
Torre Galfa occupata. «I creativi? Andassero in periferia a diffondere cultura»
Si chiama Torre Galfa, si legge Macao: un edificio di Milano alto 200 metri e di proprietà del gruppo Ligresti, che dopo anni di abbandono è stato occupato, lo scorso 5 maggio, da un gruppo di “lavoratori dell’arte”. Di che si tratta? Loro si definiscono «artisti, curatori, critici, guardia sala, grafici, performer, attori, danzatori, musicisti, scrittori, giornalisti, insegnanti d’arte, ricercatori, studenti». E se si va a curiosare tra via Fara e via Galvani si resta stupiti dalla rapidità con cui si sono organizzati. Alcuni dormono al secondo piano della struttura, c’è chi passa la scopa per terra, e chi imbianca il soffitto e le pareti. Fuori un gruppetto pianta fiori e un piccolo orto, ci sono anche due bambini, con le mani sporche di terra e la faccia sorridente. Altri ancora, al piano di sopra, dipingono fiori.
Nel giro di pochi giorni, il grattacielo ha attirato centinaia e centinaia di curiosi: fotografi della domenica, famiglie, ragazzi di tutte le età, persino qualche turista. Ogni giorno ci sono tavoli di discussione in cui si valuta la gestione degli spazi e degli eventi. Sui social network il tam tam è inarrestabile: Macao chiede di portare tavoli e vecchie sedie? Nel giro di mezza giornata lo spazio adibito a magazzino si riempie e in tempi record si crea un improvvisato spazio bar. Poco alla volta sta nascendo una piccola libreria. L’orario di chiusura è tassativamente 11.30 di sera, per non dare fastidio ai vicini. Insomma, fin dall’inizio, nonostante la presenza delle solite realtà antagoniste milanesi (dal centro sociale Cantiere ai Corsari) gli occupanti sono stati molto attenti a tenere le debite distanze.
La parola d’ordine? Eccola: «Questo non è un centro sociale, ma un centro culturale». La città si è divisa in due: da una parte gli entusiasti, che si godono la novità («finalmente Milano diventa come Berlino») e si dicono convinti del fatto che stavolta sarà diverso, dato che «non ci sono i soliti punkabbestia con i cani, ma architetti e designer». Dall’altra gli scettici, a cui sembra un’operazione che ha poche speranze di sopravvivere mantenendo l’attuale aurea naïf. I disillusi parlano a voce bassa: «A me sembra solo un tripudio di macbook pro, con orde di quarantenni che fingono di essere liceali in autogestione. Entro qualche mese si pagherà l’ingresso, ci saranno le solite assemblee, i soliti ospiti a parlare di modelli sociali alternativi dal basso, il concertino del venerdì, l’aperitivo vegano col Dj set. Insomma, il solito parco giochi per i borghesi di oggi e di domani».
Il modello a cui Macao si ispira è quello del teatro Valle di Roma: occupato un anno fa, e tutt’ora autogestito con laboratori e incontri, col benestare delle istituzioni. Proprio per questo motivo, più che le polemiche dei visitatori, contano gli stracci volati in giunta. Nonostante si voglia liquidare la faccenda come una controversia tra privati, la vicenda solleva un problema che per il sindaco Giuliano Pisapia è politicamente spinoso, e su cui si giocherà parte del suo consenso. Dopo aver promesso che il vento sarebbe cambiato, con che faccia si può far sgomberare un collettivo di giovani che da un’amministrazione di centrosinistra si aspetta un appoggio pressoché incondizionato? Quasi a ribadire il concetto, nel giro di una settimana a Macao hanno sfilato decine e decine di vip e personaggi dello spettacolo: da Daria Bignardi a Lella Costa, dal premio nobel Dario Fo a Filippo Timi, passando per Vittorio Sgarbi e l’assessore Stefano Boeri. Quest’ultimo, in particolare, sta mantenendo una linea ambigua, da un parte contestando il metodo dell’occupazione abusiva, dall’altra scrivendo (via Facebook) che a New York, a una delle più importanti Fiere di arti internazionali, ha parlato «di Macao, delle notizie che ricevo e di quello che potrebbe significare, non solo per Milano».
E il primo cittadino? La sua è una posizione delicata, pressato dal Pdl e dal Pd (che lo invitano alla fermezza) e dalle aspettative dei suoi elettori. Sull’occupazione si è pronunciato via Facebook e Twitter: «Siamo riusciti, malgrado le difficoltà, a mantenere molti impegni presi. So anche però che su altri siamo in ritardo. Per questo ho deciso di impegnarmi personalmente e di prendere in mano direttamente una questione che non può aspettare. Milano deve offrire spazi, ospitare la creatività e lo spettacolo, le arti e la musica. Apprezzare ciò che nasce spontaneamente, ascoltarlo, capirlo e offrire risposte. Diritti e regole».
Troppo fumoso? Il collettivo Macao, davanti alla prospettiva dello sgombero (il legittimo proprietario dello stabile ha già fatto denuncia), ha rilanciato: «Il Comune di Milano è diffidato dal consentire l’impiego delle forze dell’ordine per un paventato sgombero dell’immobile occupato. Tale diffida è altresì estesa al Prefetto e al Questore che solamente in modo gravemente lesivo delle proprie prerogative legali e costituzionali potrebbero procedere al di fuori dei limiti di legge e del controllo preventivo giurisdizionale ordinario». A firmare la diffida è l’avvocato Ugo Mattei, giurista, mente del Forum dei Beni Comuni, nonché autore dello statuto del teatro Valle di Roma.
A Palazzo Marino, Basilo Rizzo (Federazione della sinistra) ha parlato di «esperienza preziosa». Poi c’è il consigliere comunale di Sel, Mirko Mazzali, penalista, che è stato insieme a Giuliano Pisapia l’avvocato della famiglia di Dax (il militante del centro sociale Orso, Officina di Resistenza Sociale, ucciso nel 2003 da due estremisti di destra). Mazzali, negli anni Novanta, faceva parte del collegio difensivo nei primi processi contro i centri sociali. Attualmente è anche presidente della commissione Sicurezza a Palazzo Marino e, via Facebook, mette le mani avanti: «Il Comune giuridicamente, ripeto giuridicamente, non può nulla per evitare lo sgombero. Quindi è inutile accusare il Comune se avverrà lo sgombero. Poi si vedrà…».
Cosa si vedrà, esattamente, non è dato saperlo. Di certo c’è solo che, per l’ennesima volta, si fa evidente la distanza tra questa sinistra e la sensibilità del Pd. Che per voce del capogruppo, Carmela Rozza, detta la linea. Dice Rozza a tempi.it: «Poche settimane fa il sindaco Pisapia ha annunciato un ottimo piano, per cui il Comune avrebbe concesso spazi in disuso alle associazioni che avessero presentato un progetto artistico, creativo, sociale, come già avviene in molte città europee. Si poteva tranquillamente sfruttare quel canale, non c’era alcun bisogno di occupare». E la diffida? «Siamo al colmo, come se il Comune potesse accettare un diktat da chi ha compiuto un’azione illegale. Richiamo tutti i soggetti che appartengono alle istituzioni a pesare le parole. Vorrei togliere ai cosiddetti creativi ogni illusione: lo sgombero dello stabile è imminente. C’è una buona notizia, però». Quale? «Ci sono dei quartieri in cui avremo bisogno di progetti culturali e di iniziative sociali. Parlo delle periferie degradate, dove nessuno viene a occuparsi di niente. A Niguarda, per esempio, il Comune non riesce ad affittare gli spazi che ha a disposizione. Se questi collettivi artistici, pagando un regolare affitto, contribuissero a diffondere la cultura per rivitalizzare Milano, io ne sarei ben lieta. Mi permetto di suggerire l’area di Quarto Oggiaro, che è particolarmente problematica».
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