
W il Burger King dentro l’università di Torino

«Fuori i privati dall’università». «No alla svendita dell’università». «No alla multinazionale del panino». Fa sempre un certo effetto vedere centinaia di studenti, appoggiati da uno sparuto manipolo di insegnanti, ingaggiare una strenua lotta contro i mulini a vento per raggiungere uno scopo autolesionista: danneggiare se stessi, il proprio ateneo e il proprio diritto allo studio.
Il tentativo degli universitari di assaltare il Burger King davanti a Palazzo Nuovo a Torino è un magnifico caso di scuola. Destra e sinistra insieme per affermare il sacro principio “privato uguale cattivo”. Il film è già visto e finché l’università resterà una roccaforte di ideologie trite e ritrite, forse lo vedremo ancora. Ma la crociata contro il panino made in Usa ha davvero dell’incredibile.
COLLABORAZIONE PUBBLICO-PRIVATO
Nove anni fa il Consiglio accademico dell’università di Torino, alla ricerca di nuovi spazi per gli studenti ma a corto di fondi, approva il progetto per la costruzione della palazzina “Aldo Moro”. Il complesso accanto a Palazzo Nuovo ospiterà la facoltà di lingue dell’Ateneo e comprende sei aule da 800 posti, sale studio e una residenza universitaria. Finalmente gli universitari potranno seguire le lezioni senza restare in piedi o sedere per terra.
Per la costruzione l’università si è affidata alla società University Service Project, che col sistema del project financing, che sfrutta la collaborazione pubblico-privato, offre una soluzione ghiotta all’ateneo: l’università stanzia 7,5 milioni per la costruzione del complesso (sui 50 necessari) e poi paga di affitto 1,5 milioni all’anno senza un euro di interessi. La società, per rientrare dell’investimento, può sfruttare per 29 anni una piccola parte dell’edificio (i locali al piano terra) affittandola ai privati. Così l’università, che altrimenti non avrebbe avuto i fondi, può permettersi finalmente la costruzione dei locali da adibire agli studenti.
«ACCORDO MOLTO VANTAGGIOSO»
Come spiegato alla Stampa dal vicerettore alla programmazione dello sviluppo edilizio, il docente Bartolomeo Biolatti, «economicamente per noi è molto vantaggioso: pagheremo 50 milioni di euro in 30 anni senza versare interessi e avremo finalmente una struttura nuova che vedrà i privati occuparsi di manutenzione ordinaria e straordinaria per 30 anni». Tutti contenti? Neanche per sogno. Agli occhi degli studenti del movimento “Noi restiamo”, e non solo, è inaccettabile che i privati vendano gli spazi commerciali. Avrebbero dovuto piuttosto regalare tout court soldi all’università. Così, invece, «si va verso la privatizzazione e aziendalizzazione del sistema universitario». Senza contare che «nella zona ci sono anche molti studenti minorenni» del Liceo Gioberti.
QUEL PANINO È «IMMORALE»
E qui casca l’asino. Quei cattivoni di University Service Project a quale privato hanno affittato i locali? A un Burger King, «la multinazionale del panino», dipinta dagli studenti come una catena gravemente immorale. «Certe attività non sono in linea con quello che insegniamo agli studenti, con l’etica del nostro lavoro», spiega alla Stampa il professore Pietro Deandrea, che per la cronaca insegna Lingue e letterature straniere, non teorie e tecniche del commercio equosolidale. Ma, si chiede il giornalista un po’ spaesato, «il problema è la presenza dei privati o l’offerta alimentare del ristorante?». «Per quanto mi riguarda principalmente la seconda».
I double Steakhouse bbq cheese e i cartocci di Bq onion rings, per non parlare dei whopper, dovrebbero dunque essere inseriti tra i prodotti che vanno tenuti lontani dalla vista dei minorenni. E chi va a lavorare al Burger King per servirli ai clienti dovrebbe forse un po’ vergognarsi. Il diritto allo studio può essere finanziato e sostenuto solo da chi vende alimenti a km 0, evidentemente.
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