
Trump e la destra del XXI secolo

Pare che la fine del mondo sia rimandata ancora una volta. Trump ha vinto le presidenziali, ma i cavalieri dell’Apocalisse paiono non vedersi all’orizzonte. Certo, bisognerà osservare il 47° presidente degli Stati Uniti all’opera. Soprattutto se sarà conseguente sul fronte “guerre”. C’è il precedente del 45° presidente che, tra “Accordi di Abramo” e il vertice con Kim Jong-un per avviare un processo di denuclearizzazione, ha già dimostrato di non essere quel pericolo per la stabilità del mondo che veniva paventato prima delle elezioni del 2016. Poi, come spesso accade, gli elettori scelgono più in base alla politica interna che a quella estera. E indubbiamente avrà pesato l’aumento del costo della vita a causa dell’inflazione galoppante.
Se si osserva la mappa del voto, a parte le coste, la cosiddetta America profonda ha decisamente sostenuto il candidato repubblicano, in alcuni casi del 70 per cento (come in Wyoming e West Virginia) e in generale che superano il 60 per cento (Idaho, North e South Dakota, Nebraska, Oklahoma, Arkansas, Louisiana, Kentucky, Tennessee, Mississippi e Alabama) o ci si avvicinano di molto (Montana, Nebraska, Kansas, Missouri, Texas, Indiana, Ohio, South Carolina e Florida).
Neri, latinos, donne, giovani pro Trump
A tal proposito si è dimostrata molto interessante l’analisi del voto che quasi immediatamente è stata offerta da giornalisti non faziosi. Aaron Zitner sul Wall street journal del 6 novembre ha illustrato dati che parlano di una realtà non riducibile (per fortuna!) al suprematismo bianco o ai nazisti dell’Illinois. Per esempio, il sostegno dei neri a Trump è raddoppiato rispetto al 2020, raggiungendo il 15 per cento (percentuale contestualmente persa dai dem proprio in quella fascia di votanti). Quello dei latinos per il candidato dei repubblicani raggiunge invece il 41 per cento di questa importante fetta di elettorato statunitense.
Zitner ha scritto che «gli elettori ispanici avrebbero privilegiato le dure politiche di Trump per fermare l’immigrazione clandestina e che sia gli elettori neri che quelli ispanici si sarebbero opposti a quelle transgender-friendly associate ai democratici». Così pure i giovani uomini under 30, «meno favorevoli ad alcune politiche transgender rispetto alle donne». E se le donne costituiscono indubbiamente lo zoccolo duro del consenso per la Harris, quest’ultima ha pure perso quattro punti percentuali di quel voto femminile che nel 2020 era andato invece a Biden.

Femministe “conservatrici”
Del resto, «la sinistra da cui quasi tutte proveniamo – ha scritto la femminista inglese Julie Bindel su The Spectator del 19 ottobre –, da anni respinge sprezzantemente ogni nostro tentativo di dialogo, non considera più i diritti delle donne una priorità, trova molto più moderno ed elettoralmente conveniente farsi sedurre dalle sirene woke e sdraiarsi sulle gender politics». Tanto che, ha rivelato ancora la Bindel, «alcune femministe stanno già facendo l’impensabile e si stanno rivolgendo ai conservatori».
Il giorno precedente, il 18 ottobre, anche Raquel Rosario Sánchez aveva pubblicato su The Telegraph un articolo dal titolo eloquente: “Giorgia Meloni sta facendo per le donne molto più di quanto non facciano i suoi avversari”. E, in effetti, tra misure a favore delle mamme lavoratrici, come il potenziamento del “bonus contributivo” e quello per il pagamento delle rette di asili nido e baby-sitter, e l’istituzione del reato universale per mettere al bando la pratica disumana dell’utero in affitto, il governo italiano è diventato punto di riferimento per un intero mondo femminista europeo che ritiene la realtà del sesso biologico ancora importante e il corpo delle donne come un qualcosa minacciato dal mercato del figlio a ogni costo.
Chi si cura dei bifolchi
Ad ogni modo, resta vero che il 68 per cento dei consensi di Trump è composto da uomini bianchi e il 54 per cento dalla classe operaia. Questi dati, letti insieme ai precedenti, dicono che il leit motiv “nuovi diritti, gender e green” delle sinistre occidentali non risponde più alle esigenze della gran parte degli elettori delle democrazie liberali.
Il problema non è la crescita degli estremismi e le minacce populiste al sistema liberale, quanto il non considerare le condizioni reali, materiali e non solo, in cui si vengono a trovarsi via via sempre più uomini e donne del nostro tempo. Si tratta degli hillbilly (i bifolchi) di cui parla Elegia americana, il best-seller di J. D. Vance, il neoeletto vicepresidente degli States. Gli hillbilly non sono solo campagnoli e contadini, ma identificano tutta quella parte di popolazione non concentrata in aree metropolitane e che non ha goduto nel tempo dei benefici della globalizzazione. Anzi, magari ne ha subito gli aspetti negativi, con la delocalizzazione delle industrie, la conseguente crescita della disoccupazione e l’impoverimento delle imprese dell’indotto.

Un suggerimento alla destra
C’è dunque anche molto ceto medio in questi “bifolchi”. L’agenda progressista ha dimenticato chi lavora, per favorire gli interessi esclusivi di minoranze etniche e sessuali. Le politiche green hanno fatto il resto, lasciando intravedere un futuro prossimo di maggiore povertà e dipendenza dalla Cina. Lo vediamo anche in Europa con l’insistenza, per esempio, sul motore elettrico e la messa al bando di quello endotermico. In un mercato già in difficoltà per la competizione globale, dove da oriente la componentistica elettronica rende più innovativi i prodotti asiatici, la forzatura del 2035, quale data ultima per la conversione dell’industria automobilistica, sta solo producendo gravi crisi di sistema come quella della Volkswagen, che avrà pesanti ricadute su tutto il Vecchio Continente.
Allora, la rielezione non consecutiva di Trump alla Casa Bianca consolida dati e tendenze degli ultimi anni che diventano un buon suggerimento per una destra conservatrice del XXI secolo. Di fatto, il voto americano rimarca il saldarsi di una nuova questione sociale a una questione antropologica. Ciò richiede di affrontare quella ecologia umana integrale – per dirla con il magistero degli ultimi pontefici – attenta tanto alla sostenibilità ambientale, quanto a quella sociale e occupazionale, e al tempo stessa rispettosa della natura personale dell’uomo. Natura da non sacrificare sull’altare del nuovo millenarismo ambientalista e dell’individualismo radicale progressista.
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