studi mediterranei e internazionali (Cemi), intervistato dalla rivista Jeune Afrique. «Si tratta di un capovolgimento verso un regime presidenzialista, e non presidenziale: peggio di quello vissuto sotto Ben Ali. Ciò che preoccupa è anche il monopolio di tutti i poteri a tempo indeterminato in assenza di controlli, contrappesi e tempistiche», afferma l’analista.

Saied starebbe agendo in completa solitudine, forte del sostegno popolare anti-establishment, ma soprattutto della fortissima divisione tra i partiti del Parlamento. La Tunisia si trova infatti in una grave crisi istituzionale e anche ideologica da oltre due anni. L’ex presidente Beji Caid Essebsi, considerato da molti il padre e il salvatore della Repubblica tunisina, nel 2014 era riuscito a contrastare con il partito laico Nidaa Tounes la pericolosa avanzata dei movimenti islamisti e salafiti ponendo un argine in particolare agli islamisti di Ennahda. Morto Essebsi nel 2019, le influenze di attori importanti come Turchia, Qatar, Emirati e Francia hanno esacerbato lo scontro tra i vari partiti politici con il risultato di indebolire forze di centro come Nidaa Tounes, a favore di una polarizzazione tra Ennahda, insieme ai suoi alleati, e formazioni come il Partito Destouriano Libero (o dei costituzionalisti liberi), considerato legato agli apparati del precedente regime di Ben Ali e oggi guidato dalla pasionaria Abir Moussi.

Undici governi e zero risultati

Il partito di Moussi e altre formazioni politiche non di ispirazione islamica avevano appoggiato, o comunque non ostacolato, il primo putsch di Saied, che ha fortemente indebolito Ennahda. Nonostante questo, il leader storico degli islamisti, Rashid Ghannouchi, dopo aver lanciato un appello alla rivolta ha fatto un passo indietro definendo le mosse autoritarie del presidente come «fase della transizione democratica».

Alla base dell’attuale crisi tunisina e della salita al potere di un personaggio fuori dagli schemi e incontrollabile come Saied vi è il fallimento di una democrazia cresciuta solo in termini di vitalità politica e di scontro, con un sistema istituzionale fragile e che poco ha inciso sui problemi economico-sociali che furono alla base delle rivolte che portarono nel 2010 alla Rivoluzione dei gelsomini, il germoglio delle Primavere arabe. Dalla rivoluzione del 2011, la Tunisia ha visto la nomina di ben nove primi ministri e 11 governi. Dalle speranze di cambiamento del 2011 molti tunisini hanno scoperto che le loro condizioni di vita non sono migliorate. Al contrario, lo sviluppo economico continua la sua tendenza al ribasso. Il debito nazionale è vicino al 100 per cento per cento del Pil, la disoccupazione ha ufficialmente superato il 17 per cento, ma le stime suggeriscono che è molto più alta, soprattutto tra i giovani.

Terrorismo islamico e migranti

È stato annunciato un programma di riforma strutturale con il Fondo monetario internazionale, ma non è ancora stato completato a causa dell’impossibilità di avviare serie riforme. Tutti questi sviluppi hanno portato ampi strati della popolazione a essere sempre più diffidenti nei confronti delle istituzioni statali anche prima dell’esplosione della pandemia di Covid-19. Molti giovani hanno abbracciato il terrorismo islamico, rendendo la Tunisia il primo paese per combattenti stranieri inviati in Siria.

Chi non ha abbracciato la via del terrorismo si è imbarcato a bordo dei gommoni diretti verso l’Italia. Dal primo gennaio al 24 settembre 2021 sono 12.680 i tunisini sbarcati sulle nostre coste, primi per nazionalità dichiarata al momento dello sbarco. Nuove tensioni in Tunisia avranno quindi importanti ripercussioni sull’Italia che è uno dei principali partner commerciali insieme alla Francia, con una presenza sul territorio di ben 800 aziende e un interscambio bilaterale italo-tunisino che nel 2020, anno della pandemia, si è attestato attorno a 4,4 miliardi di euro, secondo dati Istat.

Foto Ansa

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