
«Il trumpismo si è evoluto, l’Europa non ha la forza di cambiare»

«Trump è sempre lui, ma quella che stiamo vedendo in queste settimane è un’evoluzione del trumpismo». Ordinario di Filosofia politica, direttore del Dipartimento di Scienze politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e di Polidemos (Centro per lo studio della democrazia e dei mutamenti politici), Damiano Palano ha dedicato gran parte dei suoi studi ai cosiddetti “populismi” e prova ad analizzare con Tempi il rapporto tra Stati Uniti ed Europa alla luce del primo mese di presidenza Trump, delle recenti dichiarazioni del presidente sulla guerra in Ucraina, e del discorso che il suo vice, J.D. Vance, ha fatto a Monaco la settimana scorsa.
Da quando è tornato alla Casa Bianca Trump ha inanellato una serie di dichiarazioni forti e spiazzanti su molti temi: dalla volontà di riprendersi il Canale di Panama al desiderio di annettere Canada e Groenlandia agli Stati Uniti fino all’accusa all’Ucraina di avere iniziato la guerra con la Russia passando per decine di ordini esecutivi che vogliono cambiare le istituzioni americane. Cosa è cambiato rispetto al suo primo mandato?
La mia impressione è che rispetto al 2016 ci sia stata un’evoluzione: Trump rimane sempre il personaggio che già conoscevamo, imprevedibile, con i suoi difetti e i suoi pregi, ma dietro a certe sue “sparate” che possono sembrare improvvisate c’è una logica diversa da quella che apparentemente trapela dalle sue parole. La mia lettura è che siano tentativi di forzare la mano per ottenere altri risultati. Non è la prosecuzione del populismo trumpiano del primo mandato c’è qualcosa di più.
Certamente adesso l’establishment americano è con lui.
Questo è indubbio, rispetto a otto anni fa il quadro è completamente diverso. La stessa cerimonia di investitura è stata eclatante, si è visto apertamente che quelli che di solito vengono chiamati “poteri forti”, in questo caso non soltanto le Big tech, sono passati dalla sua parte. Quello che resta da capire sono gli equilibri tra questi poteri, che hanno interessi e logiche non sempre convergenti. Questo al di là della figura di Musk: sarà interessante vedere come bilancerà il suo peso con quello di Trump.

Trump ha vinto anche grazie a un messaggio forte dato ai suoi elettori, il cui succo era anche contenuto nel discorso che il suo vice Vance ha fatto a Monaco, accusando l’Europa di avere abbandonato i suoi valori: l’attacco al politicamente corretto, l’esaltazione della libertà di parola e di espressione, la perdita delle proprie radici. Al netto dei toni forti usati, è da qui che nasce la debolezza dell’Europa?
Il discorso di Vance può essere sicuramente letto come una diagnosi dei problemi europei, anche se mi sembrano più problemi americani: la divaricazione fa i cultori del politicamente corretto e i suoi oppositori è molto più forte negli Stati Uniti di quanto non lo sia in Europa, dove senz’altro le élite sono molto sensibili a questi temi ma la portata dello scontro non è ancora così marcata. Le parole del vicepresidente sottolineano alcuni limiti dell’Europa che conosciamo molto bene, e che rimandano a tutte le difficoltà che l’Unione europea ha avuto nel definire un patrimonio di valori comuni – una discussione che in 25 anni non ha prodotto nulla di significativo. Detto questo, Vance accusa l’Europa di avere abbandonato alcuni suoi valori di fondo, ma la sua osservazione appare un po’ in contraddizione con certe prese di posizione di Trump in cui gli Stati Uniti sembrano aver abbandonato lo storico ruolo di alfieri della democrazia nel mondo: basta vedere l’atteggiamento tenuto nei confronti di una democrazia fragile come quella Ucraina. A me pare che in gioco ci sia una ridefinizione non soltanto dei rapporti fra Stati Uniti ed Europa, ma anche del ruolo stesso degli USA e di una parte rilevante dei valori che essi hanno sostenuto e che si identificano soprattutto nella liberaldemocrazia.
Non è paradossale che Vance, Trump e Musk accusino l’Europa di non avere a cuore la libertà d’espressione e poi sembrano flirtare con la Russia, non esattamente la patria della libertà di parola?
Sì, è una enorme contraddizione che per certi aspetti fa parte del repertorio di alcune formazioni radicali che, impugnando la bandiera della libertà di stampa, negli ultimi anni hanno di fatto sostenuto la causa della disinformazione.
Un confine sottile…
È certamente sempre difficile distinguere fra libera informazione, libera espressione del pensiero e disinformazione, però in questo caso mi sembra che la vicinanza tra alcune espressioni di Trump e della propaganda russa sia tale da mettere in dubbio la credibilità della battaglia per la libertà di parola della nuova Amministrazione. Dopodiché io sono convinto che molti dei limiti che l’Unione europea tende ad adottare nei confronti della libertà di informazione siano pericolosi per la libertà di espressione e della effettiva competitività della democrazia. Il caso rumeno di cui ha parlato Vance, (in cui il risultato delle elezioni è stato annullato per influenze straniere su TikTok, ndr), è un esempio abbastanza eclatante di come questo possa diventare un rischio per la democraticità dei nostri sistemi.

Questo atteggiamento potrebbe far parte della strategia trumpiana di “sparare alto” per ottenere altro?
Una possibile interpretazione dell’aggressività dei toni usati da Trump e Vance è che il loro sia un tentativo di forzare la mano per spingere gli europei a sostenere molto di più i costi di mantenimento della NATO e della difesa comune: una strategia volta a “spaventare” gli europei e costringerli a prendere atto della nuova situazione che si è creata.
Sintetizzando, Vance dice all’Ue: c’è un problema in tutto l’Occidente, noi siamo la soluzione, gli Stati Uniti l’hanno capito, adesso tocca a voi. Così si spiega anche il “tifo” attivo dell’Amministrazione Trump per i partiti populisti di destra europei.
Il sostegno ad alcune forze politiche di destra in maniera così esplicita non è un precedente assoluto, ma fatto in termini così netti segna una discontinuità rispetto a quanto visto negli ultimi trenta-quarant’anni. È presto per dire quale sia la logica di questo ragionamento, posso immaginare che da parte di un personaggio come Musk sia più facile interagire con queste formazioni rispetto ad altre con tradizioni più consolidate. D’altro canto parliamo di formazioni politiche con posizioni anche diverse tra loro: rafforzarle potrebbe contribuire a disgregare ulteriormente l’Unione europea, ma non so fino a che punto sarebbero dei partner affidabili per gli Stati Uniti.
Questa situazione può essere una sveglia per l’Europa, sempre che abbia ancora le capacità e la forza per svegliarsi?
Uno shock del genere può essere l’occasione per l’Ue di fare un passo ulteriore verso la difesa comune, ma sul fatto che l’Europa abbia effettivamente la forza necessaria per farlo resta un grande punto di domanda. Cinque anni fa di fronte al Covid aveva prima reagito in maniera scomposta, ma poi era riuscita a ideare un piano più organico, che forse non ha avuto gli effetti che si speravano ma ha mostrato almeno coerenza. Da allora sono successe tante cose, l’Europa è molto meno coerente al proprio interno, non c’è più una leadership forte, anzi tutti i governi che tradizionalmente hanno svolto una funzione trainante sono deboli: le condizioni perché ci sia un salto di qualità in questo momento non ci sono. La spinta esterna potrebbe essere l’occasione buona per farlo, ma il disorientamento delle leadership e la debolezza dei governi nazionali fa sì che dare una risposta chiara che si traduca in una riforma radicale sia difficile.
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