Trump e Kim: una foto storica, un coraggio da leoni e tante domande senza risposta

Di Leone Grotti
13 Giugno 2018
Il documento firmato a Singapore dai due leader è vago ma criticare il presidente americano a prescindere è stupido
epa06801604 US President Donald J. Trump (R) and North Korean Chairmain Kim Jong-un (L) shake hands after signing a document during their historic DPRK-US summit, at the Capella Hotel on Sentosa Island, Singapore, 12 June 2018. The summit marks the first meeting between an incumbent US President and a North Korean leader. EPA/KEVIN LIM / THE STRAITS TIMES / EDITORIAL USE ONLY EDITORIAL USE ONLY

Che cosa bisogna trattenere dall’incontro di ieri a Singapore tra Kim Jong-un e Donald Trump? Sicuramente la foto “storica” in cui si stringono la mano. Non era mai successo prima d’ora infatti che il leader della dittatura più crudele del mondo e il presidente del paese più importante del globo si incontrassero vis à vis e raggiungessero un accordo, a prescindere dal contenuto. Questo è già di per sé un risultato ed è stato giustamente sottolineato da tutti i paesi dell’area asiatica coinvolti dalle intemperanze nucleari di Kim: Cina, Corea del Sud e Giappone.

DOCUMENTO VAGO. L’accordo raggiunto tra Kim e Trump, invece, sembra non avere proprio nulla di storico e l’euforia al termine del vertice dei due protagonisti risiede o su qualcosa che non è stato divulgato ai media o su illusioni. Il documento firmato dai leader è vago: i due paesi promettono di avviare «un nuovo rapporto» e se Kim si impegna a perseguire la «completa denuclearizzazione della penisola coreana», Trump ha offerto «garanzie di sicurezza» al regime che non verrà rovesciato, aggiungendo in conferenza stampa che interromperà da subito le «provocatorie» esercitazioni militari con Seul.

DOMANDE SENZA RISPOSTA. Come e quando avverrà la denuclearizzazione? Sarà «completa, verificabile e irreversibile» come desiderano gli Stati Uniti? E come sarà possibile effettuare le dovute verifiche? Quali garanzie hanno offerto gli Usa? Che cosa riceverà in cambio Pyongyang? Tutte domande che non hanno risposta ed è per questo che uno dei massimi esperti al mondo di Nord Corea, Andrei Lankov, ha definito il documento «senza alcun significato», visto che accordi simili firmati dagli ex inquilini della Casa Bianca si sono poi risolti in un fallimento.

DICHIARAZIONI AL MIELE. Trump però ha dichiarato che l’incontro è andato «meglio di quanto chiunque avrebbe potuto aspettarsi», che sono stati fatti «davvero molti progressi» e che Kim è un «leader di talento». Il dittatore, da parte sua, ha affermato che «ci siamo lasciati il passato alle spalle» anche se «non è stato facile arrivare fino a qui, ma abbiamo superato gli ostacoli». Il tycoon americano ha aggiunto che la denuclearizzazione «comincerà presto, è già in atto». Sa qualcosa di cui nessun altro è a conoscenza? Mistero.

IL CORAGGIO DI TRUMP. Non bisogna essere ingenui. Non c’è alcun dubbio che la luna di miele finirà presto, che la trattativa nei prossimi mesi conoscerà alti e bassi, che sarà costantemente sul punto di andare in fumo. Eppure, nonostante questo, bisogna riconoscere che Trump e Kim hanno avuto il coraggio di rischiare la faccia per arrivare a una pace il più duratura possibile. La reputazione di entrambi, soprattutto quella del presidente americano, è a rischio. Questo tentativo coraggioso va applaudito ed è insensato rinfacciare a Trump, come fatto ieri da Repubblica e New York Times, uno scarso impegno per quanto riguarda i diritti umani.
La scusa è che «solo una svolta sui diritti riabiliterà Pyongyang». È sicuramente vero. Ma scongiurare un conflitto nucleare, che potrebbe spazzare via da un giorno all’altro l’intera Seul, anche se non trasformerà la Corea del Nord in quel paradiso che tutti sperano diventi, sarebbe già qualcosa. E a memoria, non si ricordano critiche di questo tenore quando Barack Obama strinse un accordo sul nucleare (ben più semplice) con l’Iran: nessuno chiese al presidente democratico di convincere gli ayatollah a garantire i diritti umani al suo popolo.

FACILE GRIDARE «FUCK TRUMP». Nessun presidente americano prima d’ora, neanche quell’Obama così bramoso di raggiungere obiettivi “storici” purché fossero, aveva mai accettato di incontrare il vertice della dittatura nordcoreana senza solide garanzie. Trump ha rischiato. Potrebbe fare la figura del fesso oppure vincere il premio Nobel. Si può banalizzare e gridare «Fuck Trump», come ha fatto Robert De Niro, per raccogliere qualche applauso facile (subito arrivato dalla stampa internazionale). Oppure si può coltivare la speranza, che da oggi avrà però bisogno di molti fatti e poche chiacchiere, che quella foto storica si trasformi in qualcosa di impensabile fino a pochi mesi fa.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.