
Come togliere il macigno che grava sulle spalle dell’Italia?

Quale può essere una possibile via d’uscita per l’Italia in questo difficile momento di crisi dell’economia? Se ne discuterà mercoledì 8 marzo, a Palazzo Reale di Milano alle 16:30, all’incontro “Energie per l’Italia”, dove si affronterà il tema dell’abbattimento del debito pubblico, la riduzione della spesa pubblica e l’eliminazione della burocrazia. Stefano Parisi presenterà il libro Il Macigno di Carlo Cottarelli, economista e direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale, e interverranno anche gli economisti Nicola Rossi e Riccardo Puglisi.
Intanto Giacomo Mannheimer, responsabile del programma e ricercatore dell’Istituto Bruno Leoni, anticipa gli argomenti dell’incontro e spiega il contesto economico in cui l’Italia si trova: «Veniamo da anni di crisi economica che, secondo la vulgata, l’Italia dovrebbe affrontare attraverso misure della cosiddetta “austerity”. Quello che però non viene mai detto è che l’austerità promossa in Italia consiste in un enorme aumento delle tasse, della spesa pubblica e del debito pubblico. Ci sono invece paesi europei che si trovano in crisi simili alle nostre e hanno la nostra stessa moneta (per esempio l’Irlanda) e che hanno applicato sì l’austerity, ma in una forma molto diversa dalla nostra, anzi, opposta: hanno ridotto la spesa pubblica, diminuito l’intervento dello Stato nell’economia e abbassato drasticamente le tasse. Il risultato è che oggi questi paesi crescono a ritmi tripli o quadrupli rispetto ai nostri». Lo scopo di “Energie per l’Italia” è quindi quello di promuovere una serie di misure, opposte a quelle adottate negli ultimi decenni dalle diverse forze politiche (per citare gli ultimi esempi, basti pensare al reddito di cittadinanza, agli ottanta euro destinati ai giovani, agli aiuti economici per gli anziani, ecc.).
TROPPO STATO. La ricetta per la crescita quindi è una: «Tagliare la spesa pubblica in maniera drastica e permanente. In Italia più della metà del nostro pil (cioè della ricchezza che produciamo) finisce nelle mani dello Stato, che a sua volta la spende male, sia per inefficienza (come nei campi della giustizia o dell’istruzione, in cui registriamo le peggiori performance d’Europa) sia perché nel nostro paese lo Stato si occupa di troppe cose. Abbiamo decine di migliaia di società partecipate dagli enti locali, per esempio il comune di Roma ha una società partecipata che si occupa di assicurazioni: perché lo Stato dovrebbe occuparsi di assicurazioni, e non invece i privati? O ancora, i sistemi di formazione professionale sono a carico dello Stato: perché non lasciarle ai privati?». Santità, educazione e pensione sarebbero alcuni dei campi che lo Stato «dovrebbe limitarsi a regolare senza intervenire direttamente come attore, lasciando invece spazio alla libera iniziativa dei privati». Questa strategia garantirebbe allo stesso tempo maggiore efficienza, grazie al meccanismo della concorrenza che si verrebbe a instaurare, e una riduzione significativa della spesa pubblica.
IL DEBITO DEL FUTURO. «Contemporaneamente si dovrebbe ridurre anche il debito pubblico, che in un certo senso è “il debito del futuro”. Questo meccanismo consente infatti ai governanti di spendere più soldi pubblici, senza però alzare le tasse, e quindi senza perdere consenso elettorale. Come? Contraendo debiti che saranno le future generazioni a pagare». Il debito pubblico è quindi «la più grave forma di disgregazione economica e sociale del nostro paese» perché «da una parte, è economicamente dannoso quanto le tasse (paghiamo cifre elevatissime sugli interessi del debito pubblico) e dall’altro profondamente iniquo a livello sociale, proprio perché peserà sulle spalle delle future generazioni». Non solo: patiamo anche le ricadute nei nostri rapporti economici con l’estero, perché «il debito pubblico disincentiva gli imprenditori stranieri, timorosi di una nuova crisi finanziaria, a investire in Italia».
L’unica soluzione possibile è quindi quella di sollevare lo Stato da buona parte delle sue spese e affidare la gestione di imprese ora pubbliche ai privati. «È necessario privatizzare una serie di attività, a livello macroeconomico, che lo Stato ancora controlla (per esempio Snam, Eni, Terna e molte altre). Questa operazione garantirebbe qualche decina di miliardi di entrate utili ad abbattere il debito pubblico. Si dovrebbe inoltre procedere a una vendita dell’enorme patrimonio immobiliare pubblico, ma solo dopo che il valore degli immobili tornerà a salire, e con i ricavi sarà possibile risanare parte del debito».
BUROCRAZIA. A tutto questo si aggiunge l’eccesso di burocrazia. «Si tratta di un termine molto vago, usato in maniera astratta nei discorsi politici, ma che in realtà racchiude al suo interno qualcosa di molto concreto: si tratta di un insieme di norme e presunte tutele economiche e sociali, che forniscono piccoli vantaggi a categorie organizzate. Dovremmo quindi cominciare a utilizzare questa parola in maniera concreta, riferendoci alle norme specifiche, altrimenti rimarremo sempre e solo su un piano astratto, e quindi inutile».
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