Tentar (un giudizio) non nuoce

La transizione ecologica in Europa tra ideologia e profezia

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Ragazzi a una manifestazione di Fridays For Future a Torino, nel marzo scorso (foto Ansa)

Il dibattito politico e culturale di questi tempi è ricco di sollecitazioni nella prospettiva della transizione ecologica che arrivano dalla Commissione Europea, in particolare da una serie di provvedimenti che si stanno susseguendo, con frequenza sempre più pressante, probabilmente in vista della conclusione della legislatura tra circa un anno.

La mente corre al dibattito, ormai noto a tutti, relativo al blocco dei veicoli endotermici nel 2035, che consentirà esclusivamente la vendita di veicoli elettrici, oppure alla direttiva sulle case green che richiederà l’obbligatorietà di fare un salto di almeno due classi energetiche per tutto il patrimonio edilizio esistente, con conseguenze spropositate sul montare degli investimenti indispensabili per raggiungere l’obiettivo.

Ci sono poi temi meno conosciuti al grande pubblico che rischiano di essere potenzialmente ancora molto più impattanti sulle vite dei cittadini. Ad esempio, la proposta sulla nuova direttiva della qualità dell’aria, se posta in atto, produrrebbe una vera e propria catastrofe per il nostro bacino padano e tutte le regioni del nord. I limiti delineati, infatti, sono talmente ambizioni dal configurarsi come irraggiungibili anche se chiudessimo tutte le attività produttive, se spegnessimo tutti i riscaldamenti, anche se vietassimo per paradosso la circolazione di qualsiasi mezzo di locomozione.

Dunque, quale idea del mondo sorregge questo florilegio di iniziative, fortemente sostenute dal vicepresidente della Commissione, Frans Timmermans, leader dei socialisti con delega sullo sviluppo sostenibile? È evidente un preciso disegno politico che tende a caratterizzare questo mandato europeo, retto da un’alleanza di grandi intese tra popolari e socialisti, spostando l’asse decisamente a sinistra.

Per concretezza e realismo innanzitutto lasciamo ogni negazionismo: dobbiamo riconoscere che i problemi climatici devono trovare una soluzione, che la perdita di biodiversità rappresenta un danno irreparabile e che l’inquinamento, così come la scarsità di materie prime, impone concretamente una transizione verso l’economia circolare. Non possiamo pertanto ignorare che questi provvedimenti vadano nella direzione della storia, ma non possiamo neppure esimerci dall’affermare che essi, così come delineati, producono una contraddizione, un ossimoro relativo al concetto stesso di sostenibilità.

Dunque, cosa sta accadendo? La necessaria transizione ecologica si sta trasformando in un’ideologia da sbandierare. L’Europa che doveva e poteva offrire una profezia per il futuro, sta perdendo di vista l’equilibrio ed il realismo necessario che la doveva contraddistinguere per abbracciare un pensiero “dottrinale”, figlio di un’utopia astratta. Dunque, se tutti noi siamo concordi nel sostenere la necessità di un futuro sostenibile, non possiamo altrettanto esimerci dall’affermare che la mobilità elettrica sostenuta con batterie che si reggono sull’ossido di cobalto, estratto nelle miniere africane da bambini di dieci anni costretti a lavorare come schiavi, possa chiamarsi sostenibilità. Essa, infatti, non può che essere contemporaneamente ambientale, sociale ed economica. Senza uno solo di questi requisiti cade il concetto stesso che la determina. Parafrasando un vecchio slogan, potremmo dire che uno spettro si aggira per l’Europa: un’ideologia ambientalista utopica nemica dell’uomo e della natura stessa.

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