
L’incontro con Trump, la nomina di Bassetti. Analisi delle mosse di papa Francesco

La Chiesa è in questi giorni al centro dell’attenzione pubblica per due eventi rilevanti: la nomina del cardinale di Perugia Gualtiero Bassetti alla presidenza della Cei e l’incontro del 24 maggio tra papa Francesco e il presidente americano Donald Trump. Per quanto riguarda Bassetti, la sua nomina era data quasi per scontata dalla maggioranza. «Chiunque lo conosca può confermare la sua forte attenzione alla dimensione pastorale. E questo è molto importante per Francesco, che quando ha tenuto il suo primo discorso dal soglio pontificio ha definito se stesso vescovo di Roma, e non Papa» spiega Andrea Sarubbi, giornalista di Tv2000. «La visione della Chiesa di Francesco è, per così dire, “federale”, con un capo in cima che però non è il sommo padrone. Molti temi fondamentali che in passato sono stati accentrati in Vaticano, con Francesco sono stati prima discussi con le conferenze episcopali locali. La sua visione collegiale è stata molto evidente in quest’ultimo concistoro, perché – ancora una volta – il Papa ha scelto i nuovi cardinali con un criterio geograficamente molto ampio, per coinvolgere nel governo della Chiesa anche le diocesi più lontane da Roma».
PERCHÉ BASSETTI. «Francesco – prosegue Sarubbi – vuole che i posti di responsabilità siano il più possibile diffusi geograficamente e che, lo ha sempre detto, “ogni pastore abbia l’odore delle pecore”. Bassetti è l’uomo giusto perché è conosciuto e presente attivamente sul territorio, non un semplice “manager” (per esempio, è stato molto vicino a Mondo X di Cetona, una comunità che aiuta persone in difficoltà, soprattutto drogati)». Secondo alcuni osservatori tra i tre candidati quello più vicino alle posizioni di papa Bergoglio era Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e nominato cardinale dallo stesso Francesco. «Ma se la presidenza della Cei fosse andata a Montenegro, una parte della Chiesa l’avrebbe vissuta come l’imposizione di un unico punto di vista, quello di Bergoglio. Invece il Papa, con la scelta di Bassetti, è stato capace di tenere insieme le diverse anime della Chiesa». Sempre nell’ottica di un corpo collegiale, ricorda Sarubbi, papa Francesco ha anche tenuto conto che Bassetti aveva riscosso il maggior numero di voti dei vescovi italiani.
Sarubbi ritiene però importante contestualizzare il ruolo del presidente della Cei: «La Chiesa non cambierà certo direzione in base all’identità del nuovo presidente, che ha piuttosto il compito di stabilire la priorità dei temi che verranno. L’elemento di novità che invece si sentirà molto è il clima di collegialità all’interno della Chiesa».
L’INCONTRO CON TRUMP. Ieri a Roma c’è stato anche il primo incontro tra il Pontefice e il presidente statunitense: «Non va mai dimenticato – chiosa il giornalista – che negli Stati Uniti la religione ha un peso molto maggiore nella vita privata e politica rispetto all’Italia. Là i credenti partecipano attivamente alla vita della loro comunità. Anche perché da loro, in mezzo a tante etnie e religioni diverse, la scelta di abbracciare una certa fede non è tanto un’eredità di tradizione, come lo è tendenzialmente da noi, ma una decisione consapevole e quindi più sentita. Inoltre, la religione entra anche nel discorso pubblico. Si pensi alla cerimonia di insediamento del presidente, che consiste in un giuramento sulla Bibbia. L’ha fatto Trump a gennaio, lo hanno fatto i suoi predecessori. Se l’avesse fatto un presidente italiano, si sarebbe scatenata una battaglia sulla laicità dello Stato». Certo, concorda Sarubbi, «probabilmente Trump non è il presidente americano che personalmente Bergoglio avrebbe eletto. I due si sono più volte scambiati critiche a distanza. Ma durante il loro incontro, Francesco non rappresentava la sua persona, ma l’istituzione pontificia, così come Trump, in quella occasione, non era un miliardario, ma rappresentava un popolo americano fortemente credente».
LA MOSSA DI FRANCESCO. Tuttavia papa Francesco, «in maniera gentile (una parola che lo caratterizza fortemente) ma al contempo deciso, ha sottolineato la sua posizione indicando a Trump i punti sui cui è necessario lavorare. È il tipico approccio dei gesuiti, i quali sono convinti che il discernimento personale sia migliore di qualsiasi imposizione. E quindi Francesco, invece di grandi discorsi, ha regalato al presidente americano la Laudato si’ (sul tema dell’ambiente) e l’Amoris laetitia (sulla carità e quindi sul tema dell’integrazione, della famiglia e dell’immigrazione)». Quello che Francesco sta implicitamente cercando di fare, sostiene Sarubbi, «è tirare a sé Trump perché le due figure avranno sempre a che fare l’una con l’altra».
POPULISTI. Ieri sul Foglio, Mattia Ferraresi ha proposto una lettura dell’incontro un po’ diversa da quella che si è soliti trovare sui quotidiani, sostenendo che tra papa Francesco e Trump vi sia una certa somiglianza: entrambi hanno un approccio populista nel loro modo di comunicare e nel contenuto dei loro discorsi che “dicono quella che la gente vorrebbe sentirsi dire”. Sarubbi non è d’accordo con questa chiave di lettura: «Se condividono lo stesso stile comunicativo semplice e diretto, si rivolgono però a un pubblico totalmente diverso: a Trump interessa la pancia, a Francesco il cuore. È vero poi che entrambi non amano le élite, ma Francesco, pur criticando certi “poteri forti” non se ne è mai servito, al contrario di Trump che pure, in precedenza, li aveva fortemente attaccati a parole. Se si vuole quindi parlare di populismo, si tratta di due populismi molto diversi».
Foto Ansa
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