Effetti collaterali della guerra in Ucraina: la Tunisia rischia di scoppiare

Di Rodolfo Casadei
03 Giugno 2022
Le ricadute del conflitto si fanno sentire sul paese nordafricano. Economia ferma, tutto il potere nelle mani del presidente Saied, migranti verso l'Italia
Manifestazione di protesta contro il presidente Kais Saied, Tunisi, Tunisia, 15 maggio 2022
Manifestazione di protesta contro il presidente Kais Saied, Tunisi, Tunisia, 15 maggio 2022

Il primo paese nordafricano da tenere d’occhio per quanto riguarda la destabilizzazione che potrebbe investirlo come conseguenza della crisi delle forniture alimentari e del boom dei prezzi dell’energia innescati dalla guerra in Ucraina, è senza dubbio la Tunisia.

Le ricadute del conflitto in corso sui sistemi produttivi potrebbero davvero essere la goccia che fa traboccare il vaso della depressione economica e dell’impasse istituzionale che già oggi affliggono il paese africano più vicino all’Italia.

Rivoluzione fallita

Undici anni dopo la Rivoluzione dei gelsomini che diede inizio alla stagione delle Primavere arabe, il Pil della Tunisia è meno del 90 per cento di quello che era sotto il dittatore Ben Ali, il rapporto fra il debito pubblico e il Pil è passato dal 50 all’88 per cento e il tasso di disoccupazione fra i giovani sotto i 25 anni ha raggiunto il 40 per cento (16,8 per cento a livello generale). Il dinaro, la moneta nazionale, quest’anno ha già perso il 10 per cento del suo valore rispetto al dollaro in confronto al 2021.

Alla fine di marzo il parlamento è stato sciolto dal capo dello Stato, che già dal luglio 2021 governava da solo a colpi di decreto, e aveva imposto uomini di sua fiducia in tutte le istituzioni di garanzia, compresa la commissione elettorale e l’organo di governo della magistratura; per il 25 luglio prossimo è fissato un referendum per approvare una nuova costituzione il cui testo viene redatto in questi giorni da una commissione nominata interamente dal presidente Kais Saied, mentre tutti i partiti e il principale sindacato del paese hanno annunciato il boicottaggio del voto.

Secondo quanto afferma l’eurodeputato spagnolo Javier Nart, che ha recentemente visitato il paese, l’Unione Europea avrebbe recentemente finanziato consegne di cereali alla Tunisia pagando anche i costi del trasporto con due navi «perché non c’era né grano, né fondi per pagare il grano e se non si fossero dati soldi in contanti, il carico non sarebbe stato scaricato».

Saied l’antipolitico

Come ha fatto il paese nordafricano, per molto tempo indicato come l’unica transizione democratica di successo fra tutte le Primavere arabe, a ridursi in queste condizioni?

La gestione dello Stato ha risentito della frammentazione partitica, che ha portato a un parlamento dove sono rappresentati una ventina di partiti diversi, nessuno dei quali superiore al 20 per cento, e della disaffezione degli elettori, il 41 per cento soltanto dei quali si è recato alle urne in occasione delle ultime elezioni politiche, svoltesi nel 2019; negli undici anni trascorsi dalla rivoluzione del 2011 si sono succeduti 8 diversi governi guidati da 8 diversi primi ministri, tutti accusati di inefficienza, corruzione e favoritismi.

Non aiuta poi il fatto che quasi sempre il partito più votato sia stato Ennhada, la versione tunisina dei Fratelli Musulmani, guardato con sospetto dalle altre forze politiche per i legami con la Turchia e col Qatar.

Un massiccio voto di protesta per le speranze deluse della Rivoluzione dei gelsomini ha portato ai vertici dello Stato il giurista Kais Saied, icona dell’antipolitica, eletto presidente nell’ottobre 2019 al ballottaggio col 72,7 per cento dei voti. Il consenso popolare per l’outsider diventato capo dello Stato non è venuto meno nei mesi seguenti, ed è per questo che quando il 25 luglio dell’anno scorso Saied ha sospeso il parlamento e ha cominciato a governare per decreti le proteste internazionali – in particolare da parte dell’Unione Europea che dopo il 2011 ha sostanziosamente finanziato la transizione tunisina – sono state estremamente modeste.

Raddoppio del deficit

La situazione però non ha cessato di degradarsi: il presidente anti-corruzione non ha saputo riformare le istituzioni e rilanciare l’economia, ma ha accentrato nelle proprie mani tutti i poteri.

Così oggi, mentre una Commissiona nazionale consultiva per una nuova repubblica interamente nominata dal capo dello Stato e presieduta dal giurista Sadok Belaid stende in fretta e furia il testo di una nuova costituzione che dovrà essere resa pubblica entro il 30 giugno, la Tunisia si trova costretta a negoziare il quarto prestito d’emergenza dal 2011 presso il Fondo monetario internazionale (Fmi) per far fronte alle proprie scadenze debitorie e agli oneri crescenti per l’importazione di beni di prima necessità.

Questi costi crescenti potrebbero comportare il raddoppio del deficit di bilancio quest’anno a 20 miliardi di dinari, pari a 6,6 miliardi di dollari: cifra superiore ai 4 miliardi di dollari che la Tunisia vorrebbe ottenere in prestito dal Fmi. E che verrebbe sborsata solo a fronte di dolorose riforme come un tetto dei salari della pubblica amministrazione e un taglio ai sussidi sui beni di consumo, provvedimenti contro i quali l’Ugtt, il potente sindacato nazionale tunisino, scatenerebbe uno sciopero generale.

Un presidente forte

A Saied si oppongono gli islamisti di Ennhada, guidati dall’anziano leader storico Rachid Gannouchi, e il Fronte di salvezza nazionale che riunisce formazioni di centrosinistra ed è stato creato dal politico di sinistra Ahmed Néjib Chebbi; nessuno dei due fronti di opposizione riunisce più di qualche migliaio di persone quando organizza manifestazioni, tanto forte è il discredito della classe politica post-2011.

Kais Saied ha perso smalto ma i sondaggi gli danno ancora un consenso intorno al 59 per cento. Il presidente immagina una repubblica presidenziale senza partiti che lasci molto spazio alle amministrazioni locali. «Revocabilità degli eletti, sviluppo di società cooperative, riforma delle circoscrizioni elettorali, rinascita dei valori della vita comunitaria… Ristruttureremo lo Stato da cima a fondo e diventeremo un esempio per il mondo», spiega Sonia Charbti, giurista e moglie del governatore di Tunisi, anima della campagna presidenziale di Kais Saied.

Migranti verso l’Italia

E mentre il presidente e i suoi sostenitori sognano un nuovo modello di democrazia, i tunisini ricominciano a sognare di emigrare in Europa.

Come ha scritto Matt Herbert nel suo rapporto Losing Hope – Why Tunisians are leading the surge in irregular migration to Europe apparso all’inizio di quest’anno, «tra il 2020 e la metà del 2021 la migrazione da e attraverso la Tunisia è salita a livelli mai visti dai mesi successivi alla rivoluzione del 2011. Tra gennaio 2020 e metà dicembre 2021, le forze di sicurezza e di difesa tunisine hanno intercettato 35.040 migranti irregolari nelle zone costiere del paese e al largo delle sue coste, due terzi dei quali erano cittadini tunisini. Nello stesso periodo, le autorità italiane hanno registrato lo sbarco di 28.124 tunisini, oltre a circa 6.000 migranti di altri paesi che hanno lasciato il paese».

Foto Ansa

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